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Pietro Fancelli

18 Maggio 1764 - 1850

Scheda

Pietro Fancelli nasce il 18 maggio 1764 a Bologna da Petronio, pittore d’ornato, e Orsola Benedelli. "Tra le poche notizie biografiche riportate nella Memoria di lavori di pittura stesa dall’artista felsineo è quella del suo rientro a Bologna nel 1784, all’età di vent’anni, dopo una lunga permanenza a Venezia accanto al padre Petronio quadraturista e ornatista che si era formato a Bologna presso Stefano Orlandi e quindi con Mauro Antonio Tesi nell’ambito dell’Accademia Clementina. Dopo i primi rudimenti ricevuti dal padre, che a Venezia si era stabilito di ritorno da Vienna al seguito del marchese Colloredo, Pietro Fancelli frequentò la bottega del ritrattista bresciano Ludovico Gallina. Rapida fu l’affermazione a Bologna dove nello stesso 1784 si aggiudicò il premio accademico Marsili Aldrovandi con il disegno Giasone e Medea e nell’anno successivo, così come nel 1787, vinse il premio Fiori; ma il riconoscimento delle sue effettive qualità avvenne nel 1791 quando gli fu aggiudicato il premio Curlandese per il dipinto della Morte di Virginia ora nelle Collezioni Comunali d’Arte. Nel medesimo anno infatti fu aggregato all’Accademia Clementina.

Parte dall’anno 1785 l’elenco delle opere che l’artista stilò nel 1837, o subito dopo sulla base di ricordi e di registrazioni contabili, secondo un ordine cronologico non sempre rispettato. Vi sono annotati 245 lavori, dagli affreschi alle pitture ad olio, dalle tempere decorative in collaborazione con paesisti (Vincenzo Martinelli, Rodolfo Fantuzzi) alle decorazioni murali al fianco di quadraturisti e ornatisti (il padre Petronio Fancelli, Gaetano Caponeri, Luigi Gibelli, Giuseppe Terzi) fino ai sipari di teatri e alle copie tratte da dipinti antichi. Numerose sono le pale d’altare (Bologna, chiesa di san Giacomo Maggiore; chiesa di Santa Maria Maggiore; chiesa di Santa Maria Maddalena; inoltre nelle chiese di Minerbio, Castel Guelfo, San Giovanni in Persiceto), alcune delle quali destinate a edifici di culto in Romagna (Faenza, chiesa di San Francesco); ma la sua attività si dispiegò soprattutto nel campo decorativo per la committenza nobiliare e borghese, specie negli anni della dominazione napoleonica (“1805. Per ordine Pubblico dipinsi in chiaroscuro a bon fresco sopra la Porta di S. Felice, Napoleone che riceve le chiavi presentatele da Felsina”). Folta fu inoltre la produzione di ritratti. La partecipazione alla vita dell’Accademia Clementina e in seguito dell’Accademia di Belle Arti, benché non priva di amarezze, lo avviò alla pratica del restauro di opere antiche, tanto di dipinti quanto di affreschi. Formatosi nella fase declinante dell’ancien régime, fu sensibile alla temperie gandolfiana; ma presto procedette alla revisione di quei modelli aderendo, se pure cautamente, agli ideali della moderna compostezza neoclassica. L’evoluzione dalla pala del monastero della Visitazione, nel 1786, con i Santi Francesco di Sales, Antonio da Padova e Carlo Borromeo, intessuta di grazie settecentesche della migliore accademia di Gaetano Gandolfi, alla pala della chiesa di Santa Maria Maddalena, registrata nel 1821, con San Francesco di Sales che prega la Vergine di liberare dalle febbri un infermo (dove l’infermo disteso nel letto cede verso il riguardante come Marat assassinato nel quadro di David, versione cattolica dell’iconografia rivoluzionaria) documenta l’anima ambivalente dell’artista, oscillante tra richiami alla tradizione e sollecitazioni che provenivano dall’esterno. L’esaltazione eroica dei santi Vincenzo Ferreri e Filippo Benizzi tra grandi ceri e l’incombente sepolcro alle spalle nella pala di S. Giovanni in Persiceto intercetta fermenti di modernità non comuni nell’ambiente bolognese, così come nei monumenti sepolcrali della Certosa le sue figure solenni, ispirate a una classica sobrietà, dialogano con la scultura canoviana del tempo. Concluse la vita a Pesaro dove si ritirò, vecchio e quasi cieco, attorno al 1845." (Angelo Mazza - Testo tratto dal volume “Felsina sempre pittrice” a cura di Angelo Mazza, Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna - Genus Bononiae. Musei nella Città, Bononia University Press, 2016. Trascrizione a cura di Lorena Barchetti).

Così viene ricordato da Ercole Bottrigari nella sua 'Cronaca di Bologna': "Oggi solamente ci è dato di sapere con grave rammarico che il benemerito nostro concittadino Pietro Fancelli, pittore figurista ed uno degli onorati avanzi dell'Accademia Clementina di Bologna è cessato di vivere il giorno 22 dell'ora scorso Gennajo in Pesaro ov'erasi recato per vivere presso una di lui Nipote che aveva mai sempre amata come una figliuola. Avea egli raggiunta felicemente la grave età d'anni 86. Fu buon pittore e laboriosissimo, e se nella sua gioventù, quando cioè si forma il gusto e lo stile, si fosse incontrato in tempi migliori relativamente all'arte, egli sarebbe divenuto un pittore eccellente. Vari e molti sono i suoi dipinti che veggonsi presso privati Cittadini e nelle Chiese. L'ultimo grandioso suo lavoro, bello per vastità di concetto, e per colorito, fu la tela o sipario che dipinse a tempera arditissima pel nostro Teatro Comunale, rappresentante il trionfo di Alessandro il grande. Peccato che quella tela vada deperendo ogni anno e sia condannata alla distruzione ed all'oblio. Lo stile suo corretto, aveva qualche analogia con quello dei pittori Gandolfi".