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La Chiesa di S. Girolamo della Certosa - La decorazione interna

1334 | 1796

Schede

Nel 1772, Luigi Crespi, nel suo libretto dedicato alla Certosa di Bologna che registrava minuziosamente l’assetto decorativo interno prima delle spoliazioni napoleoniche del 1797, affermava che se altre Certose possono contendere a quella della città felsinea il primato per la ricchezza e la monumentalità dell’impianto architettonico, quest’ultima sorpassava tutte le altre per la preziosità dell’apparato decorativo interno “Perché se altri in altre Città vantar possa di reggere Certose per Maestà di fabbriche forse più fastose, …e per iscolture più assai pregiabili, e per adornamenti più illustri, nulladimeno questa (la Certosa di Bologna) per abbondanza, e squisitezza di pitture tanto sovrasta, che ne pare la Regina di quante nella Cristiana Repubblica s’ammirano" (L. Crespi, La Certosa di Bologna descritta nelle sue pitture, Bologna, 1772, pp. 4-5). Dell’antica decorazione medievale poco ci resta anche se dal Monumenta Cronologica della Certosa (Ambrogio Sforza, Monumenta Cronologica Cartusia Bononiensis, 1678, ms.38/5883, c.69) sappiamo che la cappella maggiore, ultimata con ogni probabilità poco dopo la metà del Trecento, doveva contenere una tavola ad ornamento dell’altar maggiore, e ricchi apparati tra cui un bellissimo calice.

E’ sopravissuto, invece, il sontuoso polittico di Antonio e Bartolomeo Vivarini, destinato a decorare l’altar maggiore in sostituzione di quello medievale, che fu commissionato per volontà del papa Niccolò V, nel 1450, per onorare la memoria del defunto Beato Nicolò Albergati, priore del convento dei Certosini dal 1407 al 1417 e quindi vescovo della città di Bologna di cui il papa era stato segretario, maestro di casa e consigliere. Il polittico è raffinatissima espressione di quel gusto di Rinascimento umbratile (Longhi) che fonde una preziosità decorativa di stampo gotico con un’apertura verso una timida intuizione spaziale di tipo prospettico e una nuova consapevolezza formale che riflette gli aggiornamenti compiuti in relazione all’esperienza padovana di Antonio Vivarini nei lavori della cappella Ovetari agli Eremitani a contatto con la lezione di Mantegna. Il Polittico fu successivamente spostato sull’altare della Sacrestia in epoca di Controriforma, quando la zona absidale fu sottoposta ad un nuovo assetto decorativo, poi in epoca napoleonica portato presso l’Accademia di Belle Arti e quindi di lì passò nella Pinacoteca Nazionale di Bologna, dove si trova attualmente. Al 1538 risale il prezioso coro ligneo ricostruito da Biagio De Marchi, che con ogni probabilità si servì dei cartoni delle raffinate tarsie che decoravano gli stalli del coro eseguito nel 1488 da Melchiorre Provenzale, secondo le notizie fornite da Monumenta Cronologica. Il coro quattrocentesco era andato distrutto nel 1527 a causa del saccheggio operato in Certosa dai Lanzichenecchi di Carlo V.

In epoca di Controriforma, coincide con il priorato di Giovan Battista Capponi (1588-1613) la realizzazione di un vasto programma di rinnovamento dell’apparato decorativo interno che interessò la zona absidale e le neoedificate cappelle di S. Girolamo e di S. Giovanni Battista, poste rispettivamente a destra e a sinistra dell’entrata. L’artista più rappresentativo di questo piano di rinnovamento del complesso cartusiano e che incarna più fedelmente l’ideale di spiritualità ascetica dei certosini è senz’altro Bartolomeo Cesi, chiamato fin dai primi anni Ottanta a decorare ad affresco la Foresteria Nuova. Di questo ciclo decorativo sopravvive, in loco, un unico affresco raffigurante la Madonna col bambino San Giovannino, San Gerolamo e San Bruno. Spetta ancora a Capponi l’affidamento all’artista delle tre pale d’altare destinate a decorare la zona absidale e dedicate al tema della Passione di Cristo: “il priore Capponi fece fare tutte tre le pitture in tela come quelle su muro per mano di Bartolomeo Cesi...”. (cfr. S. Vicini 1990, p. 24 n. 30): Crocefissione, Deposizione (lato destro), Orazione dell’Orto (lato sinistro). Controversa la datazione di queste tele che sulla base della testimonianza del Malvasia si credevano realizzate alla metà del secondo decennio del Seicento, ma il ritrovamento di documenti in epoca recente (cfr. D. Benati, Per il percorso iniziale di Bartolomeo Cesi in “Paragone”, XXXI, 369, 1980, pp.2-28 e S. Vicini, Bartolomeo Cesi nella Certosa di S.Girolamo: nuove precisazioni, in “Accademia Clementina. Atti e Memorie”, 27, 1990, pp. 17-36) fanno propendere per una datazione sullo scorcio del Cinquecento.

