Scuole serali

Scuole serali

1838 | 1915

Scheda

Nel corso dell'ottocento si fece sempre più sentita la necessità di consentire alla popolazione più umile di poter accedere ad una formazione culturale di base. Tale percorso di istruzione si rivolgeva in particolare agli adulti e poteva avvenire solo dopo il lavoro, quindi la sera. Queste istituzioni prevedevano una formazione di tipo elementare, in modo che la persona potesse leggere testi semplici e di fare di conto. Tra i personaggi che animarono queste istituzioni a Bologna vi fu don Giuseppe Bedetti (1799 - 1889): egli aveva importato il modello delle scuole notturne di don Bosco. Dopo il fallimento, nel 1838, del "Comitato per la fondazione di asili infantili", inaugurò, per ragazzi "privi di chi debba o voglia educarli", la prima scuola in un palazzo di via Zamboni e aprendone poi una decina in vari luoghi della città. Queste scuole ospitavano nelle ore serali bambini tolti “dalla strada, dalla nudità, dallo squallore” e li impegnavano con attività scolastiche e oratoriali. Spesso gli stessi sacerdoti procuravano loro piccoli lavori. Nel 1841 nell'ex convento di S. Agostino in via Barberia 24, risalente al XIV secolo, don Luigi Moretti avvia una scuola serale per giovani apprendisti, alla quale è aggregato un asilo maschile per bambini abbandonati e orfani. Vari sono i mestieri insegnati: sellaio, falegname, fabbro, macellaio, calzolaio. Già nel 1858 le scuole serali accoglievano più di 80 alunni, figli di artigiani e operai tra i 10 e i 14 anni. Erano impartite lezioni di lettura, scrittura, artitmetica, disegno e canto. Durante l'inverno era insegnato il catechismo, mentre la domenica, con le Congregazioni festive, i ragazzi erano condotti a messa, intrattenuti con attività ricreative ed infine invitati a una modesta cena gratuita.

All'indomani dell'Unità d'Italia si sente il bisogno di creare scuole serali dalla visione laica, slegata dagli aspetti religiosi. La legge Casati del 1859 fu la prima legge organica per la scuola italiana, ma verso le scuole serali non fu data particolare importanza, tanto che fino agli inizi del Novecento i comuni ed altre istituzioni organizzarono in autonomia i propri corsi popolari. Nel 1861 Il Comune di Bologna costituisce nei locali delle Scuole Pie una scuola serale gratuita, in cui si insegna "ai figli del popolo ed a qualunque anche adulto il leggere, lo scrivere, l'aritmetica e gli elementi di geometria pratica e di ornato". La scuola è aperta da martedì a venerdì, dopo le nove e mezza di sera. Fin dall'inizio è molto frequentata. Tra gli insegnanti più celebri vi fu l'ingegnere archeologo Antonio Zannoni che contribuiva alla formazione degli operai bolognesi. Nel 1869 L'Amministrazione comunale promuove, su iniziativa dell'Assessore alla pubblica istruzione Enrico Panzacchi (1840 - 1904), una riforma del sistema scolastico, che anticipa, in ambito locale, la legge Coppino (15 luglio 1877). Essa sancisce l'obbligo scolastico e la separazione dell'istruzione in inferiore e superiore. Il corso inferiore, o popolare, dura tre anni: l'insegnamento è limitato al "puro necessario in relazione ai bisogni comuni a tutte indistintamente le classi della società"; quello superiore, di due anni, è considerato un avviamento agli studi secondari "per giovanetti più benevisi alla sorte" ed è subordinato a un rigoroso esame. L'alternativa è la frequenza biennale di una scuola serale (festiva per le fanciulle), separata da quella per adulti. Nelle scuole suburbane vengono create classi preparatorie, o asili, informate in parte ai metodi froebeliani.

