Dall'Accademia Clementina all'Accademia di Belle Arti: tre secoli d'arte

Dall'Accademia Clementina all'Accademia di Belle Arti: tre secoli d'arte

1706 | oggi

Scheda

Ideatore e l’ideologo dell’Accademia Clementina di Bologna (1710-1803) fu Giampiero Zanotti (1674-1765) che, in risposta alla Compagnia dei Pittori e all’obbligo di iscrizione per ogni pittore attivo in città, nel 1706 , come “atto polemico”, convocò un gran numero di artisti in casa del conte Pietro Ercole Fava (dove molti pittori già studiavano gli affreschi dei Carracci), e presentò la sua idea sulla creazione di una pubblica accademia, chiedendo l’appoggio del Senato. L’intenzione di Zanotti ricalca l’idea che un secolo prima era stato tentato dai Carracci sull’istituzionalizzazione dell’insegnamento impartito nella loro bottega; l’Accademia di San Luca era il punto di riferimento e la Clementina sarebbe stata modellata sull’esempio di quella romana. Il desiderio di svincolarsi dalla sudditanza della Compagnia dei Pittori, in nome dell’autonomia, portò così alla rivendicazione della pittura e alla volontà di poter competere con le più celebri accademie esistenti. Il conte Luigi Ferdinando Marsili (1658-1730), allora comandante dell’esercito pontificio, affiancò il progetto di Zanotti adoperandosi sia presso il Senato, sia presso Clemente XI che approvò l’Accademia con il nome di Clementina. Marsili, sostenitore del progetto di Zanotti ma anche come organizzatore geniale e mecenate dell’Accademia, scelse quattordici artisti che, a loro volta, elessero i primi quaranta Accademici e fra questi, oltre il nome di Giampiero Zanotti, ricordiamo: C. Cignani, G. M. Mitelli, M. A. Franceschini, E. Graziani, G. Mazza, G. M. Crespi, F. Torelli, D. Creti e M. A. Chiarini.

Nel 1710 si inaugurò la cerimonia d’apertura dell’Accademia in casa Marsili, in San Mamolo, mentre le lezioni si tennero provvisoriamente in alcuni ambienti del palazzo attiguo in possesso del conte Fava per poi trovare sede, nel 1712, in Palazzo Poggi, acquisito da Senato per accogliere l’Istituto delle Scienze di cui Marsili fu fondatore. L’Accademia Clementina e L’Istituto delle Scienze fecero parte dello stesso Istituto e ben presto acquisirono fama europea. L’Accademia fu costituita da quaranta membri fra pittori, scultori, incisori e architetti di buon nome: nel caso di posti vacanti, si provvide ad eleggere alcuni nomi da proporre al Senato il quale poi avrebbe scelto il nome da aggregarsi. Le cariche, rinnovate ogni anno, vennero così suddivise: Il Principe (il primo eletto fu Carlo Cignani) che si occupò di affidare i compiti dell’insegnamento agli “otto direttori” (quattro figuristi che si occupavano dell’insegnamento di pittura e scultura; quattro architetti per architettura e prospettiva); il Vice-principe che affiancò il Principe con ruoli di spicco; e non meno importante, la figura del Segretario, ruolo evidenziato dalla redazione dei quattro volumi degli Atti manoscritti.

A scandire in quattro periodi l’intera storia dell’Accademia sono i segretari: Giampiero Zanotti (dal 1710 al 1723 e dal 1737 al 1759), il marchese Gregorio Casali (dal 1759 al 1764), lo scultore Domenico Piò (dal 1764 al 1799) e il pittore Vincenzo Martinelli (dal 1799 al 1803): quest'ultimo registrò le ultime vicende dell’Accademia, dominate dall’incubo della soppressione napoleonica. Le idee e il gusto classicista dello Zanotti si proiettarono sui primi orientamenti della Clementina. In apertura si avvertirà la presenza determinante del Franceschini, del Torelli, del Creti, del Mazza, di Ferdinando Bibiena; timidamente si affacciano anche Dal Sole, Burrini, e lo stesso Crespi. Ben presto, verso la metà del secolo, emarginata la componente naturalistica, si approderà alla stagione del “barocchetto” bolognese segnato soprattutto da artisti come Monti, Bigari, Marchesi, e poco dopo Pedretti e Bertuzzi. Nel 1761 sarà nominato per la prima volta “direttore” Ubaldo Gandolfi che insieme al fratello Gaetano Gandolfi, dopo essere stati per anni pittori allievi dell’Accademia, ne diverranno i trascinatori. Tra i maestri più assidui si ricordano: Domenico Pedrini, il Calvi, Pietro Fancelli e Mauro Gandolfi.

