La storia delle arti del disegno studiata nei monumenti che si conservano in Bologna e nei suburbi

La storia delle arti del disegno studiata nei monumenti che si conservano in Bologna e nei suburbi

1888

Scheda

Nel 1888 viene edito dalla tipografia Gamberini e Parmeggiani un libretto a cura di Augusto Romagnoli che si propone come “nuova guida artistica” del tempo, “La storia delle arti del disegno studiata nei monumenti che si conservano in Bologna e nei suburbi”. Qui di seguito si riporta la trascrizione integrale ad eccezione delle biografie degli artisti. 

Dalla pittura e de’ suoi cultori nel secolo 19°.

Nel secolo 18° non mancarono le Accademie, le quali però, nonostante le buone intenzioni dei loro componenti, specialmente rispetto alle Belle Arti, poco o punto giovarono. Qui da noi come altrove, fatte rarissime eccezioni, la pittura al principio del nostro secolo era caduta, per non dire precipitata, nel più abbietto convenzionalismo, tanto che convenzionale e accademico anche oggidì suonano sinonimi. Per buona fortuna la reazione non si fece a lungo aspettare e dietro i suggerimenti dei letterati e dei critici, non che dietro gli esempi della scultura che Canova avea tratta all’imitazione dei Greci, anche la pittura feco ritorno a poco a poco al classicismo greco e a quello del rinascimento. Onde il principio del secolo 19° segnò un secondo rinnovamento nelle Arti Belle, che, vogliamo sperare, approderà un giorno a meglio che non il primo del 500. Negli inizi di questo secondo rinnovamento nella pittura si distinsero per merito: Appiani, Palagi, Camuccini, Benvenuti, Sabatelli ed altri. La reazione però di costoro, contro il convenzionalismo del barocco, fu seguita da un’altra: quella del romanticismo e venne attuata al grido di “Abbasso i Greci e i Romani.” Allora si videro gli artisti darsi alla pittura storica e rappresentare, più che altro, episodi tolti dalla storia del medioevo. Quegli che capitanò questo movimento dell’arte in Italia fu Hayez di Milano, seguito da una moltitudine di artisti di tutto i Bel Paese, tra i quali vanno ricordati, come i più ragguardevoli: Podesti, Arienti, Malatesta, Coghetti, Lipparini, Mancinelli, Ussi ed altri; e più vicini a noi, introduttori dello studio del vero sotto ogni rispetto: Catiglioni, Gastaldi, Altamura, Iacovacci di Roma, Morelli e Palazzi di Napoli ed altri, che si tacciono per amore di brevità, i quali tutti si potrebbero annoverare fra i pittori storici.

Dopo costoro (ed alcuni insieme a costoro) altri trionfarono e trionfano ancora nella così detta pittura di genere, la quale ha per iscopo di rappresentare scene attinte dalla vita domestica e sociale de’ nostri giorni. Domenico Induno è da mettersi a capo o tra i capi di questa scuola, come quegli che ritrasse questo genere di pittura delle bambocciate di artisti di poco senno, e col proprio esempio l’avviò a rappresentare soggetti di vero interesse famigliare e sociale de’ nostri giorni. Egli fu seguito da molti pittori delle varie regioni italiane, fra i quali ricorderemo, a modo solo d’esempio: Roberto Fontana, Filippo Carcano di Milano, i tre bolognesi Luigi Busi, Luigi Serra, Faccioli Raffaele, Favretto e Nono di Venezia, l’eccentrico abruzzese Francesco Paolo Michetti ed altri molti che troppo sarebbe numerare. A Roma in modo speciale è stata trattata la grande pittura storica religiosa, prima da Overbek con fare timido e ascetico da quattrocentista in ritardo; poi in maniera più larga e con tutte le attrattive dell’arte moderna dal Fracassini, dal Grandi e dal Mariani. A Bologna si sono distinti, ai giorni nostri, in questo genere di Pittura: Luigi Busi, col bellissimo suo quadro, che è nella cappella maggiore di S. Vitale; e Alessandro Guardassoni, specialmente col S. Paolo (nello studio del Pittore) e coi tre grandi quadri che sono nella cappella maggiore della chiesa della SS.ma Trinità. Né sono mancati al nostro secolo pittori che hanno rappresentati fatti politici, come ad esempio: Carlo Ademollo di Firenze, Raimondo Edoardo di Parma, Romolo Enrico di Napoli, Aldi Pietro di Siena, De – Albertis di Milano, Rossi – Scotti di Torino ed altri.