Testimonianza dell'impegno che la società civile rivolgeva verso questo servizio è un discorso di Giosue Carducci, pronunciato il 7 novembre 1862 dal titolo A proposito delle scuole elementari serali: "In alcuno degli ultimi numeri della Nazione lessi con piacere un avviso del Gonfaloniere di Firenze per le ammissioni alle Scuole elementari della sera. E penso che i fiorentini vorranno aggiungere questo merito dell'aver instituito e del mantenere le scuole serali ai tanti che il Comune ha pel suo amoroso, perseverante, efficace adoperarsi a migliorare le condizioni del popolo. Certo, è un bene, un gran bene, che la gente del popolo, in quelle ore che le avanzano dal lavoro, abbia dove imparare a leggere scrivere a far di conto: così potrà curar da sé i propri interessi, stendere al bisogno una ricevuta o una lettera, senza avere a ricorrere al terzo e al quarto, col dispiacere di recare in pubblico i fatti suoi, e, in certi casi, col pericolo d'esser messi di mezzo. Ma basta egli cotesto? O più tosto non è cotesta dell'istruzione popolare una parte utile senza dubbio, ma ancora puramente materiale? E l'istruzione non deve essere, insieme con l'educazione, uno svolgimento delle facoltà sì intellettuali sì anche morali, e un avvenimento di esse alla ricerca del vero e del buono? Ora, coll'insegnare al popolo leggere e scrivere, se gli danno dell'istruzione solo gli istrumenti. Ma, se non conosce il modo di adoperarli, che ne farà egli? Diciamolo così alla buona; i giovanotti sapran tanto da mostrarsi discreti calligrafi alla dama; ed essi ed i più anziani potran leggere un giornale che acconci e condisca la politica al gusto dei diversi partiti, o qualche romanzo de' soliti. Tanto valeva non insegnargli nulla. - Per lo innanzi, si dirà, il Governo ha promesso di pensar sul serio e provvedere davvero all'istruzione elementare: per la generazione d'adesso è pur qualcosa saper leggere e scrivere: d'altra parte i modi d'istruzione son tanti oggigiorno: lasciate fare, lasciate fare. Delle letture, abbiamo veduto: e metterei pegno che il popolo, fuori di due o tre romanzi, ma che non può intendere tutti, in Italia non ha altro da leggere se non inezie e peggio. I teatri popolari? Sappiamo tutti come le son concie per lo più, su quelle scene, la verità, la moralità, l'arte: e se il popolo ha da perfezionare il sentimento morale ed il gusto a coteste rappresentanze, vi so dir io che c'è da star freschi. - O dunque a che para cotesta diceria? - Para a questo. So che nello scorso inverno si provarono in Firenze, e con ottimo successo, per quel che ho inteso, da persone autorevoli e oneste, certe lezioni con le quali uomini di buon volere e di egregie prove ne' migliori studi si adoperavano a narrare agli artigiani e lavoranti così alla buona, e con l'affetto che nasce dalla coscienza di fare il bene, e col calore che provien dall'affetto, a narrare, dico, qualche cosa della storia patria, e degli uomini illustri che vissero un tempo in Firenze e in Italia: e davan loro qualche nozione dei diritti e doveri reciproci, e spiegavano un po' di geografia, con un zinzino anche di economia politica. - Ecco, io desidererei, e con me desidererebbero molti, che coteste lezioni si proseguissero; o se non tutte, quelle almeno su i diritti e i doveri, e quelle di geografia e di storia patria, sotto il qual titolo dovrebbero comprendersi le biografie degli uomini illustri così per opere d'ingegno come di mano. Con siffatto insegnamento, che, non dubitate, attecchirà, daremo tanto al popolo, che gli basti come di face nelle sue letture, ne' suoi ragionamenti, ne' suoi giudizii. Sarà un addentellato sul quale adagio adagio con le sue povere fatiche potrà seguitare da sé il piccolo edificio della sua istruzione. E dobbiamo. Perché, in verità, il diritto altamente umano di