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Un uomo che alle parole preferiva i fatti - Giuseppe Bignami

Schede

"È con profonda commozione che mi accingo a commemorare nella sua tricesima il compianto nostro vecchio compagno d'arme, il nostro franco, leale e caro amico, l'integerrimo cittadino bolognese cav. Giuseppe Bignami spentosi a Genova il 17 maggio". Così esordiva il gen. Demetrio Rossi nell'elogio funebre pronunciato alla Società fra i Superstiti della guerra per l'Unità d'Italia – Federazione militare di Bologna - nella residenza sociale di via Marsala, 31, il pomeriggio di domenica 30 giugno 1918, presenti i senatori Alberto Dallolio e Giuseppe Tanari, l'on. conte Francesco Cavazza, rappresentanze con bandiere, moltissimi amici, compagni di arme ed estimatori dell'Estinto.

Giuseppe Bignani era nato a Bologna il 14 settembre 1838 da genitori di buona condizione sociale ed economica. Frequentò la scuola ginnasiale e liceale primeggiando sempre per prontezza d'ingegno e portentosa memoria, che mantenne integra fino alla tarda età di ottant'anni. A 15 anni, rimasto orfano di padre e di madre, dovette interrompere gli studi ed affrontare la vita con un lavoro impiegatizio, ma superato l'interno affanno, si sentì attratto dagli entusiasmi liberali, che potenziavano a quel tempo più che il senso rivoluzionario l'indirizzo politico patriottico, mosso dal preciso scopo di giungere al più presto all'unificazione dell'Italia. Iscrittosi al partito dei giovani liberali ne fu degli animatori più convinti, tanto che nel 1858, assieme ad alcuni compagni di fede, raggiunse Torino dove fu presentato a Carlo Poerio ed allo stesso Cavour. Da tutti ottenne confortevoli assicurazioni circa la sua missione svolta per il gruppo liberale giovanile bolognese. Sopraggiunti avvenimenti politici che lasciavano sperare in una rivincita militare e politica, all'alba del 1859 lasciò nuovamente la sua città natia per arruolarsi nell'esercito piemontese, nel quale uomini di grande valore e di forte ascendente generavano il più vivo entusiasmo fra i giovani. Scelta l'arma di cavalleria, fu mandato alla scuola di Pinerolo dove assunse servizio nei cavalleggeri «Aosta», la brillante unità creata da Vittorio Amedeo II e nel 1831 ricostituita da re Carlo Alberto e che bene aveva figurato nella campagna di Crimea. Mobilitato poco dopo il reggimento «Aosta», il Bignami fu tra i primi a presentarsi volontario per raggiungere il campo della gloria. Modesto e schivo di distinzioni, non volle essere insignito del grado di ufficiale, convinto che come gregario poteva egualmente e bene compiere tutto il suo dovere e dare prova di coraggio. Dopo la brillante vittoria, sensibile come tanti altri alla mortificazione dei patti che conclusero quella valorosa campagna, lasciò il reggimento di cavalleria per rientrare a Bologna.

Qui prese ad insegnare a ragazzi, infaticabile sempre nel promuoreve sani entusiasmi, ma anche malanconico per essere senza affetti, tanto che pensò di formarsi anch'esso una famiglia. Davanti a nuovi avvenimenti preannunciatori di grandi risoluzioni, il 30 giugno 1866 Giuseppe Bignami lasciò ancora Bologna e la famiglia per trasferirsi a Brescia allo scopo di arruolarsi volontario nella leggendaria schiera garibaldina, che andava sempre più facendosi forte e numerosa di giovani volontari provenienti da tutte le parti della penisola. Chiamato a collaborare direttamente da Agostino Bertani il radicale riformatore del Corpo Sanitario con gradi militari, tanto da essere poi imitato dall'esercito italiano alla sua prima costituzione, Giuseppe Bignami accettò dichiarandosi sempre disposto ad assumere compiti ed incarichi presso reparti combattenti. Infatti, il 16 luglio, prese parte ad una azione esplorativa importante a Condino fino a compiere una missione particolare presso un battaglione di cacciatori delle Alpi, che si era spinto fino a M. Suello. Il 22, il 23 e il 25 luglio fu ancora coi combattenti garibaldini rispettivamente a Bezzecca, a Tiarno, a Storo ed il 26 ancora a Condino. Il Bertani tanto lo apprezzò per il suo valoroso ed esemplare comportamento in queste dure giornate che si legò a lui di stretta ed affettuosa amicizia.

