Salta al contenuto principale Skip to footer content
Home

La Lotta di Liberazione 1943 | 45

Seguici su
Cerca

Biografie come e perchè

Le biografie sono tratte (salvo pochissimi casi) dalla monumentale opera “Gli antifasciti, i partigiani e le vittime del fascimo nel bolognese (1919-1945)" a cura di Alessandro Albertazzi, Luigi Arbizzani, Nazario Sauro Onofri, edito da ISREBO (1985-2005).
I testi con le biografie dei protagonisti sono aperti al contributo di quanti abbiano possibilità di migliorarle con informazioni, foto, documenti, tenendo conto che i contenuti presenti si riferiscono essenzialmente alle ragioni della loro partecipazione agli eventi legati alla lotta di Liberazione, e non all'epoca successiva
Lo scopo principale di quella pubblicazione e di questo portale web è di lasciare alle future generazioni le biografie dei bolognesi che combatterono e si sacrificarono per riconquistare la libertà e l'indipendenza nazionale e di quelli che subirono, più degli altri, le dure conseguenze della dittatura fascista e dei martiri della ferocia nazista, degli ebrei perseguitati e uccisi per motivi razziali e di quanti hanno subìto, in qualsiasi modo, la violenza fascista.
Queste biografie possono aiutarci a comprendere, in modo compiuto e preciso, i diversi aspetti di quel grande fenomeno storico e di massa che fu la lotta antifascista prima e di liberazione poi. Ecco perché al primo dato - il cognome e il nome - ne sono stati aggiunti altri non meno importanti, quali l'età, il luogo di nascita e quello di residenza nel 1943, il titolo di studio posseduto nel 1943, il mestiere esercitato sempre nel 1943, il periodo della durata - quello riconosciuto ufficialmente - della partecipazione alla Resistenza e altre notizie secondarie, ma non meno importanti come il servizio militare prestato, il partito di appartenenza, le decorazioni ricevute e altro ancora.
Alla base di questo lavoro sta - per non dire del dovere di ricordare i nomi e le gesta di quanti hanno preso parte alla lotta contro il fascismo prima e il nazifascismo poi - l'esigenza di chiarire in termini quantitativi e qualitativi la dimensione reale dell'antifascismo e della lotta di liberazione. Il Dizionario biografico costituisce, quindi, la premessa indispensabile per ogni ulteriore riflessione e intervento sull'argomento. Ma per realizzarlo occorreva risolvere preliminarmente alcuni problemi.
La parte più consistente del Dizionario biografico è rappresentata dai partigiani, patrioti e benemeriti. Per censirli, i curatori si sono serviti - nel 1975, quando è iniziato questo lavoro - degli elenchi compilati nel 1946 dalla commissione regionale per il riconoscimento dei partigiani e delle schede di iscrizione all'ANPI. Tra questi due fondi esistono non poche disparità, se non altro perché nel primo dovrebbero trovarsi i nomi di tutti gli aventi diritto, mentre nel secondo quelli di coloro che si sono iscritti all'ANPI. Va aggiunto che non sono stati trovati tutti gli elenchi della commissione regionale. Al Distretto militare si trovano le cartelle con la posizione militare di tutti i partigiani, ma - è noto - solo gli interessati possono avere quella personale. Tutto il materiale relativo ai riconoscimenti partigiani, che si trova presso i ministeri a Roma, è stato liberalizzato solo da pochi anni e non è stato quindi consultato e, tanto meno, utilizzato.
All'ANPI era ed è iscritta la stragrande maggioranza dei partigiani bolognesi, i cui nomi sono stati annotati a mano in elenchi annuali, in occasione del tesseramento. Questo almeno nel primo decennio postbellico. Se si considera che i compilatori di questi elenchi erano più portati a tenere in mano una vanga o una pinza, che non una penna, si capirà perché non pochi nomi abbiano subìto delle mutazioni radicali in queste continue trascrizioni. Gli elenchi della commissione regionale, inoltre, sono aggiornati al 1946, mentre gli aventi diritto hanno avuto a disposizione quasi un ventennio per chiedere il riconoscimento della qualifica di partigiano o modifiche su riconoscimenti precedenti. Non sono stati trovati gli elenchi successivi al 1946.
