Scheda
Giovan Andrea Sirani (Bologna, 1610 - ivi, 1670), esponente di primo piano della pittura barocca bolognese, inizia molto giovane la sua educazione da Florio Macchi, paesaggista allievo di Ludovico Carracci, e successivamente presso Benedetto Possenti e ancora nella bottega del Cavedoni, dal quale riceve una solida formazione nel disegno. Quando iapproda nella bottega di Guido Reni la sua abilità nella rappresentazione grafica è indubbia, tanto che il maestro affida all’allievo il compito di riportare i cartoni sulle tele e abbozzarle, il che mette continuamente il Sirani in contatto con nuove invenzioni volte a stimolare le sue capacità. Il Malvasia, biografo e amico “gran pratico del Sirani” come lui stesso afferma, dà diverse informazioni sull’artista, dalle quali emerge l’abilità con cui seppe entrare nelle grazie di Guido Reni, per la sua pratica disegnativa ma anche per la sua disponibilità ad assecondare i compiti assegnati dal maestro. Il ruolo assunto da Sirani nella bottega reniana è oggetto di invidia da parte dei compagni, che specialmente in Cantarini trova forte rivalità. Dagli appunti del Malvasia emerge dunque una personalità un po’ ostile nei confronti dei colleghi, ma anche poliedrica e curiosa, infatti si dedica allo studio della medicina, delle scienze, al collezionismo di libri, alla sperimentazione sulle tinte, sulle tonalità e sugli effetti della luce naturale e artificiale. Tra le doti riconosciute al Sirani si dice, nelle note del Malvasia, che egli avesse grande cura nella preparazione delle tele, finemente levigate e lasciate per lungo tempo a riposare, per fare in modo che il colore, steso in maniera sottile, non venisse assorbito dall’imprimitura rendendogli così maggiore resistenza e durabilità nel tempo.
Le opere che segnano la sua prima attività evidenziano un adesione quasi mimetica alla seconda maniera “chiara” del Reni, tanto che l’abilità del Sirani nel “contraffare” lo stile del maestro gli consente di ultimare alcune opere lasciate da lui incompiute; soprattutto dopo la morte del Reni nel 1642 e con l’acquisita eredità di gran parte dei disegni della bottega. L’esperienza della tecnica unita alla grande arte pittorica ha reso problematica l’attribuzione di più opere, non è raro infatti che quadri di Giovan Andrea Sirani siano assegnati a Guido Reni. Significativo è il caso della tela con Rebecca ed Eleazaro di Palazzo Pitti, che entra nelle raccolte fiorentine come opera eseguita da Guido Reni fino quando sia Hermann Voss sia Roberto Longhi concordarono nell’attribuire la tela a Giovan Andrea Sirani. Il dipinto, del 1640 circa, conserva il linguaggio reniano nella narrazione senza tempo e nell’aspetto sognante, ma il Sirani integra un’impronta di impatto neoveneto. L’opera è infatti più vicina al gusto del contemporaneo Gessi e ben lontana dalla smaterializzazione delle forme preferita da Guido. Sirani resta fedele all’iconografia del testo biblico che descrive Eleazaro, servitore di Abramo incaricato di trovare una sposa per il figlio Isacco, che sosta dopo un lungo viaggio al pozzo di Carran. La scena si svolge in un paesaggio boschivo affollato da diverse figure femminili che partecipano all’episodio, anche l’unica donna rappresentata frontalmente, che sembra porsi a vis à vis con lo spettatore, in realtà rivolge lo sguardo verso gli attori principali, condividendo l’evento centrale. L’artista rappresenta il momento in cui Rebecca, nipote di Abramo, porge la brocca d’acqua ad Eleazaro offrendola, oltre che al servitore assetato, anche ai sui animali. Un’altro esempio di errata attribuzione è Ulisse e Circe (Roma, Pinacoteca Capitolina). L’opera assegnata da prima al Reni negli inventari antichi e inseguito ad Elisabetta Sirani, figlia del pittore, solo successivamente è stata riconosciuta come opera di Giovan Andrea Sirani. Ad avvalorare la definitiva attribuzione al Sirani padre sono elementi come la sottile superficie vetrosa che accoglie i passaggi di luce ampia e dorata, su una gamma cromatica ambrata, il taglio prospettico e il gusto neoveronesiano che sembra preannunciare il telero per la Certosa bolognese. La quinta architettonica, infatti, che si svela all’aprirsi del drappo scuro è una loggia che rimanda a modelli veneti come anche i giochi di luce calda e avvolgente. Il dipinto narra il momento in cui la maga Circe ammette la sconfitta e minacciata da Ulisse decide di liberare i prigionieri che ha precedentemente trasformato in maiali. Sulla destra la figura di Ulisse incombe sul gruppo di figure femminili sulla sinistra, e Sirani sviluppa il dipinto con grande equilibrio e simmetria compositiva.