Vennero istituiti concorsi annuali su modello dell’Accademia di San Luca, assegnati agli allievi più meritevoli. I premi clementini furono tre: il premio Marsili (1727) cui si aggiunse l’eredità Aldrovandi (1754), il premio Fiori (1743), il premio Curlandese (1787). Il premio prevedeva la distribuzione di medaglie d’argento per altrettanti studenti meritevoli delle scuole di pittura, scultura e architettura. Campo di osservazione privilegiato e testimonianza del gusto nel contesto accademico erano proprio i saggi (disegni, telette, sculture) che non di rado potevano coincidere con le prime opere note di artisti, italiani e stranieri, poi divenuti celebri come Ercole Lelli (1727), Giuseppe Varotti (1733), Nicola Bertuzzi (1734-35), Jacopo Alessandro Calvi (1757), Pietro Fancelli (1784), Domenico Piò (1733), Filippo Scandellari (1737), Antonio Trentanove (1766), Giacomo Rossi (1770), Giles Hussey (1731), Gasparo Henghell (1736), Georg Anton Urlaub (1746), Francesco Pancaldi da Ascona (1761), Johann Baptist Hagenauer (1763). Riconoscimento di spicco fu poi, per gli artisti associati, il titolo di “Accademico d’onore”, e tra questi ricordiamo: Sebastiano Ricci (1723), Piazzetta(1727), Mengs (1752), Angelica Kaufmann (1762), Batoni (1763), Gavin Hamilton (1766), Zoffany (1774), Gian Domenico Tiepolo (1780), Bouchardon (1740), Cornacchini (1724), Saly (1748), Pietro Bracci (1763), Dumont (1750), Robert Adam (1757), Mylne (1759), Pollach (1784), Tatham (1795) solo per citarne alcuni. Entrarono in contatto con l’Accademia anche principi e regnanti come Giacomo III Stuart in visita nel 1728; il duca Pietro di Curlandia da cui prende il nome il premio Curlandese in occasione della sua visita a Bologna (1785); Federico II Landgravio d’Assia che fondò gli ordinamenti dell’Accademia di Kassel sull’esempio di quelli della Clementina. Non meno importanti furono le diverse “alleanze” tra la Clementina e le altre istituzioni consimili che la vedono stabilire buoni rapporti a Roma con l’Accademia di San Luca, suo archetipo, con L’Acadèmie Royale di Parigi, con l’Accademia di Brera a Milano e con l’Imperiale Accademia di Pietroburgo.

L’ Accademia Clementina di Bologna, dunque, non solo fu scrigno al cui interno si racchiuse la forza ereditata della grande pittura bolognese del Seicento ma trasmise tale cultura alle nuove generazioni, modellandosi come una moderna scuola di pittura, scultura e architettura; mantenne e sollecitò, come detto, anche i legami con le altre Accademie italiane e straniere. Nella sede di Palazzo Poggi si accumularono collezioni cospicue tra opere di maestri e allievi della scuola, dipinti e sculture non solo donate dagli Accademici d’onore ma anche donazioni del conte Marsili, di Benedetto XIV, del card. Ulisse Gozzadini, e l’importante gruppo di dipinti donato da Francesco Zambeccari. L’Accademia gestì compiti legati alla tutela e al controllo del patrimonio artistico, come la raccolta delle opere dei conventi e delle chiese soppresse in seguito ai provvedimenti napoleonici, gettando le basi di collezioni pubbliche che daranno origine alla Pinacoteca Nazionale. L’accademia si interessò anche delle problematiche legate al restauro (o riattazione) dei quadri: tale compito era dato ai pittori, avvezzi all’uso di pennelli e colori.

A Bologna con la nascita del governo giacobino in età napoleonica, L’Accademia Clementina, sarà trasformata in Accademia Nazionale di Belle Arti delineando differenze sostanziali con il passato sia sulle cariche sia sull’ordinamento didattico. Nel 1804, abbandonando la sede di Palazzo Poggi, l’Accademia “riformata” prende possesso dell’ex collegio gesuitico dove attualmente si trova, in via delle Belle Arti. Negli anni successivi, per quasi tutto il secolo, l’atteggiamento dell’Accademia, ancorata alla gloriosa tradizione del seicento locale, non permette l’inserimento della stessa nella circolazione di idee moderne, come invece succedeva a Roma e negli altri centri della cultura europea. Di questa tendenza fece parte il conte Carlo Filippo Aldrovandi, dal 1807 Presidente a vita; diversamente tra le eccezioni, ricordiamo: il letterato Pietro Giordani, l’architetto Giovanni Antonio Antolini e lo scultore Giacomo De Maria, capaci di influenzare i giovani più dotati tra cui Giuseppe Nadi, Adamo Tadolini e Alessandro Franceschi. Con la caduta del regime napoleonico la Reale Accademia divenne Pontificia Accademia e proprio sotto il dominio della Chiesa si consolidarono le funzioni di tutela e conservazione. Durante i moti del 1831 che portarono all’allontanamento da Bologna del Legato Pontificio, si decretò la chiusura dell’Università e dell’Accademia; mentre gli insegnamenti si tennero nelle case dei professori, i locali, adibiti a caserma, subirono gravi danni. Durante la presidenza del marchese Antonio Bolognini Amorini si mantenne ancora la barriera in difese della tradizione municipale e a stento, grazie ai contatti con l’ambiente artistico fiorentino, si riuscì ad intravedere le istanze dello storicismo romantico, mentre decisamente polemico risultò l’atteggiamento nei confronti del Purismo. Per la Pittura la responsabilità di tale atteggiamento conservatore in Accademia fu dovuta all’insegnamento di Francesco e Clemente Alberi che riproposero gli esempi della scuola carraccesca. Mentre alcune personalità di spicco furono escluse dal corpo accademico - come avvenuto per Felice Giani - altre lasciarono l’Accademia e la città stessa come il caso di Pelagio Palagi che, a cavallo dei sue secoli, ebbe un ruolo di prestigio nell’Accademia Nazionale, ma lasciò Bologna per ottenere commissioni importanti presso altre città. Diversamente la scultura, dopo gli insegnamenti di Giacomo De Maria, sensibile alla lezione canoviana, si rinnovò. Nel 1845 divenne presidente dell’Accademia il patrizio marchigiano Amico Ricci, illustre studioso d’arte: durante questa gestione si ripristinò il decoro dell’edificio dopo l’occupazione dei locali da parte delle truppe austriache. Tra gli artisti “riformatori” che predilessero il ‘vero’ spiccano Masini, Ferrari e Guardassoni.

