Scheda
Latinista e filologo. Discepolo del Carducci, insegnò grammatica latina e greca a Bologna e succedette al Gandino nella cattedra di filologia latina, ruolo che mantenne fino alla morte; divenne Rettore dell'Università di Bologna (1927-1930). Scrisse poesie in italiano e in latino, eseguì traduzioni di tutta l’opera di Virgilio. Fu consigliere comunale e, dal 1924, Senatore del Regno. E' sepolto alla Certosa di Bologna, Galleria degli Angeli, cella 10.
Così viene ricordato alla sua morte da Gino Funaioli: "Nacque in Bologna, da famiglia oriunda di Romagna, terra di millenaria tradizione classica, ferace di autentici germogli italici, di esseri cioè vari e armoniosi, in cui arte e scienza, vita contemplativa e vita attiva si fondono mirabilmente. L’arte egli affrontò da ragazzo, e la tenne a battesimo il dolore. Non ancora undicenne perse la madre, e dal collegio San Luigi inviò al padre versi di pianto. Una sottile malinconia, un desiderio velato di lacrime gli rimase poi sempre per la mamma così precocemente sparita, con un crescendo di vibrazioni attraverso gli anni. (…) Con spiccate attitudini alla poesia e con ottima preparazione classica l’Albini entrava nell’Università di Bologna, e le sue vie furono subito segnate. Il Carducci splendeva allora come un faro, al culmine della sua creazione e del suo magistero. Finito il periodo degli Epodi e dei Giambi, le Odi Barbare volavano, classicamente temprate al genio di Roma, per l’Italia. L’Albini si estasiò dinanzi a questo potente adoratore di Roma. Vide e ascoltò in lui uno della schiera che da Virgilio e da Orazio va a Dante e al Petrarca, al Parini, all’Alfìeri, al Foscolo: robuste coscienze e deità degli stellanti cieli della poesia, padri spirituali dell’Italia eterna. Contemplò nel Maestro la poesia romana e italiana «fatta persona». Il carducciano inno a Victor Hugo.
(…) Ed altro apprese l'Albini nello studio di Bologna: sotto il fascino del timbro magico di un Maestro si affissò nella storia della letteratura italiana, si allenò con lui, col Gandino, col Bertolini, con l’Acri, a lavorare sui classici, a chiarirne le bellezze, a trattarne i testi con l’acume di una critica sana, a interrogare e a comprendere nel silenzio delle biblioteche documenti e monumenti del passato, a faticare coi muscoli sodi. Dottrina irradiata di luce e di sentimento, conforme allo spirito della civiltà nostra ; cultura che rifà presente il passato e prepara il futuro. In questa Università, egli diceva un giorno, « niente muore di sacro, nessuna conquista si disperde, nessun’alta parola si cancella, mentre il passato nel soffio vivido del presente par che mediti e maturi l’avvenire ». L’Albini è tutto lui quando in Tertulla, una giovanile «Fantasia romana», canta: mescendo / vecchie memorie e giovani speranze / inavvertite produceansi l'ore. La tendenza sua a ripiegarsi dentro sè stesso fu favorita a Bologna anche dalla fioritura musicale, che, auspici il Mancinelli e il Martucci, aveva come centri il Liceo e il Teatro Comunale. Verdi, Rossini, Beethoven, Wagner: era un alitare di melodie che l’anima raccolta dell’Albini sollevavano dal caduco all’eterno. Trema il sonante inno di Beethoven, ed egli qual Ganimede ghermito dall’aquila di Giove si leva per l’aria: tal me, tal me la gloriosa afferra volante Sinfonia, e mi rapisce per lucente via: di là lungi è la terra. Muore Riccardo Wagner, e lo vede trasfigurato nel cielo degli eroi: col rosso crin de galilei fluente giù per gli omeri forti. (…) Il critico, il filologo, il maestro (e maestro fu l’Albini nella nostra Università dal 1898, come successore del Pascoli in Lingue Classiche, poi del Gandino in Letteratura Latina) sono tutt’uno col traduttore e col poeta, nascono da una medesima umanità. L’Albini è il critico e il Maestro del buon gusto, e questo dono nativo ha affinato con una cultura che spazia largamente fra le lettere, le arti e la musica. Che cosa sia creazione egli sa per esperienza, sa il travaglio da cui esce purificata l’angelica farfalla. Le sue mosse sono state dalla poesia. Si avviò giovane verso la critica, ma critico giovinetto non fu. Le sue idee direttive son chiare: la critica, afferma, «solo è riuscita eccellente e non in tutto effimera, quando, discorrendo d’arte, tiene dell’arte essa stessa». Primo comandamento dunque e condizione sine qua non: comprendere e amare."