Mentre era in atto la collazione di questi due fondi, da una stanza "segreta" della sede dell'ANPI - all'epoca in via Rizzoli 2 - sono saltati fuori altri due fondi non meno importati dei quali si era perduta la memoria: i moduli personali che i partigiani riempirono subito dopo la Liberazione e le schedine personali con foto, anche queste dell'immediato dopoguerra. Questi documenti erano stati "nascosti" all'inizio degli anni Cinquanta, quando erano in atto pesanti persecuzioni antipartigiane.
Il lavoro di collazione dei quattro fondi è ripartito da zero e di tutti i nomi sono state chieste le doverose verifiche anagrafiche agli uffici di stato civile dei comuni indicati come luogo di nascita. Per questa verifica sono stati compilati circa 40 mila moduli. La stragrande maggioranza dei comuni bolognesi hanno risposto di buon grado alle richieste, mentre solo pochi hanno rifiutato ogni collaborazione sin dall'inizio, con i pretesti più diversi. Dopo l'approvazione della legge sulla privacy non pochi comuni hanno interrotto la collaborazione, per cui alcune biografie degli ultimi volumi hanno i dati anagrafici incompleti. Con gli elementi ricavati dai documenti ufficiali, dai giornali e dai saggi storici sono state compilate le biografie pubblicate nei volumi II, III, IV e V. Il VI, l'Appendice, contiene le biografie omesse nei volumi precedenti, le poche interamente rifatte e aggiunte o modifiche a quelle già pubblicate. In particolare le aggiunte riguardano le nuove notizie ricuperate dai fascicoli personali depositati nel Casellario politico centrale per le biografie dalla A alla L.
Al termine del lavoro sono rimaste - come detto - 1.642 biografie dei cui titolari non è stato possibile avere alcun riscontro anagrafico. Alcuni di questi biografati non esistono - perché i nomi sono stati storpiati a causa delle continue trascrizioni a mano -mentre di altri i documenti potrebbero essere andati smarriti. Queste biografie - tutte brevissime e con dati incompleti - sono state pubblicate egualmente nel VI volume, a pagina 297.
Per la scelta delle biografie da inserire, i curatori si sono attenuti a tre criteri: 1) quelle delle persone nate nei comuni della provincia di Bologna o ivi residenti nel 1943 e che hanno operato entro i suoi confini; 2) quelle delle persone nate o residenti nel 1943 nella provincia di Bologna e che hanno operato in altre province; 3) quelle dei non bolognesi che hanno operato nella provincia di Bologna.
Questa scelta operativa non è stata facile da attuare. Basti pensare alle persone nate a Bologna, dove hanno risieduto per qualche anno, e poi trasferitesi in altre città. Un'ipotesi. Un individuo che nasce a Bologna e sugli 8-10 anni si trasferisce a Milano -dove cresce, studia, lavora e si sposa - deve essere considerato bolognese o milanese? Per queste biografie i curatori hanno scelto caso per caso.
La scelta più difficile è stata quella relativa a Giorgio Paglia, nato a Bologna nel 1922 da padre bolognese e madre lombarda. Nel 1923 si trasferì in Lombardia e qui prese parte alla lotta di liberazione. Catturato dai fascisti, gli fu concessa la vita perché il padre, caduto in Etiopia nel 1937, era stato decorato di medaglia d'oro. Giorgio Paglia rifiutò la grazia, se non fosse stata concessa anche ai partigiani catturati con lui. Poiché i fascisti respinsero la richiesta, affrontò il plotone d'esecuzione.
L'aspetto principale di questa biografia non è tanto il gesto eroico e generoso del giovane - anche quello - ma il fatto che il nonno paterno è Callisto Paglia, uno dei due firmatari del Concordato Paglia-Calda. Nel 1920, quand'era presidente dell'Associazione provinciale agricoltori, fu - sia pure attraverso l'Associazione di difesa sociale - uno dei principali finanziatori e sostenitori del Fascio di combattimento di Bologna. Anche ammettendo che fosse bolognese per nascita e lombardo per formazione, era possibile omettere la biografia di Giorgio Paglia? Il Dizionario biografico è un testo di storia, ma non per questo deve ignorare risvolti politici molto importanti e significativi come quelli che riguardano la famiglia Paglia.