Nel 1867, in occasione del Convegno tenutosi a Firenze e al quale parteciparono Crispi, Bertani, Miceli ed altri, Giuseppe Bignami venne chiamato a prendervi parte come rappresentante dei liberali bolognesi. Il suo intervento giunse opportuno: non ebbe infatti esitazione a dichiarare che non era ancora giunto il momento per un vero e proprio moto rivoluzionario, anche per il fatto che la situazione a Bologna era tutt’altro che favorevole. Nell'ottobre del 1867, sempre col Bertani, partecipò all'impresa della campagna di Roma, che ebbe il suo epilogo a Mentana, dove il Bertani aveva organizzato una ambulanza per soccorrere i feriti, mentre Giuseppe Bignami, che faceva parte del Comitato per il soccorso dei garibaldini dell'Agro romano, aveva sostato a Monte Rotondo per organizzarvi un posto di raccolta feriti. Appresa la sconfitta, ripiegò coi mezzi sanitari a Passo Corese, dove affluirono poi le ridotte formazioni garibaldine bisognose di tutto. Il suo compito, di fronte ad una situazione aggravatasi anche per il forte numero di prigionieri lasciati nelle mani avversarie e concentrati per la maggior parte a Civitavecchia, si fece vieppiù difficile. D'indole generosa e coerente ai principi di un altruismo patrio che non aveva confini, Giuseppe Bignami raggiunse Firenze dove, per le conoscenze avute, riuscì ad ottenere sussidi per soccorrere ed aiutare i feriti ricoverati a Roma ed anche per andare incontro ai bisogni dei prigionieri di Civitavecchia: in particolare volontari bolognesi, romagnoli e fiorentini. Anche gli amici suoi liberali di Bologna costituirono un Comitato di soccorso, passando le somme raccolte al Bignami, che potè portarle a Roma avvalendosi delle commendatizie fornitegli dai Consoli di Francia e d'Inghilterra. Instancabile nella sua grande fatica caritatevole ed assistenziale, egli si mostrò antesignano di quella che, molti anni più tardi, doveva essere la Convenzione di Ginevra per soccorrere militari caduti o feriti in guerra o addirittura prigionieri.

Sottoponendosi ad un compito arduo per la particolare situazione politica e a sue spese superò la difficile situazione, tanto ai rispettivi paesi d'origine. Ultimato il suo non facile compito, in più occasioni aiutato da sanitari liberali romani, Giuseppe Bignami lasciò Roma per Firenze e poi per Bologna, dove trovò il meritato riconoscimento degli amici per l'opera patriottica e coraggiosa svolta. Come sempre, però, schivo di onori e di lodi, si pose a riprendere particolari attività che in quegli anni interessavano il bene pubblico, specie dei meno abbienti; pensò cioè alla organizzazione delle Società mutue operaie e delle cooperative di consumo. Nel 1870, Giuseppe Bignami tornò a Roma dove però rimase poco tempo. Come le altre volte svolse opera umanitaria assistenziale a favore dei feriti e dei volontari. Nell'assolvimento delle sue mansioni venne accompagnato ed aiutato da Torquato Uccelli, che già per conto de! Comitato bolognese più volte aveva condotto drappelli di volontari fino al confine pontificio. Ritornato definitivamente a Bologna riprese ad interessarsi degli operai nelle organizzazioni cooperativistiche e di mutuo soccorso, senza per altro trascurare le iniziative patriottiche, che tanto gli stavano a cuore. Nel 1871 venne assunto dall'Amministrazione Comunale ad Ispettore scolastico municipale, essendo nota la sua passione per la scuola e la manifesta sua tendenza alla giusta riforma di essa. Nel particolare incarico seppe profondere tesori del suo animo generoso e spinte producenti della sua vivace intelligenza verso iniziative che seppero legare gli animi per la trasformazione dell'istruzione elementare. Nella carica rimase fino a quando, promosso il cav. Medardo Burzi a segretario generale, egli lo sostituì nel compito superiore di Capo Ufficio d'Istruzione. Era quello il punto d'arrivo desiderato e in quell'alto incarico, sotto le Amministrazioni Tacconi, Carli e Dallolio, rimase fino al 1902, nel quale anno, per mutamento d'Amministrazione, fu passato a reggere l'ufficio Economato. Ad assolvere tale incarico rimase però poco tempo. Il disagio morale di una situazione conseguente alle sue idee liberali, lo consigliò di chiedere in anticipo il collocamento a riposo. Come Giuseppe Bignami abbia retto l'Ufficio d'Istruzione lo comprova l'indirizzo di saluto rivoltogli per iscritto, a nome degli insegnanti, dal prof. Gino Rocchi, suo vivissimo ammiratore:

