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Giovanni Battista Magistrini

24 Giugno 1777 - 1 Novembre 1849

Scheda

A Maggiora, paese collinare della provincia di Novara, nacque il 24 giugno 1777 uno dei figli dei modesti possidenti locali Carlo Magistrini e Maria Angela Vellana, battezzato Giambattista, futuro illustre matematico dell'Università di Bologna. Era l'epoca dell'illuminismo e dei rapidi progressi negli studi scientifici; ma, regnando in Piemonte Vittorio Amedeo III, poco lo Stato curava l'istruzione, sia umanistica che tecnica, e le personalità di ingegno emergenti in questi campi erano indotte a trasmigrare in altri Stati italiani o all'estero, per affermare le proprie qualità scarsamente valutate in patria; sicché altrove operarono ed ebbero fama lo storico Denina, il letterato Baretti, il tipografo Bodoni, il chimico Berthollet e il sommo matematico Lagrange. I primi gradi dell'istruzione erano affidati a istituti confessionali. Fino al termine degli studi secondari, anche Giambattista Magistrini frequentò il seminario di Novara, e fu ottimo allievo in tutte le discipline, ma particolarmente disposto alla matematica, che gli venne insegnata da Stefano Melchioni, idraulico e ingegnere costruttore del ponte di Bufalora sul Ticino. Poi, per il corso universitario, il giovane Magistrini si trasferì a Pavia, presso il collegio Caccia diretto dall'abate Prina e ospitante gli studenti novaresi. Nello Studio pavese, che fra non molti anni sarebbe stato onorato dall'insegnamento di Vincenzo Monti e di Ugo Foscolo, gli fu maestro e guida preminente il matematico Vincenzo Brunacci, uno dei maggiori dell'epoca, amico e seguace di Lagrange. Giuseppe Luigi Lagrange era già celebre ideatore del calcolo sublime. Nato a Torino nel 1736, dopo aver insegnato nella Scuola d'artiglieria e create le basi della locale Accademia delle scienze, era passato all'Accademia di Berlino quale successore di Eulero, quindi alla Scuola normale e alla Scuola politecnica di Parigi nel periodo della rivoluzione, senza subire di questa alcuna conseguenza, perché protetto da un provvedimento ad personam in omaggio al suo valore di scienziato, cioè per lo stesso motivo che gli procurò la nomina a senatore durante l'impero napoleonico.

Intanto, a Pavia, il professore Brunacci constatava l’eccezionale disposizione dell'allievo Magistrini alla matematica, e dopo averlo laureato, lo volle suo assistente, fin quando il piemontese ventisettenne fu nominato titolare della cattedra di calcolo sublime, quale successore dell'abate Saladini all'università di Bologna, che stava risorgendo da una fase di decadenza. Da quattro anni, ossia dall'inizio del secolo, proprio nella provincia natale di Magistrini, a Marengo, la fortuna di Napoleone si era decisamente affermata. Nell'autunno 1804, giungendo a Bologna per l’inizio dei corsi, il nuovo professore trovò l’Università in piena fase di riordinamento dovuto al passaggio dell'antico Studio dalla sfera comunale alla sfera statale, e al suo materiale trasferimento, avvenuto l’anno prima, dall'Archiginnasio al palazzo Poggi, già sede dell' Istituto fondato da Ferdinando Marsili. Sebbene tanto giovane, il professore di calcolo sublime rivelò subito notevoli qualità di docente, e conquistò le simpatie dei colleghi e dei discepoli per il suo temperamento cordiale e comunicativo; acquistò anche la stima generale per il suo sapere: Egli rimase in cattedra per un quarantennio, malgrado che dal 1814 in poi le vicende politiche bolognesi, come quelle delle altre regioni italiane, subissero molte e violente alternative: dai paesaggi di Murat ai tentativi insurrezionali, dal governo pontificio alle periodiche occupazioni austriache. Borghese di indole quieta, sebbene uomo di dignità, egli non partecipò attivamente alla vita politica, e quindi non fu coinvolto nelle successive epurazioni, pur non restando estraneo alla pubblica amministrazione, anzi ricoprendo vari incarichi, ma tutti di carattere tecnico o accademico. A parte la stima generale che lo protesse da persecuzioni, egli fu, oltre che uno scienziato, un umanista dai molti interessi intellettuali, anche storici e letterari, e assai affezionato alla famiglia. Non fu dunque un uomo chiuso nella torre d'avorio della sua specializzazione; visse in pieno la vita del suo tempo, ma non ebbe la vocazione della lotta politica. Fu cittadino della Repubblica italiana, poi del Regno napoleonico; vide l’Imperatore, Murat, i rappresentanti della restaurazione, i moti prerisorgimentali e quelli risorgimentali, il governo pontificio, l’8 agosto, la fucilazione di Ugo Bassi; seppe della sconfitta di Novara, ma non giunse a vivere le gloriose giornate dell'unità nazionale. Manca a noi la competenza necessaria per illustrare il valore del matematico come tale, poiché, pur essendo suoi pronipoti, nulla sappiamo di calcolo sublime. Ma è certo che la sua scuola fu insigne e la sua opera ammirata dagli esperti. Egli redasse testi e memorie sulla Poligometria, sul calcolo delle differenze finite, sulla teoria delle ombre, sulle macchine aérostatiche, sulla integrabilità delle equazioni fondamentali della idrodinamica, sul confronto del calcolo delle funzioni di Lagrange con l’ordinario calcolo differenziale: opere tutte segnalate nella voce a lui dedicata dalla Enciclopedia italiana, redatta dal professor Ettore Bortolotti.