Anche per i non bolognesi che hanno operato a Bologna, sia pure per breve tempo, i curatori hanno deciso caso per caso. È stato incluso Giuseppe Alberganti* che, per non più di 6 mesi, è stato responsabile regionale del Triumvirato insurrezionale del PCI. Fuori è rimasto Giovanni Leone Castelli, detto Nanni, un fascista di Foggia, che fondò "L'Assalto" nel 1920, quando prestava servizio militare a Bologna, e passò in seguito all'antifascismo. Anche se fu il fondatore del settimanale del Fascio bolognese, non ha mai avuto la residenza a Bologna e non vi è più tornato in seguito. Tra gli esclusi va ricordato Roberto Serracchioli, fucilato dai fascisti il 7.8.1944 a Rovereto sulla Secchia (MO), che negli anni prebellici e bellici, quando studiava all'università di Bologna, fece parte del gruppo Ragghianti svolgendovi un ruolo attivo. La biografia è stata omessa perché nato a Parigi e residente a Mirandola (MO) nel 1943.
Più facile la decisione per le biografie delle persone nate occasionalmente a Bologna, dove non hanno mai abitato, perché i genitori non erano bolognesi. Sono state quasi tutte escluse. Più complicata è stata la scelta per le persone non di Bologna, ma uccise dai nazi-fascisti in questo o quel comune della provincia dove erano finite casualmente.
Un esempio. Nell'estate 1944 i tedeschi rastrellarono in Toscana migliaia di persone e le trasferirono nel Bolognese dove furono addette - dopo essere state detenute nelle Caserme rosse a Corticella - ai lavori di costruzione di opere militari e, in particolare, della Linea Gotica. Non poche di queste furono fucilate o persero la vita in varie circostanze. Questi martiri possono figurare nel dizionario dell'antifascismo bolognese? Sia pure con rammarico, sono stati esclusi quasi tutti.
Un interrogativo analogo i curatori si sono posti per i numerosi partigiani modenesi - cioè nati e residenti nel Modenese e militanti in brigate di quella provincia - che furono portati a Bologna nell'inverno 1944-45 per essere fucilati e inumati nelle fosse comuni di S. Ruffillo. Anche questi sono stati quasi tutti esclusi.
Un problema di non facile soluzione è stato quello dei partigiani bolognesi che hanno operato in brigate di altre province, come la Nannetti di Belluno e la 7a Modena, o dei partigiani romagnoli, in particolare di Ravenna, che hanno militato nella 36a brigata Bianconcini e nella brigata SAP di Imola. Questi partigiani devono essere inclusi nel Dizionario biografico in base al terzo punto dei criteri adottati - e sono stati inclusi - ma, contemporaneamente, potrebbero figurare in dizionari analoghi, fatti nelle città dove risiedono, con il risultato, del tutto involontario, di gonfiare gli elenchi dei patrioti.
Lo stesso discorso vale per i partigiani del distaccamento di Sambuca Pistoiese della brigata Toni Matteotti Montagna nati o residenti in provincia di Pistoia. Sono stati inseriti perché militarono in una brigata bolognese, anche se sono rimasti sempre nella loro provincia e non hanno mai messo piede - se non occasionalmente - in quella di Bologna. Sono pure stati inclusi i nomi dei partigiani del comune di Crevalcore che hanno operato in brigate della provincia di Modena e quelli di partigiani di brigate modenesi e romagnole nati nel Bolognese, ma che hanno operato fuori dai confini della nostra provincia. Anche se questi partigiani potrebbero figurare in dizionari analoghi al nostro, sono stati inclusi perché bolognesi di nascita.
Sono stati esclusi quasi tutti i partigiani - a meno che non fossero nati o residenti nel Bolognese - che hanno militato in brigate di altre province, ma che hanno operato nel Bolognese. Il caso più significativo è quello della divisione Modena Armando, comandata da Mario Ricci "Armando", che nel settembre-ottobre 1944 si spostò dalla provincia di Modena a quella di Bologna, occupò la zona tra Porretta Terme e Lizzano in Belvedere e restò in linea sino all'aprile. Di questa divisione, i curatori hanno preso in considerazione solo la 7a brigata Modena perché composta prevalentemente di bolognesi e perché inquadrata, successivamente, nella divisione Bologna montagna Lupo. Vi sono state anche alcune brigate della Toscana che, sia pure per breve tempo, hanno operato nel Bolognese, come la Bozzi. Sia questa sia le altre della divisione Modena Armando sono state ignorate, anche se è stato fatto il tentativo di ricuperare i partigiani di quelle formazioni nati o residenti nel Bolognese.
