Dozza Giuseppe

Dozza Giuseppe detto/a Domenico Mannelli, Francesco Furini, Lèon Somet, Ducati, Giuseppe Pozzi, Aldo Menetti

29 novembre 1901 - 28 Dicembre 1974

Note sintetiche

Titolo di studio: 2a ginnasio
Occupazione: Impiegato

Riconoscimenti

  • Partigiana/o ( 9 settembre 1943 - 21 aprile 1945)

Scheda

Giuseppe Dozza, «Domenico Mannelli, Francesco Furini, Lèon Somet, Ducati, Giuseppe Pozzi, Aldo Menetti», da Achille e Virginia Mattarelli; nato il 29 novembre 1901 a Bologna.
Dopo aver frequentato il secondo anno del ginnasio interruppe gli studi; fece prima il commesso di negozio di manifatture e, poi, l'impiegato. Appena quattordicenne si iscrisse alla federazione giovanile socialista della quale divenne poi segretario amministrativo. La prefettura bolognese, il 14 luglio 1919 lo reputava «socialista rivoluzionario» e disponeva che fosse «convenientemente vigilato» e pertanto lo schedò. Nel 1920, durante la lotta agraria, presiedette il comitato comunale delle organizzazioni dei lavoratori di Medicina. Aderì al PCI fin dal suo sorgere, il 21 gennaio 1921. Era bordighiano.
Divenne segretario della federazione comunista bolognese. Animò lo sciopero generale dell'Alleanza del lavoro. Processato nel 1922 sotto l'imputazione di «appartenenza a bande armate», venne assolto.
Nell'agosto dello stesso anno i fascisti diedero fuoco alla sua abitazione. Chiamato a Roma dalla direzione del PCI, fu addetto alla segreteria centrale.
Venne arrestato il 3 febbraio 1923 e processato poi, fra il 18 e il 26 ottobre seguente, assieme a diversi componenti del comitato centrale del PCI (Amadeo Bordiga, Umberto Terracini, Bruno Fortichiari, Ruggero Grieco, Giuseppe Berti, Edoardo D'Onofrio, Teodoro Silva, Giovanni Germanetto, Isidoro Azzario, Angelo Tasca, Giuseppe Vota, Antonio Gramsci) e a numerosi comunisti di varie province italiane (fra i quali i bolognesi Enio Gnudi, Paolo Betti, Arturo Vignocchi e Amleto Tibaldi): il primo processo ai comunisti italiani mandò assolti tutti gli imputati meno Alfeo Corassori, colpevole di mancata denuncia di una rivoltella. Divenuto, nel 1923, segretario nazionale della federazione giovanile comunista, ricoprì quella responsabilità fino al 1927. Fu redattore dell'organo giovanile comunista «L'Avanguardia».
Il 12 maggio 1924 sposò Santa Dall'Osso (detta Tina) già militante comunista dal 1921, la quale, poi, condivise le sue peripezie politiche in Italia e all'estero. Nel maggio 1924 partecipò alla conferenza consultiva del PCI alla Capanna Mara, vicino a Brunate (CO), ove avvenne uno scontro tra le mozioni di centro (Palmiro Togliatti), di sinistra (Bordiga) e di destra (Tasca). A seguito del dibattito sulle posizioni ideali a cui si ispiravano tali raggruppamenti, abbandonò la sinistra bordighiana e partecipò alla lotta contro di essa.
Il 18 aprile 1926 venne nuovamente arrestato, a Napoli, per «propaganda contro le leggi sindacali fasciste» e, tradotto a Roma nell'agosto dello stesso anno, posto in libertà provvisoria. Sfuggito alla polizia, venne processato in contumacia il 6 dicembre 1926 dalla corte d'assise di Napoli e condannato ad un anno di reclusione. Nel secondo semestre del 1927 espatriò clandestinamente. Coadiuvò Luigi Longo nella direzione del centro estero della FGCI; fu delegato a rappresentare la stessa federazione giovanile nell'Internazionale giovanile comunista. Latitante, fu stralciato della sentenza istruttoria del 29 febbraio 1928 che investì numerosi dirigenti comunisti. Nel giugno 1928 venne cooptato nel comitato centrale del PCI, assieme a Pietro Secchia ed a Giuseppe Di Vittorio. Operò in Svizzera e poi in Francia, dove rappresentò il PCI presso il partito comunista francese.
Al X Plenum dell'Internazionale comunista, dedicato alla discussione sul «socialfascismo» si schierò con Longo e Secchia, contro le posizioni espresse da Paolo Ravazzoli. Nella seconda metà del 1930, divenne dirigente del centro interno del PCI e ritornò clandestinamente in Italia sfuggendo ripetutamente alla polizia fascista. Partecipò al IV congresso nazionale del PCI, che si svolse tra Colonia e Dusseldorf (Germania) dal 14 aprile 1931 al 21 aprile 1931: venne eletto membro del Comitato centrale e, da questo, membro dell'ufficio politico. Successivamente venne delegato a rappresentare il PCI presso l'Internazionale comunista (1932-33) e fu nominato componente della segretaria del PCI all'estero. Al VII congresso dell'Internazionale comunista (Mosca, 25 luglio 1935-20 agosto 1935), dove fu membro del presidium del congresso, intervenne nella discussione esprimendo un giudizio critico sulle condizioni politiche nelle quali si verifico l'ascesa del fascismo in Italia. Tra l'altro, affermò: «Vorrei combattere la leggenda secondo cui il fascismo sarebbe giunto al potere in Italia senza incontrare resistenza e che il PC italiano non avrebbe seriamente lottato contro di esso. È inesatto. I nostri compagni hanno fatto grandi sacrifici e sono stati gettati a migliaia nelle carceri. Ma l'eroismo non basta, quando la linea politica adottata è sbagliata. Noi eravamo isolati dalle masse perché non avevamo fatto alcun lavoro nelle organizzazioni fasciste di massa. Soltanto da un anno noi abbiamo superato le difficoltà e gli errori commessi in questa direzione. Il Partito comunista italiano, applicando una linea giusta nel lavoro di massa, realizzerà i suoi compiti, nelle prossime lotte». Al termine del congresso venne eletto membro candidato dell'esecutivo dell'Internazionale.
Rientrato in Francia, partecipò alla fondazione dell'Unione popolare italiana e alla redazione del quotidiano «La voce degli italiani» che si pubblicò a Parigi. Su questo giornale, nel 1937-38, scrisse vari articoli, alcuni dei quali relativi alla partecipazione degli antifascisti alla guerra di Spagna. Fu segretario politico dei gruppi comunisti italiani in Francia.
A seguito di articoli pubblicati su «Lo Stato operaio» (novembre-dicembre 1937), nei quali, a proposito di vigilanza rivoluzionaria, manifestò punti di divergenza con indirizzi precedentemente espressi da Stalin - mentre agiva dietro il nome fittizio di Furini - fu oggetto di critica. Tra l'aprile e il settembre 1938 fu a Mosca con altri dirigenti del partito per ridiscutere i problemi inerenti alla vigilanza rivoluzionaria (dei quali aveva discusso anche il Comitato centrale del PCI nel marzo). Al ritorno venne esonerato dal lavoro di organizzazione e dei quadri.
Invasa la Francia dai tedeschi, nel giugno 1940, dovette abbandonare Parigi e riparare a Tolosa, in località Cabirol dove, insieme a Emilio Sereni, coltivò un orto di tre ettari, zappò la terra, vendette ortaggi e, nel contempo, continuò a lavorare per mantenere in vita l'organizzazione comunista. A Tolosa, nell'ottobre 1941, sempre assieme a Sereni (in rappresentanza del PCI), con i rappresentanti del PSI (Pietro Nenni e Giuseppe Saragat) e del movimento GL (Silvio Trentin e Fausto Nitti), costituì il Comitato per l'unione del popolo, il primo organismo unitario che preparò la creazione di un fronte nazionale antifascista. Tale Comitato - che lanciò un appello diffuso in Italia attraverso la stampa clandestina - originò diversi comitati unitari locali, che agirono fino al crollo del regime. Collaborò alla organizzazione dei primi nuclei partigiani di Francstireurs nella Francia meridionale. A Lione, il 3 marzo 1943, firmò insieme con Giorgio Amendola, per il PCI, e con i rappresentanti del PSI (Saragat) e di GL (Emilio Lussu), l'«Accordo tra il PCI, il PSI e GL», che consolidò l'unità d'azione iniziata nel 1941.