Nel 1853 con la fondazione della Società protettrice delle Belle Arti, gli artisti preferirono i vantaggi della società, che permise la vendita delle loro opere, all’onore dei premi accademici. Cessato definitivamente il governo pontificio sulla città, nel 1859, il Governo delle Romagna decretò contemporaneamente lo scioglimento dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, perchè ritenuta inadeguata a rispondere alle istanze di una società in rapido mutamento, e la sua rifondazione sulla base degli statuti del 1803. La nuova normativa si basò sull’organizzazione territoriale per cui i compiti relativi alle Belle Arti furono affidati alle Accademie di Bologna, Modena e Parma; tale rapporto cessò nel 1860 quando le Accademie divennero dipendenti del Ministero della Pubblica Istruzione. Le vicende delle singole Accademie persero la loro autonomia per omologarsi nell’ordinamento nazionale. Segno tangibile della politica post-unitaria fu, inoltre, la chiamata di artisti di varia provenienza, tra cui Antonio Puccinelli che da Firenze portò il linguaggio purista rivitalizzato dal realismo dei Macchiaioli.

Altro momento fondamentale nella storia dell'istituto fu la nascita del “Premio Nazionale Cincinnato Baruzzi”, istituito nel 1885, reso possibile grazie al lascito dello scultore Cincinnato Baruzzi, e dedicato ai giovani artisti italiani d’età inferiore ai trent’anni, che avessero studiato in un’Accademia o presso un artista di chiara fama, e fossero in una provata condizione di disagio economico che impedisse l’esecuzione di opere importanti. Il Premio cesserà nel 1934, quando in pratica si esauriranno i proventi delle rendite dell’eredità dello scultore necessari al concorso: il Premio risulta quindi di fondamentale importanza per documentare le vicende dell’arte italiana di derivazione accademica nel delicato passaggio tra XIX e XX secolo, tra realismo ottocentesco ed estetica del Ventennio. Durante il Novecento, l’Accademia intervenne nella questione riguardante il rinnovamento della città e la salvaguardia del suo aspetto storico tramite l’opera di alcuni suoi Maestri: gli architetti Raffele Faccioli e Gualtiero Pontoni e il decoratore Achille Casanova - tutti legati ad Alfonso Rubbiani - a cui si riferisce anche il suo collaboratore Edoardo Collamarini che ampliò verso via Irnerio l’edificio che ospita l’Accademia e la Pinacoteca Nazionale. Con il Decreto del 1923 si rifondò tutta l’istruzione artistica, nell’ambito di quel riordinamento degli studi con il nome di Giovanni Gentile: da un lato gli istituti finalizzati all’addestramento della produzione artistica, dall’altro quelli preposti all’insegnamento dell’arte. Con la chiamata di Giorgio Morandi fu attivato l’insegnamento dell’incisione: dalle lezioni dell’artista, nacque una scuola fervida subito dopo affidata a Paolo Manaresi e Luciano De Vita. Ulteriori personalità che diedero una scossa all’ambiente accademico furono Virgilio Gudi e gli allievi Ilario Rossi e Pompilio Mandelli, docenti in Accademia. Da nominare ancora lo scultore Ercole Drei da cui emersero artisti quali Luciano Minguzzi e Quinto Ghermandi.

Ornella Chillè

Bibliografia: A. Emiliani (a cura di ), La pittura : l'Accademia Clementina : Bologna, Palazzi del Podesta e di Re Renzo, 8 settembre-25 novembre 1979 , catalogo della mostra, Bologna 1979; Renzo Grandi (a cura di ), Dall' Accademia al Vero: la pittura a Bologna prima e dopo l'Unita Bologna 1983; Fabia Farneti - Vincenza Riccardi Scassellati, L’Accademia di Belle Arti di Bologna, Fiesole 1997; AA.VV., Atti dell'Accademia Clementina : verbali consiliari - collana diretta da Andrea Emiliani, Voll. I-II-III-IV ; Giuseppe Lipparini, L'Accademia di belle arti di Bologna, Argelato 2003

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