Che se alle varie scuole e ai molti artisti ricordati si vogliono aggiungere gli altri innumerevoli, che si sono dati esclusivamente alla pittura di paesaggio, colla più esatta imitazione del vero, mi pare di dovere con ragione conchiudere, che il nostro secolo avanza di gran lunga, nelle produzioni artistiche di pittura, e per numero e per pregi, gli altri secoli passati. Più si esamina la pittura moderna con quella anche solo di 20 anni fa e si vedrà che essa generalmente si fa sempre più che mai imitatrice del vero; quindi, per non dir altro, è sulla via buona che lo studio del vero porta naturalmente al bello. Ricordiamoci però che, ad avere la maggior perfezione possibile nell’arte, oltre lo studio costante del vero rappresentato con ingenuo, intelligente e corretto disegno, occorre che l’artista sia colto, educato ognoro ad alti e generosi sentimenti; non rappresentati mai alcun soggetto, senza averlo studiato a fondo né suoi più minuti particolari, e non ne sia, starei per dire, entusiasmato. Tutto questo non basta ancora: ci vogliono occasioni opportune; che, a compiere opere di una certa importanza, occorrono grandi mezzi, però generosi Mecenati. Si educhino dunque come meglio si può i giovani artisti; si desti per mezzo di ragionevole e conveniente cultura nel popolo il sentimento del bello; siano i ricchi generosi nel retribuire gli artisti per opere grandi che abbiano loro ordinate e l’Italia potrà un’altra volta vantarsi di avere artisti, che saranno oggetto d’invidia alle più alte nazioni. Da tutto l’insieme però mi pare che, appunto in Italia, siamo molto lontani da un’era che si possa dire favorevole alle arti! Vorrei ingannarmi!

Dal Collegio Artistico Venturoli in Bologna

Trattare delle vicende principali delle Arti Belle del disegno in Bologna, e non dir parola di un istituto altamente benemerito di esse, il Collegio Venturoli, sarebbe una mancanza non lieve per chiunque, imperdonabile poi a me che vi sono rettore da 18 anni. Ne traccerò dunque in via sommaria la storia e darò l’elenco di tutti gli artisti, che esso ha allevati. Questo Collegio fu fondato nel 1820 da Angelo Venturoli architetto, il quale lasciò tutti i suoi beni allo scopo di educare alle Arti Belle, che hanno per base il disegno, giovanetti della città di Bologna dal 12° anno al ventesimo. Fu aperto nel 1825 e nei 63 anni trascorsi, non computando i 5 alunni che ora educa, ne ha avuti 43 de’ quali, due morirono dopo pochi anni dacchè erano entrati e furono: Zanetti Alessandro e Buriani Filippo; quattro uscirono prima d’aver compiuto il loro alunnato perché non disposti a proseguire la carriera artistica, Verardini Prendiparte, Calza Giovanni, Tambroni Alfonso, e Franceschi Benedetto. Degli altri uno fu incisore: Raffaele Radisini; 6 decoratori: Camillo Leoni, Cesare Verzotti, Rabbi Alessandro, Giorni Ermenegildo, Gitti Ugo e Breveghieri Odoardo; 4 scultori: Cesare Covelli, Monti Federico, Legnani Luigi e Bordoni Gaetano; 14 pittori: Federico Canotti, Giuseppe Sartorini, Belvederi Gaetano, Dal Pane Gerolamo, Amadori Camillo, Ferri Alfonso, Busi Luigi, Sandri Ferdinando, Serra Luigi, Faccioli Raffaele di Francesco, Buttazzoni Ettore, Monti Enea, Garagnani Alfredo, e Lamma Alberto: 12 tra architetti e ingegneri, cioè: Brunetti Enrico, Dal Pino Raffaele, Modenesi Giuseppe, Zanetti Carlo, Azzolini Tito, Faccioli Raffaele di Domenico, Canedi Gaetano, Guarini Gustavo, Gozzi Arturo, Suppini Augusto, Carpi Arturo e Rusconi Cesare. Nel 1855 il negoziante Luigi Angiolini lasciò tutto il suo avere agli Amministratori pro–tempore di detto Collegio perché col ricavato delle rendite si assegnassero pensioni quadriennali a quelli tra gli allievi, che, compiuta la loro educazione artistica in Collegio, dessero fondata speranza di riuscir sommi nell’arte che avessero abbracciata, e così avessero modo di perfezionarsi nell’arte medesima.