I MAESTRI ELEMENTARI
NEL FARE GLI AUGURI RIVOLGONO IL PENSIERO A 25 ANNI
DI ESEMPLARE SERVIZIO PRESTATO DA GIUSEPPE BIGNAMI
AI 25 ANNI DI OPERE BUONE DA LUI COMPIUTE.
RICORDANO CHE EGLI EBBE LA SORTE DI COMBATTERE
PER IL PATRIO RISCATTO, E CHE POI SI RIVOLSE
ALLE CURE DELL'EDUCAZIONE POPOLARE.
BIGNAMI IDEÒ I BISOGNI DEI MAESTRI E DELLE SCUOLE,
E CON L'AFFABILITÀ LI INDUSSE A COMPIERE OPERA
GRANDEMENTE EDUCATIVA
MERCE' SUA LE SCUOLE DI BOLOGNA COMPETEVANO
CON QUELLE PIÙ FIORENTI D'ITALIA.
ESTESE L'OPERA SUA A TUTTI GLI ISTITUTI CHE HANNO
PER FINE L'INSEGNAMENTO.

Correva l'anno 1902 e Bignami non aveva che 64 anni. Vegeto e robusto nonchè pieno di fervore non poteva mettersi materialmente in disparte e soprattutto staccarsi dai ragazzi che aveva assistito e curato intellettualmente e spiritualmente con tanto interesse ed amore. Chiamato all'Amministrazione delle Colonie scolastiche ne fu presto l'animatore, come lo fu all'Asilo per Orfani «Clemente Primodi», dove, per volere del fondatore, venivano allevati ad un mestiere o ad un'arte minori nativi di Bologna sani fisicamente e psichicamente. In detto Istituto era stata, più o meno ampiamente, sempre svolta una istruzione interna a carattere culturale e formativa, ma il Bignami, assumendo l'incarico senza retribuzione, organizzò subito la scuola serale dando speciale importanza a due materie: matematica e cultura italiana. Affidò la prima al maestro Giuseppe Mazza, che poi divenne il Direttore dell'Asilo, e la seconda al maestro Rappini. Il Bignami stesso non trascurava occasioni per intrattenere i ragazzi sull'istruzione morale e civile, anche per fare conoscere i valori della storia Patria e della epopea risorgimentale. Senza mai riferirsi a quanto aveva potuto fare per la indipendenza nazionale, animava le riunioni rendendole entusiastiche anche perchè esibiva sempre qualche cimelio di guerra per meglio agganciare l'attenzione dei ragazzi. Fra l'altro, fece vedere le armi di guerra che possedeva tacendo dove e come le aveva usate. Precisamente mostrò una sciabola per cavalleria ed uno spadino del periodo garibaldino, nonchè due pistole. Non si sa se per donazione o per eventi occasionali lasciasse tali armi in deposito all'Istituto, quasi pegno di legame fra Lui ed i ragazzi che l'ascoltarono per tre anni con ammirata passione; certo è che tali armi sono state ritrovate fra le cose dell'archivio dal Commissario Straordinario nel 1956 e poste in una panoplia che, donata al Museo del Risorgimento, sta a ricordare il valoroso patriota ed il benemerito cittadino Giuseppe Bignami. A riconoscimento dei Suoi meriti militari venne eletto Presidente della Società fra i Superstiti delle guerre per l'Unità italiana, che riuniva bellissimi nomi ed eletti cittadini. Anche a questa Società Giuseppe Bignami dedicò il Suo immutato spirito organizzativo predisponendo un museo che raccolse pregiati cimeli di guerra. Chiamato a Genova dall'affetto del figlio Leopoldo, ingegnere navale, Giuseppe Bignami raggiunse la Superba staccandosi dolorosamente dalla Sua Bologna, che amava teneramente, come dagli amici cui era legato da stretto e scambievole affetto. A Genova morì il 17 maggio 1918 mentre col suo nobile cuore assisteva, con tutte le più vive speranze, alle sorti dell'esercito italiano che sul Piave, organizzato a difesa, teneva custodite le porte dell'indipendenza e della libertà nazionale. Anche alle soglie dell'aldilà, non mutò il Suo spirito permeato di grande modestia e di semplicità. Il Suo testamento ridotto alle ultime volontà diceva: «La mia salma dovrà essere trasportata all'ultima dimora in forma privatissima, senza bandiere, senza musica, senza accompagnamento alcuno e senza fiori, eccetto una croce da porsi sulla bara da te o da chi per te. (Riferendosi al figlio). Nessun discorso dovrà essere pronunciato, nè sarà fatta alcuna necrologia. Un unico desiderio: ritornare alla mia adorata Bologna».