Inutile dire che questo criterio di scelta ha provocato spiacevoli omissioni. I curatori non hanno avuto dubbi quando hanno escluso partigiani di altre città trasferitisi a Bologna dopo la Liberazione. Il caso più emblematico è quello della Medaglia d'oro Gastone Piccinini vissuto a Bologna per quasi un cinquantennio e qui morto. Non si poteva fare diversamente, anche se era divenuto un bolognese autentico.
Un'altra non piccola difficoltà i curatori hanno dovuto superare per le biografie dei partigiani nati in un comune bolognese, il quale è stato aggregato, in seguito, ad altra provincia. Ma è avvenuto anche il contrario. Castelfranco Emilia, che ha sempre fatto parte del Bolognese e dove si parla il dialetto bolognese, nel 1929 fu aggregato alla provincia di Modena. I curatori hanno deciso di biografare solo quegli antifascisti che hanno avuto rapporti con Bologna, anche dopo essere divenuti modenesi. Per questa ragione è stata messa la sigla BO nei dati anagrafici delle persone nate prima della cessione del comune alla provincia di Modena. È così successo che molti antifascisti e partigiani, che avrebbero potuto figurare nel Dizionario biografico perché nati bolognesi, sono stati esclusi perché divenuti modenesi.
Un analogo discorso va fatto per Pieve di Cento, un comune ferrarese divenuto bolognese nel 1929. Con la differenza che qui sono stati ereditati - se così si può dire -degli antifascisti e dei partigiani nati ferraresi, ma divenuti bolognesi.
Resta il problema dei bolognesi che abitavano nei comuni confinanti con altre province. È noto che in questi comuni di "frontiera" vi è sempre stato un grande movimento, con flussi migratori poco studiati, ma di notevole dimensione.
Da un esame campione è stato accertato che molti bolognesi trasferitisi in altre province - non importa se per breve periodo o permanentemente - hanno preso parte alla lotta di liberazione in brigate non bolognesi. Il fenomeno riguarda, in modo particolare, le province di Modena e Ravenna e meno quelle di Ferrara e Pistoia. Per avere la misura esatta del fenomeno e ricuperare i nomi di tutti i bolognesi per nascita - anche se nel 1943 risiedevano altrove - si sarebbero dovuti esaminare gli elenchi dei partigiani delle quattro province interessate. Questo lavoro non è stato possibile farlo.
Di questi partigiani sono stati ricuperati i nomi e le biografie di quelli che, dopo la Liberazione, si sono ritrasferiti nella provincia d'origine e si sono iscritti all'ANPI di Bologna. Degli altri e di quelli che, dopo il rientro nel Bolognese, non si sono iscritti all'ANPI non si sa nulla.
Molto più difficile il ricupero dei partigiani bolognesi che hanno operato nelle altre regioni, dove risiedevano prima della Resistenza e dove hanno continuato a risiedere anche dopo. Pure problematico il ricupero dei partigiani che occasionalmente hanno operato in queste regioni, pur abitando a Bologna, dove sono rientrati dopo la guerra. Di questi si sa poco perché il certificato di riconoscimento partigiano si trova nelle province dove hanno operato. Per avere queste informazioni i curatori avrebbero dovuto chiedere alle sezioni dell'ANPI di tutte le città italiane di espungere dai loro elenchi i nomi dei bolognesi. Anche questo lavoro non è stato possibile fare. Dei partigiani, che hanno avuto il riconoscimento in città diverse da Bologna, si conoscono i nomi di quelli che - una volta tornati nel Bolognese - si sono iscritti all'ANPI.
Restano due gruppi di partigiani la cui identificazione non è stata facile: quelli che hanno combattuto nei Balcani o in altre nazioni europee ed i militari internati in Germania dopo l'8 settembre 1943, i cosiddetti IMI.
Il gruppo più consistente dei partigiani che hanno combattuto all'estero è quello dell'ex Jugoslavia, seguito da quelli di Grecia e Albania. È molto ricca la letteratura su questi militari regolari abbandonati in territorio straniero e divenuti partigiani nei reparti italiani o in quelli dei paesi che li ospitavano. Ma mancano elenchi nominativi completi.
Poiché il Distretto militare non fornisce questi dati - come già detto, possono essere richiesti solo dall'interessato - il Dizionario biografico pubblica le biografie di quelli che si sono iscritti all'ANPI dopo il 1945. Il dottor Leo Taddia ha fornito un elenco, sia pure incompleto, dei militari che hanno preso parte alla lotta di liberazione in Jugoslavia.