Il fatto (con poche eccezioni inevitabili nelle umane vicende) ha risposto alle speranze dei lodati benefattori di questo Collegio: e chiunque si conosca alcun poco delle vicende artistiche di Bologna deve confessare, per amor del vero, che gli alunni del Collegio Venturoli sono stati sempre tra i migliori e più ragguardevoli cultori delle Arti Belle nella nostra città, per non dire nella nostra Italia. E fama italiana godono a mo’ d’esempio il Prof. Modonesi e il Prof. Azzolini in architettura; e l’ebbe più che italiana il Prof. Busi, come l’ha presentemente il Prof. Serra in pittura. Per gli altri allievi, che qui non ripeto, chi vorrà passare in rassegna l’elenco degli artisti del nostro secolo, in qualunque ramo d’arte, potrà rimaner convinto di quanto ho affermato più sopra. Esistono nel Collegio Venturoli le seguenti opere: una saggio di incisione di Raffaele Radisini che eseguì nel 1833, il busto in marmo di Angelo Venturoli eseguito da De Maria Giacomo – un ritratto della Sig. Carolina Giordani dipinto da Clemente Alberi nel 1844 – un quadro di Lodi Massimo di Ferrara intitolato “La triste notizia” – un’Immacolata dipinta da Pietro Fancelli (copia dal Franceschini) nella cappellina – un’altra nel refettorio dipinta dal medesimo Fancelli. Il refettorio del Collegio fu dipinto a fresco da Gioacchino Pezzoli nel 1700, ma il quadro di contro alla porta d’ingresso rappresentante la Cena degli Apostoli fu tutto ritoccato. A compiere il cenno storico di questo Collegio si vuole aggiungere che oltre i due riferiti benefattori Angelo Venturoli e Luigi Amorini, che lasciò al Collegio i fondi di Castenaso che ebbe ereditati dai Musetti; la fu signora Carolina Giordani, lasciò circa L.5000 perché dal reddito di esse di potesse dare un premio a quello tra gli alunni che durante il tempo del suo alunnato si fosse più distinto per profitto e buona condotta; il marchese Luigi Sigismondo Conti Castelli che legò al Collegio la più parte dei libri che ora formano la biblioteca dell’Istituto e non pochi disegni originali di celebri artisti. Il Conte Camillo Salina che lasciò molti disegni di figura di varii autori, specialmente della scuola dei Carracci e moltissime incisioni di varie scuole nostrane e forestiere.