Rientrato in Italia, a Milano, il 15 settembre 1943, entrò a far parte del CLNAI in rappresentanza del PCI, responsabilità che ricoprì fino al settembre 1944. Decisa dal CLNAI l'assegnazione, dopo la Liberazione dai nazifascisti, della direzione del Comune di Bologna ad un comunista, i dirigenti del PCI indirizzarono la loro scelta sulla sua persona. Ritornò a Bologna il 10 settembre 1944, dopo 17 anni, ed entrò a far parte del triumvirato insurrezionale del PCI per l'Emilia-Romagna (al quale partecipavano Ilio Barontini e Giuseppe Alberganti), responsabilità che ricoprì fino alla Liberazione. Il suo pseudonimo più noto fu «Ducati»; ma contemporaneamente era in possesso di documenti accuratamente legalizzati, intestati ai nomi di Giuseppe Pozzi e Aldo Menetti (quest'ultimo nome lo assunse nel momento in cui visse rifugiato nell'abitazione di Elisa Menetti, facendosi credere suo fratello). Scrisse numerosi articoli e appelli apparsi nella stampa clandestina comunista. Uno dei più noti è quello dal titolo: «Risposta al comandante tedesco: Odio Mortale» (diffuso il 26 novembre 1944) in segno di disprezzo per le misure di rappresaglia adottate a seguito della vittoriosa battaglia partigiana a Porta Lame, ma per esprimere, più in generale, la irrefrenabile, totale e intensissima avversione delle forze patriottiche contro gli ordini detestabili impartiti dai comandi tedeschi in Italia contro i volontari della libertà e contro gli inviti ripugnanti alla delezione da parte della popolazione, rinnovati dal comando tedesco territoriale.
Sempre nello stesso torno di tempo scrisse lo «Schema per un discorso per un compagno che ricopra cariche pubbliche al momento della Liberazione» (diffuso nelle istanze comuniste in previsione della liberazione) nel quale, tra l'altro, si legge: «II paese dovrà essere profondamente rinnovato nella sua struttura, ognuno dovrà lavorare con la sicurezza che lavora per sé e per il paese, non già per degli interessi illegittimi ed oscuri. Una vera democrazia popolare e progressiva che non abbia altri limiti al suo sviluppo all'infuori della volontà del popolo, e che sia basata sulle organizzazioni delle masse popolari, dovrà essere istituita [...]. Bisogna che il popolo partecipi ogni giorno al governo del paese». Il 21 aprile 1945, alla liberazione di Bologna, per decreto del CLNER a firma del presidente Antonio Zoccoli, in attesa della libera consultazione elettorale democratica, venne nominato sindaco della città. L'ufficiale superiore per gli affari civili del 2° corpo alleato, lo confermò verbalmente nella carica il giorno successivo. Per il Governo militare alleato (AMG), il tenente Elmer N. Holmgreen, il 7 maggio 1945, emise il seguente ordine: «II sig. Giuseppe Dozza è nominato sindaco del comune di Bologna con tutti i poteri e doveri relativi e con decorrenza dal 22 aprile 1945. Tutti gli atti ufficiali compiuti [...] in tale sua qualità [...] sono confermati ed hanno piena validità».
Con uno slancio - che assumeva i più profondi valori dell'antifascismo e della lotta partigiana, unitario e costruttivo - impresse dinamicità e concretezza allo sforzo di ricostruzione della città che era stata gravemente distrutta dai bombardamenti bellici e prostrata dai sacrifici imposti dalla guerra e dalle rovine d'ogni genere provocate dal regime ventennale, nonché dal nazifascismo negli ultimi venti mesi.
Riconosciuto partigiano nel CUMER con il grado di maggiore dal 9 settembre 1943 alla Liberazione.
Al suo nome è stata dedicata una strada di Bologna. Al suo nome a Bologna, sono stati intestati il Palazzo dello sport e tre scuole pubbliche. Fra gli scritti e i discorsi autobiografici ricordiamo : La fine del fascismo a Bologna in «Rinascita»a. XII, n. 4, aprile 1955, pp. 285-288; Il partito comunista nella clandestinità fra il 1940 e il 1945, in Storia dell'antifascismo italiano.
Testimonianze, vol. II, (a cura di) L.Arbizzani-A.Caltabiano, Roma, 1964, pp. 184-192; La strada del ritomo in Al di qua della Gengis Khanato I partigiani raccontano, (a cura di) R. Barbieri - S. Soglia, Bologna, 1965, pp. 9-12. Suoi scritti e discorsi sono raccolti in Dozza Giuseppe e l’amministrazione comunale della Liberazione, in “Bologna. Documenti del Comune”, ottobre 1971, pp.252. Testimonianza in RB1 [AR]