Quando il Sirani nel 1652 esegue la grande tela per i padri Certosini, la Cena in casa di Simone (Bologna, Chiesa di San Gerolamo) la sua opera forse più rilevante, il pittore è ben cosciente dell’importante commissione tanto che appone firma e data a lettere cubitali, un caso unico nel suo percorso. La commissione per la Certosa gli consente di manifestare la piena affermazione del sua tecnica. Sirani infatti ha ormai superato l’interpretazione scolastica della maniera reniana, tanto da rivelare uno stile oramai maturo che, rielaborando suggestioni tratte dall’ambiente artistico bolognese del quinto decennio (dominato da pittori quali Tiarini, Albani, Desubleo, Guercino), raggiunge esiti di un linguaggio autonomo e di una tavolozza più vigorosa. Tuttavia ancora una volta è forte il legame che unisce Sirani e Reni, infatti i committenti liquidano all’artista parte del compenso pattuito, restituendogli addirittura la tavola di San Bruno iniziata e mai finita dallo stesso Reni per la Certosa. Quanto sia stato importante l’ambiente certosino per il Sirani è evidente nella grande pala dell’Assunzione per la chiesa di Santa Maria Assunta in Borgo Panigale eseguita nel 1656, dove, se pur inevitabile il confronto con i lavori del Reni sullo stesso tema, in quest’opera colpisce soprattutto la figura della Vergine solida e maestosa di impronta tizianesca, ben diversa dall’immagine eterea che è caratteristica nelle stesse rappresentazioni di Guido. Nel dipinto il pittore per la figura dell’Assunta preferisce un chiaroscuro marcato, dei toni brillanti e vivaci che si contrappongono ad uno sfondo torbido, dal quale si distacca con forza la figura centrale. Una soluzione di stesura a “macchia” senz’altro più vicina a Pasinelli o Cignani, suoi contemporanei che Sirani ebbe modo di guardare in corso d’opera. Dopo l’Assunzione per la chiesa di Borgo Panigale, non si rilevano opere abbastanza significative che segnano la fine del percorso artistico di Giovan Andrea Sirani, probabilmente ciò è dovuto al gravarsi della malattia del pittore e soprattutto al dolore per la morte della sua primogenita Elisabetta (Bologna, 1638 – 1665) a soli ventisette anni. Sirani in trent’anni di professione esercita il desiderio di rinnovarsi alla ricerca di una non sempre riconosciuta individualità, nel tentativo di un riscatto dalla maniera reniana e dalla propria fama di imitatore. Il cambiamento stilistico è avvertito anche dal Malvasia che annota “mai si fermò nella maniera” e parla dell’amico ponendo l’accento su una condotta di influenza veneziana. Giovan Andrea si pone quindi come un attento osservatore delle varianti proposte dai suoi contemporanei, accentuando il ruolo di mediatore tra il Reni e le generazioni della seconda metà del Seicento.
Benedetta Campo
Novembre 2011