Della scultura del secolo 19°

La scultura, al principio del nostro secolo, fu imitatrice delle opere greche con Canova e suoi seguaci, come abbiamo altrove accennato; poi col Tenerani e il Bartolini si diede a imitare la natura, unica strada per cui si arrivi alla perfezione non che ad emulare le più belle opere di Fidia e di Prassitele. Vedemmo infatti educati non pochi alla scuola dei grandi scultori ricordati, o meglio alla scuola del vero, riuscire valentissimi, tra i quali Dupré e Vela e con essi molti altri degni di speciale menzione nella storia dell’arte: Pacetti, Costoli, Pampaloni, Strazza, Salvini, Monteverde, Barzaghi, Rivalta, Tabacchi, Gallori, ecc. Se non che oggidì, è inutile il dissimularlo, dai più si lavora con tutte le industrie di un’arte perfezionata nella parte meccanica, a rappresentare soggetti tratti dalla vita comune, il più delle volte, insulsi. Oggi, dice egregiamente Melani, nel Manuale della scultura italiana, c’è come una specie di mania di scolpire giovinette smorfiose, ragazzi timidi, pregnanti, piangenti, o qualificati anche peggio. Quest’arte la chiamano di genere e sarà veramente così: tutto sta a definire, se sia del buono o del cattivo. Quella scultura che presenta, insieme alla perfezione meccanica dell’esecuzione, la scintilla del genio, che è frutto d’ispirazione, io direi fosse del buono; l’altra invece che fa consistere la perfezione del lavoro nei lenocinii della raspa raffinatora, che si direbbe, più che altro, frutto di grande pazienza, che non esprime nessuna idea quando non ne ispira delle malvagie, che è il frutto di semplici studii dai modelli, dico che è di genere cattivo. Per finirla: è tempo che l’arte si sollevi ad ideali più nobili, e se questo è conveniente a tutte le nazioni, lo è specialmente all’Italia, che, più d’una volta, in arte come in scienza, è stata maestra alle altre. Ma a tanto non si riuscirà mai, se lo scultore stesso, come qualunque altro artista, non sarà molto colto, educato e ispirato ognora a nobili sentimenti.

Dell’Incisione

L’arte d’incidere sopra lastre metalliche allo scopo di trarne impressioni non rimonta alla seconda metà del 15°. L’incisione in legno, che sembra aver originato l’arte della stampa, non è anteriore alla prima che di 50 anni o più. Questa fu un’invenzione di Germania, quella d’Italia. Noi non istaremo qui a tessere la storia dell’incisione in legno o di quella in rame o in acciaio; diremo solo che quest’ultima, dagli umili principii nei quali fece le sue prove con Maso Finiguerra orefice e niellatore di Firenze (1460), fu, in breve tempo, tratta a vita vigorosa, per opera di Alberto Durero in Germania, di Andrea Mantegna, in Italia e condotta quindi a miglior sistema da Marco Antonio Raimondi di Bologna. Questi si ebbe una schiera d’imitatori, tra cui acquistarono bella fama Agostino di Venezia e Marco da Ravenna. Dopo questo tempo, nel quale fuori d’Italia si distinsero nell’arte del bulino Luca di Leida, Dirk van Staren, Enrico Goltzino, i fratelli Sadeler ed altri, gli artisti si volsero all’incisione all’acqua forte; e in questa si distinsero specialmente alcuni artisti fiamminghi, olandesi ed italiani del secolo decimosettimo, quali: Rembrandt, Claudio di Lorena, Paolo Potter, i Caracci con parecchi loro discepoli, Iacopo Callot, Stefano della Bella, Salvator Rosa, e parecchi altri. Nel secolo scorso ebbero rinomanza le acque forti del Carpione, di Gio. Batt. di Lorenzo e di Domenico Tiepolo, del Canaletto e del Piranesi. – In seguito, per tacere dei forestieri, si debbono, dei nostri, ricordare Domenico Cimego, Giovanni Volpato, e Raffaele Morghen. Quest’ultimo soprattutto va celebre per la straordinaria sua perizia di bulino e per aver dato col suo esempio e colla sua scuola all’arte non pochi altri valenti incisori.