Così dipartiva, dopo ottant'anni di vita interamente vissuta ed ispirata alla sacra norma vivere altruistico un uomo puro d'idee, di sentimenti e di coscienza, animato dal più squisito senso del dovere verso la Famiglia, la diletta Bologna, l'adorata Patria. L'anno successivo, e precisamente il 24 aprile 1919, in obbedienza al di Lui volere e per iniziativa di un gruppo di ammiratori, la salma venne traraslata da Genova alla Certosa di Bologna. Il cordoglio cittadino espresso coi funerali, che furono la più ampia attestazione del di Lui nobile e patriottico operato, trovò il più felice interprete nelle parole dell'amico prof. Gino Rocchi, pronunciate davanti alla tomba dell'eletto cittadino. «Scorso quasi un anno, ti rendo, amico, l'ultimo saluto. Oggi, per generosità del caro Tuo figliolo, si compie un atto del tuo volere. E torni da noi per giacere su questa terra che ti prefiggevi doveva essere il letto di riposo dei Tuoi anni operosi. Qui riposerai vicino a Coloro che avesti più cari. Avrai qui prossimi gli amici che ti hanno preceduto. Ricordando poi quello che gli anni dissero di Lui, l'oratore prosegui: «Non v'è chi non dica che Sei stato ardito nelle armi e nelle rischiose imprese per la libertà, che Sei stato amorevole, persuasivo, autorevole presidente della Società Operaia, provvido Capo di quella Cooperativa che mentre procurava a onesti prezzi il pane alla cittadinanza non lo misurava con avarizia ai lavoratori che lo aspettavano; assiduo, attento cultore dalla migliore messe mentre fosti ispettore delle scuole elementari; meraviglioso e quasi oltre le forze umane operoso mentre eri Capo ufficio dell'istruzione, secondando e stimolando le attività dei valenti assessori del Comune, ai quali stavano soprattutto a cuore le scuole, e vi desideravano studiate le riforme, alle quali tu sapesti conciliare l'opera, la mente, lo zelo, l'affetto dei maestri, onde le scuole elementari di Bologna prevalsero alle altre d'Italia. Nè minori benefici largisti all'Istituto Clemente Primodì. Alla tua casa ospitale, dopo l'ingiuria dolorosa, seguitarono ad accorrere quanti avessero bisogno di consiglio o d'aiuto o volessero per mezzo Tuo impetrare l'esaudimento di una giusta domanda. Istituti di beneficenza cercarono il contributo della Tua infaticabile attività, e la tenerezza del Tuo cuore continuò ad essere provvidenza nelle Tue dilette colonie scolastiche (tanta parte avevi avuto a fondarle) che fino all'ultimo giorno sapesti amministrare con savia previggenza, amorosa pratica e diligenza solerte. Nella Società fra i Superstiti, mantenesti l'ardore giovanile nel culto della bellezza di tutto donare per la grandezza della Patria. Alla fine, l'oratore concluse: «Coll'animo ansioso aspettavi che quest'ultima guerra gloriosamente compisse i destini della Patria, ma di essa vedesti le giornate funeste e non le radiose dell'alba vittoriosa. Tu avevi veduto la prepotenza borbonica perpetrarsi alla rapina e all'annullamento della giustizia; ben meritavi di vedere la luce della più grande e luminosa vittoria nel trionfo di una Italia come da te sognata libera ed unita. Larga eco ebbe il meraviglioso discorso nella esaltazione dei meriti dell'illustre scomparso da tutti i bolognesi ricordato.

Nell'anno 1929 un'altra manifestazione cittadina doveva ancora una volta esaltare Giuseppe Bignami con l'inaugurazione delle nuove scuole elementari della Beverara a Lui dedicate. Presenti le maggiori autorità cittadine ed il figlio ing. Leopoldo, vennero scoperti un busto ed una lapide dedicatoria su cui si legge tuttora: GIUSEPPE BIGNAMI - CAPO DELL'UFFICIO DELL'ISTRUZIONE - SPESE L'OPEROSITA MIRABILE - A VANTAGGIO DELLE SCUOLE ELEMENTARI - DI TUTTE L'ALTRE DIPENDENTI DAL COMUNE - E D'OGNI CITTADINA ISTITUZIONE - EDUCATIVA DI FANCIULLI - DA LUI AMATI CON TENEREZZA PATERNA - XXXI MAGGIO MCMXXIX. Il vice Podestà, Sen. Albini, volle commemorare Giuseppe Bignami esaltandolo davanti al folto stuolo di maestri e di scolaresche sul luogo convenute, perchè dal di Lui nobile esempio tutti prendessero stimolo ed entusiasmo per assicurare il migliore avvenire all'istruzione popolare ed alla scuola elementare. L'ing. Leopoldo Bignami, per attestare la sua riconoscenza a quanti avevano dato lustro alla scuola, lasciò munifico dono in denaro da ripartire fra le famiglie di scolari più bisognose.

RENATO EUGENIO RIGHI

Testo tratto da "UN UOMO CHE ALLE PAROLE PREFERIVA I FATTI: GIUSEPPE BIGNAMI, in "Strenna Storica Bolognese", 1957. In collaborazione con il Comitato per Bologna Storica e Artistica.