Note sintetiche
Scheda
Pier Raimondo Manzini, da Caio e Guglielmina Rossi; nato il 18 febbraio 1901 a Lodi (MI). Nel 1943 residente a Bologna. Laureato. Giornalista.
Iscritto alla DC.
Giovanissimo assunse, nel 1927, la direzione del quotidiano cattolico bolognese "L'Avvenire d'Italia", fondato nel 1896, subentrando a Giovanni Terruggia.
Durante il ventennio fascista, per evitare di incappare nelle maglie della censura, per garantire la continuità di impostazione del quotidiano, adottò una linea redazionale sobria nel linguaggio, misurata nelle espressioni, più rivolta alla tematica teologale che politica pur prendendo posizioni su alcuni temi come il bolscevismo. Nel 1941 in un articolo di fondo ribadì che «la vera e profonda anima europea fu e resta d'istinto antibolscevica [...] per la sua dichiarata ed irriducibile essenza antimaterialistica».
A partire dal 1942 il quotidiano fu spesso «censurato, bruciato sulle piazze» per la sua posizione antifascista e per aver manifestato il suo dissenso sul conflitto mondiale. In un rapporto della questura di Bologna veniva segnalata la genericità degli articoli sul conflitto «di cui si parlava molto vagamente», mentre «sempre più spesso si tornava sul concetto che tutti i popoli sono figli di Dio, che tutte le patrie vanno ugualmente rispettate». Contemporaneamente iniziò a collaborare alla rivista "L'Azione francescana" diretta da padre Placido, espressione del dissenso cattolico reggiano.
Dopo l’8 settembre 1943, in accordo con la redazione, decise di sospendere la pubblicazione del giornale motivandola, presso il comando tedesco, con la mancanza di scorte di carta, decisione più volte revocata per pressione del comando tedesco.
Il 5 ottobre, «per ordine delle superiori autorità», come riportato nel frontespizio, il quotidiano riprese la pubblicazione. Per sottolineare l'imposizione, Manzini ufficialmente rinunciò alla direzione assunta, per accordi interni del gruppo redazionale, da Gino Sanvido. I comunicati della RSI e del comando generale tedesco vennero pubblicati, citando la fonte; si accentuò la trattazione di argomenti religiosi.
Prese parte alle riunioni in casa di Fulvio Milani, alle conversazioni tenute nel convento di San Domenico e agli incontri, nel corso dei quali il mondo cattolico bolognese stava decidendo la sua partecipazione attiva alla lotta di liberazione. Con Angelo Salizzoni, Milani, Filippo Cavazza si adoperò per la partecipazione dei cattolici al CLN.
La sede redazionale de "L'Avvenire d'Italia", temporaneamente dislocata presso il collegio San Luigi, fu luogo d'incontro con i rappresentanti delle altre forze politiche. Qui, infatti, su richiesta di Paolo Fortunati, incontrò, per la prima volta, Giuseppe Dozza desideroso di rassicurare le autorità ecclesiastiche sul rispetto che i comunisti avrebbero avuto verso la religione, concetto ribadito in altri incontri.
Dopo la fucilazione del gruppo dirigente del PdA, avvenuta il 23 settembre 1944, deciso a non pubblicare il comunicato emesso dalle autorità fasciste bolognesi, sospese di nuovo la pubblicazione del quotidiano per «mancato arrivo di carta». Nonostante le pressioni del comando tedesco, e la sua convocazione presso l'Hotel Baglioni, da parte dei fascisti, per conoscerne i motivi, mantenne fede alla decisione assunta, motivandola sia con la mancanza di carta, sia con la distruzione e dispersione delle attrezzature che, nel frattempo, il gruppo dei tipografi aveva smontato e nascosto in varie parti della città.
Il giorno della Liberazione il giornale apparve in un foglio unico, senza la testata, con un suo articolo di fondo. Il 4 settembre 1945, su autorizzazione del CLN, il giornale riprese le pubblicazioni, sotto la sua direzione.
Il 25 settembre 1945 fu nominato membro della Consulta nazionale.[AQ] Testimonianza in RB1.