In un arco di tempo compreso tra la fine del ’500 e l’inizio del ’600 si scala anche l’intervento di altri due “eccellentissimi pennelli”: Agostino e Ludovico Carracci. Agostino è l’autore di quella Comunione di S. Girolamo che divenne ben presto opera paradigmatica della riforma carraccesca sul versante del gusto classicista. Portata in Francia al tempo delle soppressioni napoleoniche, attualmente si trova presso la Pinacoteca di Bologna. Al suo posto sull’altare di S. Girolamo fu collocata una copia realizzata nel 1823 da Clemente Alberi. A Ludovico Carracci spettò la realizzazione della pala d’altare raffigurante la Predica del Battista (datata e firmata 1592) che decorava anticamente l’altare della cappella di S. Giovanni Battista, posta di fronte a quella di S. Girolamo. Quando la cappella di S. Giovanni Battista fu dedicata a S. Bruno, il dipinto di Ludovico Carracci fu spostato nella cappella di S. Giuseppe per far posto a La visione di S. Bruno (1647) del Guercino. Tanto il dipinto di Ludovico Carracci, quanto quello del Guercino sono passati con le soppressioni napoleoniche alla Pinacoteca dove si trovano anche la Flagellazione e la Coronazione di spine di Ludovico Carracci. Queste due ultime tele, eseguite da Ludovico nel corso degli anni Novanta per la chiesa di S. Girolamo, erano inserite nella barriera di separazione fra chiesa “esteriore” e coro. Sull’altare della cappella di S. Bruno attualmente si trova un dipinto di Bartolomeo Cesi raffigurante La visione di S. Bruno circondato da sei Beati certosini, completamente ridipinto nell’Ottocento da Filippo Pedrini (G. Giordani 1828, p. XVIII, A. Raule 1961, p. 32). Le cappelle interne contenevano numerose opere degli allievi dei Carracci: Lucio Massari (Chiamata di Giacomo e Giovanni e il Compianto, 1620), Alessandro Tiarini (S. Bruno trovato morto da Ruggero e S. Caterina incoronata da Gesù), Giacomo Cavedone, (Miracolo di Sant’Anselmo) e Lorenzo Garbieri (Martirio di S. Stefano), dipinti che attualmente sono conservati presso la Pinacoteca felsinea.

Spetta a Don Daniele Granchio, ferrarese, priore del convento dei Certosini dal 1644 al 1660, continuare l’opera di abbellimento portata avanti dai suoi predecessori. E’ questo priore a commissionare ad alcuni tra i più rappresentativi pittori operanti allora a Bologna un ciclo di vaste tele dedicate alla raffigurazione di diversi episodi della vita di Cristo. Sotto il profilo stilistico questo ciclo cristologico si pone nel panorama artistico bolognese seicentesco come elemento di congiunzione tra le correnti di gusto classicista, imperanti nella prima metà del ’600 e le aperture verso un gusto di stampo barocco che si affermerà compiutamente solo nella seconda metà del ’600. Se infatti artisti come Francesco Gessi (La Pesca Miracolosa, 1645 e La cacciata dei mercanti dal Tempio, 1648), Giovan Andrea Sirani (La Cena in casa del Fariseo, 1652) ed Elisabetta Sirani (Battesimo di Cristo, 1658) si pongono su una linea di continuità col classicismo di stampo reniano, artisti quali Pasinelli (Cristo che appare alla madre assieme ai santi Padri liberati dal Limbo 1657, Ingresso di Cristo in Gerusalemme 1658) e soprattutto Canuti (Il Giudizio Universale 1658) portano avanti sperimentazioni luministiche e spaziali di segno già barocco. Fanno parte di questo ciclo anche una Natività (1644) di Nunzio Rossi, pittore napoletano che seguendo la testimonianza del De Dominici (Vite de’ Pittori, Scultori ed Architetti napoletani, Bologna 1742, p. 67) si era trasferito a Bologna per perfezionare il suo stile presso la scuola di Guido Reni. La sua opera, posta originariamente sulla controfacciata della chiesa, fu spostata in epoca ottocentesca all’esterno e precisamente nella Cappella della Madonna delle Asse (già Sala del Capitolo) per far posto all’organo. Attualmente il dipinto è conservato a Palazzo d’Accursio. Appartiene a questo ciclo anche La resurrezione di Cristo (1651) di Giovanni Maria Galli Bibiena il Vecchio detto Bibiena, in cui ripropone il gusto di classicismo tenero e sentimentale del suo maestro Francesco Albani.

Infine vale la pena ricordare che fino alle soppressioni napoleoniche del 1797, allorché il convento fu adibito ad usi militari, poi a partire dall’inizio dell’800 destinato a cimitero comunale, i certosini continuarono ad abbellire la chiesa di S. Girolamo, il Capitolo e il Refettorio con opere di maestri di fama quali Giovanni Maria Viani (S. Bruno, la Beata Rosolina rispettivamente per il Refettorio e il Capitolo), Ubaldo Gandolfi (S. Francesco di Paola destinato al Capitolo), Giuseppe Maria Crespi (SS. Trinità, Madonna e Santi, Sant’Orsola), dipinti che, come i più, passarono all’Accademia di Belle Arti e successivamente nella Pinacoteca, mentre a documentare l’assetto decorativo di epoca settecentesca permangono ancora in sagrestia, La Vergine e il Bambino in gloria, la Maddalena e Sant’Ugo di Giovan Girolamo Bonesi e il Beato Nicolò Albergati appare in sogno a Tommaso Parentucelli da Sarzana predicendogli il pontificato di Ercole Graziani, allievo di Donato Creti.

Armanda Pellicciari