Poche e incerte sono le notizie dei primi insediamenti ebraici a Bologna nel III e IV secolo d.C. e la mancanza di documenti non ne permette un’attendibile ricostruzione. La prima testimonianza storica è del 1353: si riferisce a Gaio Finzi “Judeus de Roma”, che risiede in città e che svolge l’attività di straccivendolo.
Solo dalla seconda metà del XIV secolo si attesta la presenza ampia e stabile a Bologna di un nucleo di ebrei, provenienti da Fabriano, Pesaro, Orvieto, Rimini, in parte dediti all'attività di prestito su pegno, regolata con le autorità cittadine da una condotta, cioè un contratto che stabiliva gli accordi tra le parti. Numerose sono le attestazioni sui mercanti di seta e di panni e sugli "stracciaroli", i commercianti di stoffe, sull’attività tipografica, e non mancano notizie su molti altri umili mestieri (sarti, calzolai, ambulanti).
Al passaggio della città sotto il dominio dei Bentivoglio e poi alla diretta dominazione pontificia nel 1506, la relazione con la minoranza ebraica non si incrina ed anzi sono attestati nuovi insediamenti e un accrescimento della comunità nella città e nel contado. Il rilievo economico degli ebrei facilita il rinnovo delle condotte e il mantenimento della relazione che non entra in crisi nemmeno quando venne fondato a Bologna nel 1473 un Monte di Pietà.
La bolla Cum nimis absurdum del 1555, promulgata da papa Paolo IV, rappresenta un significativo mutamento di atteggiamento nella politica della Chiesa verso la minoranza ebraica e l’intenzione evidente era quella di troncare ogni legame fra cristiani ed ebrei, che da quel momento in poi avrebbero dovuto vivere in una quartiere della città loro assegnato, il ghetto, che viene perimetrato con l’erezione di mura e portoni. La relazione è definitivamente incrinata quando nel 1569 la bolla Hebraeorum gens impone agli ebrei dei domini pontifici di lasciare tutte le città, eccetto Roma ed Ancona; da Bologna se ne vanno circa 800 ebrei. Quando, nel 1586, sono riammessi in tutte le città dello Stato Pontificio, alcuni ebrei tornano a operare a Bologna, ma a seguito della bolla Caeca et obdurata del 1593 di papa Clemente VIII, i pochi ebrei riammessi, sono costretti ad andare via definitivamente.
Tra fine del Trecento fino al 1593, data dell'espulsione degli ebrei da Bologna, la città è stata uno dei centri più vivi della cultura ebraica della nostra penisola. Testimonianza di ciò sono stati, tra l'altro, il congresso dei rappresentanti delle comunità ebraiche dell'Italia centro-settentrionale, tenutosi a Bologna nel 1416; l'istituzione nel 1464 di una cattedra di ebraico (ad litteras hebraicas) presso lo Studio bolognese; il sorgere di un tipografia ebraica nelle ultime decadi del Quattrocento e di un'altra nella prima metà del secolo successivo; l'attività di numerosi medici ebrei; l'istituzione di una rinomata scuola di studi talmudici (bet midrash), fondata e diretta da Ovadyah Sforno nel primi decenni del Cinquecento. Inoltre, nell'incrociarsi dei flussi migratori determinati dall'espulsioni da paesi vicini, a Bologna la tradizione ebraica locale si arricchì degli apporti della cultura sefardita e di quella askenazita: il risultato fu lo sviluppo di una fiorente attività di copiatura e di decorazione di manoscritti ebraici di carattere religioso, letterario e scientifico.
Nei secoli XVII e XVIII non si rintracciano testimonianze di una comunità stabile di ebrei a Bologna, poiché gli editti pontifici imponevano loro divieti e limitazioni nello stabilirsi e nell’avere attività in città. A seguito della proclamazione della repubblica Cispadana nel 1796, nel settembre dello stesso anno l’esercito napoleonico entrò a Bologna, estendendo la Costituzione che, sul modello francese, garantiva l'uguaglianza giuridica a tutti i cittadini e stabiliva che nessuno potesse essere perseguitato per motivi religiosi: agli ebrei fu di nuovo consentito di abitare a Bologna e di diventare cittadini a pieno titolo, ottenendo la libertà di culto. Nel 1815, Bologna tornò di nuovo sotto la dominazione del governo pontificio, che ripristinò e riconfermò tutte le precedenti proibizioni e abolisce tutti i diritti civili e politici ottenuti con Napoleone Bonaparte.