Non è stato facile censire i bolognesi che hanno preso parte alla lotta di liberazione in Francia e in Belgio. Nelle poche pubblicazioni esistenti non vi sono elenchi nominativi e non sempre i nomi sono accompagnati dall'indicazione del luogo di nascita. Pochissime, pertanto, le biografie riportate.
Diverso il discorso per gli IMI. La federazione di Bologna dell'Associazione ex internati ha ritenuto di non consegnare ufficialmente l'elenco dei militari bolognesi internati nei lager tedeschi, richiesto dai curatori all'inizio del lavoro. Com'è noto, questi militari hanno avuto la qualifica di volontari della libertà. I nominativi di questi patrioti sono contenuti nella pubblicazione I 600.000 dei lager, curata nel 1988 dalla federazione bolognese dell'ANEI.
Nella redazione delle biografie i curatori si sono attenuti al criterio della massima sinteticità, anche se non per tutti i biografati è stato possibile contenere la narrazione in poche righe. Molti personaggi richiedevano una trattazione che non fosse una semplice e sintetica elencazione dei principali episodi della loro vita. Si è trattato di una scelta - se così si può dire - che non è stata operata dai curatori, ma che si è imposta, in quanto non era oggettivamente possibile fare diversamente. Non pochi biografati trascendono i limiti provinciali perché hanno una dimensione nazionale. Tutte le biografie terminano con la fine della guerra.
Un'altra considerazione ancora va fatta, relativamente alla lunghezza delle biografie. I curatori hanno esplorato i fondi noti e usato - a loro discrezione - il materiale ricuperato. Ma non è certo che abbiano trovato e, di conseguenza, utilizzato tutto l'esistente. Resta il sospetto, se non la certezza, che quando la prefettura e la questura di Bologna verseranno all'Archivio provinciale dello stato i loro materiali molte biografie dovranno essere aggiornate, se non riscritte. Quindi, la lunghezza delle biografie non corrisponde all'importanza del personaggio, ma alla quantità del materiale reperito.
Le 5.613 schede depositate all'archivio di Roma sono di antifascisti che hanno subito condanne, assegnazioni al confino, diffide e ammonizioni. Non erano inviate a Roma - ma trattenute a Bologna, dove sono state conservate - le schede degli antifascisti cosiddetti minori, che erano attivi e controllati, ma non rappresentavano un pericolo e che, in ogni caso, non avevano subìto provvedimenti giudiziari o amministrativi. Queste schede potrebbero essere tra quelle - come detto - versate recentemente all'archivio provinciale e in fase di sistemazione.
Va detto, infine, che molti personaggi che compaiono nel Dizionario biografico hanno avuto, dopo il 1945, prestigiose carriere politiche o professionali delle quali, ovviamente, non si parla. Inoltre, non va dimenticato che molti biografati hanno mutato, nel frattempo, condizione sociale e posizione professionale e alcuni anche l'orientamento politico. Per questo va precisato che i partiti politici attribuiti ai biografati sono quelli cui aderivano prima e, in ogni caso, sino al 1945. Lo stesso vale per il titolo di studio e la professione indicati. A molti è stata attribuita la generica qualifica di antifascista non per scelta dei curatori, ma perché è quella che figura ufficialmente nelle schede del Casellario politico centrale.
Quanto poi alle attribuzioni politiche fatte dalla polizia ci sarebbe da fare un lungo discorso. Per anni, soprattutto all'inizio del XX secolo, la qualifica di anarchico è stata attribuita ad elementi asociali o senza fissa dimora. A partire dagli anni Trenta quella di comunista è stata attribuita a quasi tutti gli oppositori del regime. Il caso più clamoroso è quello di Paolo Fabbri nato a Conselice (RA), ma residente a Bologna. Fu uno dei principali esponenti del PSI e militò sempre nell'ala riformista. Nella scheda è classificato comunista. Inoltre, ricevevano questa qualifica tutti coloro il cui orientamento politico non era certo. A pochi è stata assegnata la qualifica di apolitico.
Il secondo inconveniente al quale i curatori hanno in parte rimediato, è quello di avere dovuto riassumere al massimo l'attività politica svolta dai biografati prima del 1919. Mentre era doveroso dare il massimo di notizie per il periodo 1919-45, i curatori hanno dovuto limitarsi a brevi cenni per quello precedente, anche se era indispensabile fare comprendere come quelle persone erano giunte alla scelta e all'impegno antifascista.
