Schede
Nella grande ancona d’altare cinquecentesca è posta la copia che Clemente Alberi (1803 - 1864) trasse dalla pala di Agostino Carracci (1557 - 1602) raffigurante l’Ultima Comunione di San Girolamo. La copia fu donata alla chiesa di San Girolamo dal principe Spada nel 1825, come risarcimento per la perdita dell’originale, trasferito alla Pinacoteca nazionale in seguito alle soppressioni. Ai lati dell’ancona sono appesi gli Evangelisti Matteo e Marco del pittore napoletano Nunzio Rossi (1626 - 1651). Sulle pareti si fronteggiano La Cena in Casa del Fariseo (1652) di Giovanni Andrea Sirani (1610 - 1670) e Il Battesimo di Cristo (1658), prima opera pubblica di sua figlia Elisabetta (1638 - 1665). Ai lati dei due dipinti si trovano coppie di tele centinate raffiguranti beati certosini, opera degli stessi autori. Sotto il Battesimo di Cristo si trova il monumento sepolcrale in marmo al cardinale Moretti (1882), scolpito da Enrico Barberi (1850 -1941). Nella chiave di volta è affrescata la figura di S. Girolamo. (Antonella Mampieri)
Il grande altare cinquecentesco contiene una copia fedele della celebratissima Comunione di san Girolamo di Agostino Carraci (1557-1602). La replica si deve al bolognese Clemente Alberi (1803 - 1864), che la eseguì nel 1824 in sostituzione dell'originale che nel 1796 fu portata a Parigi e che solo nel 1815 rientrò dal Louvre per confluire nella nascente Pinacoteca Nazionale. La base dell'altare è decorata da un ricchissimo paliotto in scagliola dove, tra racemi e girali di fiori è posta al centro la rappresentazione di San Girolamo nel deserto. Sia questo paliotto sia quello simile che decora l'Altare di san Bruno, sono attribuiti a Domenico Pianon, attivo a Bologna alla fine del XVII secolo, che qui esegue i suoi capolavori e uno degli esempi migliori tra le scagliole bolognesi giunte fino a noi. Luigi Crespi ne La Certosa di Bologna descritta nelle sue pitture (1793), così scrive in merito alla pala di Agostino Carraci, dipinta tra 1591 e 1592: ella è senza esagerazione sì maestrevolmente istoriata, caratteristicamente disegnata, e teneramente colorita, che fa stupire qualunque sguardo intelligente, siccome fece atterrire, allora quando dipingevala, il Cesi Pittore, ed ingelosire lo stesso fratello Annibale a segno, che dal primo si usò ogni arte, perchè i Monaci non lo prendessero, e dal secondo ogn'industria per persualderlo a lasciar il dipingere. (…) Egli fece questo Quadro, allorchè fu di ritorno a Venezia, e veramente vi si vede l'impressione, che in lui avevano fatta le maniere di Tiziano, e di Paolo; onde a tutta ragione viene giudicata dagl'intendenti questa per la più bell'opera, che si facesse giammai. (Roberto Martorelli, novembre 2011)