La condizione d’inferiorità e discriminazione degli ebrei nello Stato pontificio durante questo periodo è ampiamente documentata; per reagire alle discriminazioni e alle ingiustizie, molti ebrei bolognesi partecipano ai moti risorgimentali del 1830-1831, poi all'insurrezione dell'8 agosto 1848 contro gli austriaci e i rappresentanti del governo pontificio, a pochi mesi dalla concessione di Carlo Alberto di Savoia agli ebrei di Piemonte, Liguria e Sardegna di una carta di emancipazione e del riconoscimento dei loro diritti civili, politici e religiosi (29 marzo 1848). Dal 1849, invece, papa Pio IX stabilisce delle nuove restrizioni per gli ebrei di Bologna, alleviati soltanto dalla solidarietà di alcuni bolognesi conquistati alla causa della libertà e dell'emancipazione degli ebrei. Quest’ultimo periodo di soggezione fu segnato dalla vicenda del bambino ebreo Edgardo Mortara, sottratto alla sua famiglia il 23 giugno 1858 per ordine del Sant’Uffizio, poiché battezzato all’insaputa dei genitori da una domestica cattolica, e portato a Roma alla Casa dei Catecumeni. Un caso che in breve tempo assunse una eco nazionale e internazionale.
Fra il 1859 e il 1860, con l'annessione dei territori delle legazioni pontificie al Regno d'Italia, tranne Roma, le comunità ebraiche riconquistarono la libertà. Un primo censimento dell’Italia unita fornì i dati relativi agli ebrei, e dunque anche agli ebrei di Bologna, relativamente alla loro consistenza numerica, grado di alfabetizzazione, composizione sociale: gli ebrei bolognesi sono 229, di cui 136 uomini e 93 donne, per lo più dediti alle attività bancarie, al commercio del grano e della canapa; gli ebrei analfabeti sono il 5,8% a fronte della media nazionale del 64,5%. Nel 1860 venne estesa anche a Bologna la legge Rattazzi, che regola la vita delle comunità israelitiche; nel 1864 si costituì l’Associazione volontaria israelitica di Bologna, che in seguito prenderà il nome di Comunità.
In Italia, l'emancipazione costituì la spinta decisiva per l'avvio di un nuovo e intenso lavoro culturale, scientifico e di pensiero dell'ebreo italiano. Il mondo ebraico italiano riuscì in breve tempo ad esprimere modelli culturali, che in più casi assunsero funzioni di guida per l'organizzazione culturale dell'ebraismo europeo. Posti in grado di accedere a studi e professioni senza le restrizioni del passato, anche molti ebrei bolognesi conquistano ragguardevoli posizioni nella vita cittadina e diedero un forte contributo alla vita politica, culturale ed economica della città; numerosi anche quelli che percorsero brillanti carriere nell'Università bolognese.
La prima guerra mondiale ha rappresentato un passaggio importante per la storia delle comunità ebraiche italiane: vi appare di assoluta evidenza l’idea di un proseguimento dell’emancipazione risorgimentale e il viaggio verso il progresso delle democrazie liberali. Si può quindi comprendere la forte adesione degli ebrei italiani alla Prima guerra mondiale e quindi anche quelli della Comunità bolognese.
I provvedimenti “a difesa della razza”, decisi dal governo fascista nel 1938, ebbero effetti devastanti sul mondo universitario italiano e dunque anche bolognese e sulla ricerca scientifica, effetti che non si esaurirono con la fine della seconda guerra mondiale. L’Università di Bologna vide l’espulsione numerosi docenti ebrei: tutti vittime della persecuzione, per alcuni non ci fu ritorno dopo la guerra, per altri il reintegro fu talvolta umiliante. L'esimio giurista Edoardo Volterra fu il primo rettore dell'Università di Bologna dopo la Liberazione.
Il 7 novembre 1943 iniziarono a Bologna le deportazioni nei campi di sterminio nazisti: 85 le vittime accertate, tra cui il Rabbino Alberto Orvieto. Tra gli ebrei bolognesi che parteciparono alla guerra di liberazione, numerosi furono quelli decorati al valore.
La Comunità ebraica bolognese si ricostituì nei giorni immediatamente successivi alla liberazione di Bologna nel 1945. Il Tempio, distrutto durante la guerra nel 1943, fu ricostruito e inaugurato nel 1954. La Comunità di Bologna, con sede in via de’ Gombruti 9, viva e presente nella vita culturale cittadina, è una delle quattro comunità attive nel territorio regionale dell'Emilia-Romagna.
Vincenza Maugeri