conoscere e d'istruirsi forse che è solamente per noi degli ordini privilegiati? Sono solamente per noi le gioie supreme dello spirito che impara e sente l'imparare e di perfezionarsi? Noi abbiamo università, accademie, gabinetti di lettura, grandi teatri: noi de' severi diletti dello spirito ci siamo avvezzati a crearcene tutto giorno altrettante nuove voluttà, le quali gustiamo mollemente, delicatamente, con isquisitezza quasi sensuale. E intanto il popolo, cioè migliaia e migliaia d'uomini che han le stesse facoltà nostre, s'imbestia nella più stupida, nella più corrotta ignoranza. E non son ciancie. Consultate, nella tabella degli utili che pervennero in pochi mesi al governo dalle Regie Lotterie, consultate la cifra che han date le sole provincie toscane. Oh, se i governi mantengono al popolo il giuoco del lotto, almen la borghesia gli mantenga le scuole. Una briciola di sapienza al povero Lazzaro che giace alla porta, una briciola sola delle vostre cene, o Epuloni dell'enciclopedia! Perché invidiare a tante migliaia di uomini tanta parte di umanità? Perché invidiare agli occhi del povero, spenti sotto il peso della fatica, un poco di quel lume gioioso che accende nei nostri la conoscenza del vero? Perché invidiargli il lampo dell'entusiasmo prorompente alla notizia delle glorie de' suoi maggiori? E il lampo dell'entusiasmo nazionale è sacro in su la faccia del popolano, i cui antichi hanno alzato quei monumenti tra i quali egli lavora e che sono documenti marmorei della storia italiana; del popolano, che deve e vuole al bisogno combattere e morire pel suo paese. - Oltre a ciò; se la gente del popolo si avvezza a intrattenersi con diletto alle scuole che sieno aperte anche a chi sa leggere e scrivere, quanti abitatori continui è da sperare che si scemeranno a certe bettole, a certi caffè ed alle bische! E con ciò quante occasioni si terran via alle risse sanguinose od oscene, alle truffe, agli abiti viziosi! A questa ragione credo che si potranno fare opposizioni di forma o di modi, manon di sostanza. Perché, se Ferdinando Borbone diceva che a tenere un popolo tre F bastano, Farina, Festa e Forca; doveva e poteva dirlo egli Borbone, egli re di lazzaroni e di masnadieri. Mi dispiace che un poeta, cui la gioventù nostra s'è avvezzata a salutar libero e civile, ripetesse con altre formole la stessa bestemmia, scrivendo nel latino biblico d'una ipercalipsi che tre A bastavano alla plebe, Ara, Aratrum, Arbor patibularis. Ma quel poeta giudicava ancora che “chi non possieda in terra cosa veruna non può sentire, pensare, né ragionare di patria:” il che se fosse vero, erano un paio d'ipocriti Aristide ed Epaminonda. Povero Foscolo! Ma chi ripetesse oggi coteste o simili bestemmie io per me non saprei qual patisse più o difetto di cuore o di senno; perocché degli incendii sociali del 1848 rimane che la cenere."

Le Scuole serali bolognesi saranno il luogo dove si formeranno molti dei fondatori di tante aziende locali, basti ricordare Natalino Corazza dell'omonima azienda meccanica, Mario Mazzetti dei motocicli M.M., Armando Simoni dell'Omas penne stilografiche, Giovanni Preci e Mario Malanca. Ancora nel 1915 proseguono le iscrizioni alle scuole serali gratuite. Tra le iniziative nate all'interno del movimento socialista e delle leghe operaie, con lo scopo di alfabetizzare i lavoratori, sono sostenute con particolare favore dall'amministrazione Zanardi. Corsi serali funzionano alle scuole Guidi in via Muratori, alle Muzzi in via dei Mille, in via Saffi, all'Arcoveggio, a Chiesa Nuova, al Pontevecchio, a San Ruffillo. Nelle scuole di S. Egidio e S. Antonio sono previste scuole festive, con lezioni dalle 19 alle 21.

In collaborazione con 'Cronologia di Bologna' della Biblioteca Sala Borsa di Bologna.

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