A’ suoi tempi andò pure rimarcato Giuseppe M. Mitelli. In tutto il secolo 18° si favorì più che mai l’incisione in rame, e questo contributi efficacemente al suo incremento ed ai suoi progressi anche nella prima metà del secolo 19°. Se non che non sono molti lustri dacchè in Italia e fuori si desiderò che ogni pubblicazione, di qualche importanza, fosse illustrata da incisioni: quindi la necessità di coltivare la Silografia cioè l’incisione in legno più di cedere il campo a quella, e ai nostri giorni sono pochi davvero che coltivano l’arte finissima del bulino. Anzi ai nostri giorni la vittoria spetta alle riproduzioni inconsce di sé: eliotipie, fototipie e venti altri modi simili variamente chiamati, in cui il sole e le sostanze chimiche rubano all’incisore e al litografo la loro professione. Anche dell’incisione vuoi in legno, vuoi in rame o in acciaio, Bologna ha da mostrare non pochi frutti. Né son da fare le meraviglie se si pon mente che uno dei più celebri incisori è bolognese: Marc’Antonio Raimondi; e bolognesi (o per nascita o per dimora) furono pure: Giulio Bonasone, Tibaldi, Passerotti, Sabattini, i Carracci, Gatta, Valesco, Guido Reni, Cantarini, Albani, Domenichino, Tiarini, i quali tutti oltre essere stati quei distinti artisti che dicemmo altrove, furono tutti incisori di merito. Oltre le principali incisioni di costoro, in Pinacoteca sono belle incisioni di Alberto Durero, Pencz, Dirck van Starn, Aldegrever, Luca di Leida, Schonganers, Zatzinger, Hopfer, Behani, Mecken, Baader Kilian, Golzio, G. Andreau, Bartolozzi, Bervie, Callot, Drevet, Edelink, Masson, Morghen, Rembrandt, Woollet, G. G. Ville, Kilian Giorgio.

Intaglio in legno

Anche in questo ramo i Formiggini tennero il primato e lo dimostrano le molte ancone da altare intagliate da loro con istile puro del 500. I Formiggini ebbero non pochi imitatori, alcuni dei quali egregi, finchè nel 600, venuto meno il buon gusto, anche l’arte dell’intaglio in legno sfoggiò in capricci e bizzarrie da non dirsi, e poi a poco a poco cessò. Solo ai nostri giorni, dietro le ordinazioni di nobili Signori della nostra città, riebbe vita novella, e vi si distinsero gl’intagliatori: Botola Gaetano, Fraboni Carlo e Oncoli Giuseppe.

Architettura dell’Ottocento

Il nostro secolo cominciò in arte col neo – classicismo, in politica con grandi avvenimenti, che sconvolsero tutta Europa. Ne seguì un’epoca nella quale i nuovi bisogni e costumi presero di mira la sola utilità, però si trascurò non poco il sentimento del bello. Onde gli architetti, nella freddezza calcolatrice del secolo non trovando ispirazioni ai concetti delle fabbriche loro commesse, sostituirono alla virtù creativa una servile imitazione ora classica, ora mediana, il più spesso eclettica, ovvero rinunziarono affatto ad ogni pensiero di forma artistica, contenti di servire alla convenzione e di provvedere alla stabilità. Questo per tutta Europa; così sorse in Francia e in Germania lo stile che fu detto dell’Impero. In Italia, nel più dei casi, furono usate le forme del rinascimento. Caduto l’Impero napoleonico, vi fu, come tutti sanno, un periodo relativamente tranquillo (almeno in apparenza), in cui poco si fece in architettura, mentre le arti sorelle servirono, non che ad altro, come a mezzo di mantenere fra noi vivo il sentimento di patria e di religione. Avvennero poi a’ giorni nostri gli sconvolgimenti politici che tutti sanno, e da una trentina d’anni in qua, dovunque si è fabbricato e si fabbrica ancora. Eppure, a dire la verità, si vuol confessare che, meno poche eccezioni, architetture belle, cioè che esprimano propriamente come dovrebbero allle attuali condizioni sociali, non sono apparse: e sebbene al giorno d’oggi vi siano materiali nuovi che si potrebbero usare ad introdurre una tal quale novità in arte, generalmente parlando, si è fatto ben poco. Il solito eclettismo è andato e va sfiorando da per tutto un po’, tanto da avere o bene o male, vogliam dire, o con ragione o senza, quella data fabbrica decorata così e così, con tipi rubati alle epoche trascorse. I più, di questo danno la colpa al secolo, che si occupa più di arti industriali che arti belle; e non ne hanno tutti i torti.