Per le biografie dei civili massacrati dalle SS tedesche nell'eccidio di Marzabotto è stata fatta una ricerca particolare per identificare le vere vittime e le persone morte in quei giorni, ma per cause belliche diverse dalla strage. Lo scopo era di stabilire il numero esatto delle vittime delle SS.
All'indomani della fine della guerra sono stati inumati in fosse comuni e poi raccolti nei sacrari i resti di tutti i morti della zona dell'eccidio, anche se le vittime vere della strage sono quelle uccise tra il 29 settembre e il 4 ottobre 1944. La pietà popolare ha voluto che fossero onorati allo stesso modo i martiri dell'eccidio e le persone che persero la vita sotto i bombardamenti o che saltarono sulle mine. È pure noto che allora prevalse il concetto - giustissimo, dal punto di vista umano - di riunire in un'unica sepoltura le famiglie distrutte dalla guerra, indipendentemente dalla causa della morte dei singoli componenti.
Per tutti questi caduti sono state fatte ricerche negli uffici anagrafici di Marzabotto, Monzuno, Grizzana Morandi e Vergato, i comuni maggiormente interessati. Analoga ricerca è stata fatta presso altri comuni e in particolare in quello di Bologna, perché non erano pochi i bolognesi sfollati sull'Appennino e uccisi nell'eccidio.
Dopo avere escluso i nominativi delle vittime civili - la cui morte era stata provocata dall'esplosione di mine, di granate o di bombe d'aereo o da malattie contratte per i disagi bellici - i curatori hanno biografato le vittime dell'eccidio e, al tempo stesso, tentato di ricostruire i nuclei familiari. L'eccidio di Marzabotto o di Monte Sole, come sarebbe più esatto chiamarlo, è tanto più grave se si considera che sono state distrutte intere famiglie.
Questa ricostruzione dei nuclei familiari è stata lunga e difficile. Molti comuni, avendo avuto gli uffici distrutti, non sono stati in grado di fornire indicazioni anagrafiche esaurienti per il periodo prebellico e bellico. Per questo, non sarà mai possibile stabilire con esattezza la vera causa della morte di molte vittime, il giorno e il luogo. A ciò si aggiungano gli errori materiali commessi nel dopoguerra quando sono stati ricostruiti gli uffici anagrafici. È successo - il caso è ipotetico - che in una famiglia una persona sia stata registrata come Zanini e il fratello o il padre come Zannini.
Nel dopoguerra gli uffici giudiziari hanno lavorato tra mille difficoltà quando hanno dovuto rilasciare dichiarazioni di morte presunta, per consentire ai superstiti di sistemare le vicende relative alle pensioni, agli assi ereditari e alle successioni. La maggior parte di queste dichiarazioni sono state fatte in base ad atti notori di questo o quel testimone, più che sui dati anagrafici. È così successo che alcune persone risultano morte in una certa data, se si leggono i documenti delle anagrafi ricostruite dopo il 1945, e in altra data in base alle testimonianze dei sopravvissuti.
Nel 1994, quando il IV volume del Dizionario biografico era pronto per andare in tipografia, è stato edito il libro “Marzabotto. Quanti, chi e dove” a cura del Comitato regionale per le onoranze ai Caduti di Marzabotto, nel quale sono pubblicati due elenchi con i nomi dei cittadini uccisi dai tedeschi e delle vittime civili di guerra dei comuni di Marzabotto, Monzuno e Grizzana Morandi. Nel volume non sono stati ricostruiti i nuclei familiari.
Da un confronto tra i nominativi del Dizionario biografico e quelli della nuova pubblicazione sono risultate non poche disparità, anche se i curatori del primo e del secondo volume si sono rivolti agli stessi uffici anagrafici, per non dire che un curatore è comune a entrambe le opere.
La responsabilità di tutte le biografie è stata assunta collegialmente dai curatori. Sono state siglate quelle per le quali il o i curatori hanno compiuto - anche quando si tratta di poche righe - ricerche apposite e ne hanno steso il testo. Anonime sono quelle ricavate dai vari fondi, per le quali è stato fatto un semplice lavoro di trascrizione, di correzione materiale e di completamento dei dati.

Nazario Sauro Onofri
Bologna, 2005