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Monumento Ossario dei Caduti Partigiani
Monumento Ossario dei Caduti Partigiani

Certosa di Bologna, Monumento Ossario ai Caduti Partigiani (1959), arch. Piero Bottoni, sculture di Stella Korczynska e "Genni" Jenny Wiegmann Mucchi. Sarcofago del "Sindaco della Liberazione" Giuseppe Dozza.

La Liberazione di Bologna
La Liberazione di Bologna

La Liberazione di Bologna, filmato di Luciano Bergonzini girato il 21 aprile 1945.

Filmato sulla Liberazione di Bologna da
Filmato sulla Liberazione di Bologna da "La battaglia dei fiumi padani e la liberazione di Bologna".

"La battaglia dei fiumi padani e la liberazione di Bologna", realizzaz.: Gianluca Farinelli, Nicola Mazzanti; supervisione: Renzo Renzi; produz.: Cineteca del Comune di Bologna, Comitato Provinciale della resistenza e della lotta di liberazione, 1987, b/n, durata: 30 min..

Burattini Resistenti
Burattini Resistenti

Video dedicato alla fugura di Fagiolino, che durante il periodo fascista subisce una sorta di trasfigurazione. Quando Bologna è liberata dal nazifascismo, gli viene restituita la sua vera natura. Con Riccardo Pazzaglia.

Documenti
Memoria di Genuzio Bentini (In)
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In Memoria di Genuzio Bentini. Fascicolo edito dal Comitato nazionale per le onoranze di Genuzio bentini, Bologna, S.T.E.B., 25 giugno 1950

Ehi! ch'el scusa n. 3
Tipo: PDF Dimensione: 3.93 Mb

Ehi! ch'el scusa, anno 1 n. 3, Bologna, 29 febbraio 1948. Tipografia Commerciale, Modena. Collezione privata.

Ehi! ch'el scusa n. 4
Tipo: PDF Dimensione: 4.10 Mb

Ehi! ch'el scusa, anno 1 n. 4, Bologna, 7 marzo 1948. Tipografia Commerciale, Modena. Collezione privata.