Pongano però mente costoro che a poco a poco si potrebbe preparare un secolo più favorevole alle arti, e specialmente all’architettura, coll’educare il popolo fino dai banchi delle scuole al sentimento del bello, col rivolgersi (nelle condizioni presenti) pei disegni delle fabbriche da eseguire, agli artisti e non agl’ingegneri, i quali ultimi, generalmente parlando, causa l’istruzione ricevuta, d’arte propriamente detta si conoscono poco o punto; coll’educare e ingegneri e artisti al vero sentimento dell’arte architettonica, la quale non istà propriamente in questa o quella forma, ma in un principio, in un metodo logico. Viollet–le–Duc nelle sue belle opere (che vorrebbero essere più note e studiate dagli artisti) in più di un luogo afferma che gli architetti debbono conoscer bene quello che vogliono fare e debbono aver modo di farlo bene. "Sapere ciò che si vuol fare, spiega il lodato autore, torna lo stesso che avere un’idea, per esprimere la quale occorrono dei principii e una forma, cioè delle regole e un linguaggio. Le leggi dell’architettura possono essere comprese da tutti: è affare di buon senso. Quanto alle forme, ai mezzi di esprimere il pensiero sottomesso alla regola, per conoscerle occorrono lunghi studi teorici e pratici e aver ricevuto una scintilla del fuoco sacro! Per comporre dunque in architettura, prosegue sempre Viollet–le–Duc, bisogna conformarsi alle leggi immutabili dell’arte, il che è affare di buon senso; poi trovare nella propria mente e usarla, una forma che permetta di esprimere ciò che si è concepito e ciò che la ragione prescrive. Non si può sempre esigere da un architetto il genio, ma si è sempre in diritto di domandargli il ragionamento e una forma che si comprenda." (Entretien) Quando dunque gli architetti avranno imparato a ragionar bene su tutto quello che fanno; a non far nulla senza una ragione evidente; ad usare delle modanature od ornamenti delle loro fabbriche, come di altrettante espressioni di necessità e di sentimento, allora solo potranno darci del nuovo e insieme del bello. Al lettore intelligente il giudicare se a tanto siamo vicini o lontani, almeno qui in Bologna!

Trascrizione a cura di Loredana Lo Fiego

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Carlo Monari Monumento Cocchi
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Carlo Monari, Monumento ad Enea Cocchi. Certosa di Bologna, Galleria Tre navate. Dal canale You Tube "Storia e Memoria di Bologna". 

Documenti
Storia delle arti del disegno (La)
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Augusto Romagnoli, La storia delle arti del disegno studiata nei monumenti che si conservano in Bologna e nei suburbi, 1888. Estratto. © Museo Risorgimento Bologna | Certosa.

Esplorando l’archivio del Collegio Venturoli
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Di Francesca Serra. Testo tratto dal catalogo della mostra "Angelo Venturoli - Una eredità lunga 190 anni" Medicina, 19 aprile - 14 giugno 2015. Copyright © Fondazione Collegio Artistico Venturoli.

Anima, la fantasia, l'arte nell'Ottocento (L')
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Antonio, Fradeletto; L'anima, la fantasia, l'arte nell'ottocento. Estratto dal periodico 'La Lettura - rivista mensile del Corriere della Sera', Milano, 1924.

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