Schede
Il sepolcro della famiglia Minelli rappresenta una tappa fondamentale nel percorso intellettuale dello scultore Carlo Monari, e viene commissionato su volontà di Raffaello e Francesco. L'artista appone la propria firma e la data, 1868, sulla destra della figura femminile.
Cesare Masini, a lungo presidente dell'Accademia di Belle Arti e personalità incisiva della cultura bolognese, ricorda il marmo non ancora completato nel 1867, ma come poco dopo esposto all'Esposizione Triennale bolognese, prima della collocazione in Certosa. In questa occasione viene descritta come Donna ginocchioni che prega, e Monari la propone per aggiudicarsi il consueto premio, che non riesce ad ottenere: pur degna di menzione onorevole, non si può paragonare al gesso colossale, grande al vero per la fusione in bronzo, del ritratto equestre di Vittorio Emanuele II di Salvino Salvini. Significativo l'incipit della lapide posta alla base del sepolcro: Io piango e prego. Dal mattino a sera. Nel benigno signor, speri Israel! Voi di pianto il conforto e di preghiere non negate, o pietosi, a questo avel. Il testo va inteso, con una certa sicurezza, come allusione ad una Italia per ampie parti ancora sotto il dominio dello straniero.
Gli ultimi studi sulla scultura bolognese mostrano una precisa corrispondenza culturale e politica tra artista e committenza, e quindi la famiglia Minelli non può che pensare a Carlo Monari, che aveva partecipato come volontario garibaldino alle battaglie di Bezzecca e Mentana (1866 e 1867). Rapporti e simpatie tra persone che trovano ulteriori conferme nel monumento Simoli di Tullo Golfarelli. Il tema della porta dell'avello qui presente, è un motivo tipicamente funerario, la cui diffusione si deve a Canova, a sua volta desunta dai sarcofagi dell'antica Roma. Col passare del tempo la porta da chiusa verrà rappresentata semi-chiusa, poi appena aperta e via via si arriverà, nel tardo ottocento, a desolate vedove colte nell'atto di spingere l'uscio per addentrare lo sguardo nel regno dei morti. Nel nostro caso la giovane donna prega inginocchiata davanti alla bara, coperta dal drappo funebre, attendendo il momento in cui questa verrà portata nel sepolcro, la cui porta è ormai schiusa. Il soggetto della figura femminile inginocchiata viene riutilizzata con significative varianti dal nostro scultore per la tomba Maiani (con un debito verso Alessandro Franceschi), e rielaborata molti anni dopo da Enrico Barberi per la tomba Bisteghi. Come sempre Monari controlla pesi e misure di ogni elemento, fino a raggiungere un pacato silenzio. Il marmo, grande al vero, pur non essendo tra i suoi lavori più complessi è uno degli esiti migliori di questi anni, in cui raggiunge grandissima raffinatezza descrittiva nelle maniche, nei cordoncini e nei bottoni, aderendo pienamente alla cultura verista. Condivisione controllata con una compatta volumetria, tanto che la grande gonna si raggruma a larghe falde sopra i piedi. Tra i numerosi dettagli di grande piacevolezza vi è anche la lastra marmorea su cui poggia la scultura, rappresentante a bassissimo rilievo un prato fiorito.
La donna indossa un abito tipico del periodo romantico caratterizzato dunque da una gonna ampia e gonfia, con sviluppo a campana, resa voluminosa dall’impiego della crinolina. Il corpetto dell’abito è staccato dalla gonna, termina a punta nella parte anteriore, è aderente e stretto al busto; la vita rispetto alla moda dello Stile Impero è ritornata al punto naturale, è stretta grazie all’impiego del bustino e la sua esilità è sottolineata dalla gonna gonfia e dalle maniche a palloncino. L’abbinamento della gonna ampia e gonfia e delle maniche a palloncino faceva assumere al corpo femminile la caratteristica forma «a clessidra». Ogni artista dimostra lungo il suo percorso artistico caratteristiche stilistiche proprie, volti ideali sempre simili, idiosincrasie culturali sulla scelta dei temi, i quali facilitano il riconoscimento dell'autografia anche in assenza di firme. Con il proseguire degli studi è ora possibile seguire un percorso mentale di Monari legato alla rappresentazione della figura femminile inginocchiata, di cui la versione Minelli appare come la prima idea compiuta, che si impone come iconograficamente nuova nel vasto catalogo di sculture in Certosa. Mettendo a confronto questo marmo con una delle sue prorompenti e severe Sirene per il ponte sul Reno, si vede come prosegua il suo studio su questa posa, che si avvia in ulteriori elaborazioni per il sepolcro Dalpini alla Certosa. Con queste tre sculture è possibile quindi ripercorre trenta anni di attività e la creazione di un modello fortunato, tale da essere replicato, con semplificazioni, nel catalogo della ditta Davide Venturi & figlio, e di cui vengono eseguite almeno due copie per cimiteri italiani e stranieri. Il rapporto tra Monari e la ditta Venturi fu strettissimo, tanto che tra le foto dell'azienda si vedono rappresentate diverse sue opere, sia cimiteriali che non, e sullo sfondo di una di queste appare in secondo piano anche la Margherita del Faust, esposta per la prima volta nel 1865 presso la Società Protettrice di Belle Arti di Bologna. Una ulteriore considerazione si può fare anche per le capigliature. Sia la lunga treccia raccolta sulla nuca e cadente sulla schiena, sia i capelli sciolti appoggiati alle spalle, vengono alternativamente proposte dal nostro scultore, sempre variate, in tante realizzazioni dedicate all'universo femminile.
Roberto Martorelli, Silvia Sebenico
Bibliografia: C. Masini, Del movimento artistico in Bologna dal 1855 al 1866 in occasione della Esposizione Universale di Parigi del 1867, Bologna, Regia Tipografia, 1867; S. Tumidei, La scultura dell'Ottocento in Certosa, in La Certosa, immortalità della memoria, Bologna, Compositori, 1998; R. Martorelli, Cento anni di scultura bolognese. L'album fotografico Belluzzi e le sculture del Museo civico del Risorgimento, num. monografico del “Bollettino del Museo del Risorgimento”, LIII (2008).