Dalla sua scuola e dalle varie generazioni di suoi discepoli uscirono maestri famosi della nostra e di altre Università: ricordiamo lo stesso suo figlio Domenico, che per qualche tempo gli fu successore, Cavalieri di San Bartolo, Maurizio Brighenti, Silvestro Gherardi, Quirico Filopanti, Gregorio Vecchi, Salvatore Muzzi e Domenico Piani, suoi biografi e illustratori del suo insegnamento. Magistrini tenne la prolusione dell'anno accademico 1817-1818 commemorando Lagrange, capostipite della sua scuola matematica, le cui teorie aveva apprese dal suo maestro a Pavia, Vincenzo Brunacci. Anche a Brunacci andava la stima di Magistrini, tanto da adottare un suo testo e da indurlo a rinunciare a concorrere a un premio dell'Accademia scientifica di Padova, con un saggio sui metodi di calcolo sublime, quando seppe che allo stesso premio anche il Brunacci avrebbe concorso. In una commemorazione di Magistrini, tenuta nel primo anniversario della morte, il suo discepolo Piani non si adattò a tesserne il solito elogio enfatico e apologetico allora in uso, ma, in base alla sua diretta esperienza, volle contestare l’accusa che Magistrini, come docente, fosse stato «alquanto inordinato e oscuro». «S'egli era frettoloso nell'eseguire i calcoli - disse il Piani -, e poche riduzioni egli ponea su quell'ardesia del Cavalieri, egli supponeva negli uditori una prontezza d'operare, che avea diritto di esigere perché con gli studi antecedenti e col molto esercizio dovevano averla acquistata. La sua missione non era già di far calcoli, ma d'insegnar metodi; non d'apprestar formule finali a' tecnici, ma di formare degli analisti. E quando l’imbarazzo di scrivere sulla lavagna faceagli sbagliare una qualche riduzione, egli s'accorgeva ben tosto di non poter giungere alla sua meta; e allora, invece di ricalcare le proprie orme, si apriva una nuova strada, e veniva così a moltiplicar le soluzioni, e insieme a insegnar l’arte di escogitarle». Qualunque fosse il suo metodo di insegnamento, è certo che fin dall'inizio grandi furono i successi nel formare dei suoi migliori allievi tanti eccellenti matematici. A dimostrarlo resta un significativo e vivido episodio da noi appreso attraverso la tradizione famigliare ed esattamente confermato dal biografo Muzzi. Il fatto avvenne alla fine del primo anno d'insegnamento di Magistrini, durante la terza visita di Napoleone alla nostra città. Era il giugno 1805. L'Imperatore, incoronato il 26 maggio nel duomo di Milano, anzi auto-incoronato con la Corona ferrea, giunse a Bologna il 21 giugno, di un giorno preceduto da Giuseppina. La coppia risiedette in palazzo Caprara.

L'Imperatore aveva 36 anni ed era nel pieno della sua maturità fisica e intellettuale, in fase di fortuna ascendente, alla vigilia della gloria di Austerlitz. Tutta Bologna, affascinata dai «rai fulminei» e dal dinamismo dell'uomo, lo accolse con straordinarie fastose dimostrazioni e omaggi. Per quattro giorni egli alternò alle cerimonie e ai ricevimenti ufficiali, visite ai dintorni della città. La sera del 21 fu al teatro del Corso; il 22 sali a cavallo a San Michele in Bosco e galoppò fino al Pontelungo, poi ricevette delegazioni locali e forestiere; il 23, dopo una messa, presente il cardinale Oppizzoni, discusse e deliberò con le autorità interessate, alcuni provvedimenti finanziari riguardanti la città e la sua economia, avviò il dibattito, concluso l’indomani, circa la costruzione del cavo napoleonico, subito iniziata ma solo ora in via di completamento. Assistette a uno spettacolo notturno di fuochi artificiali alla Montagnola e offrì la somma necessaria per creare in luogo un giardino; quindi partecipò a un fantastico veglione al Comunale. Il 24 passò in rivista quarantamila uomini ai prati di Caprara, poi andò a Mezzaratta, ospite nella villa Marescalchi, all'Osservanza per ammirare il paesaggio della pianura dal luogo in cui Antonio Aldini eresse poi la grande villa neoclassica. Un banchetto di gala chiuse la giornata a palazzo Caprara, presenti le autorità bolognesi, i marescialli Jourdan e Moncey, oltre Talleyrand, Maret e Duroc. Il 25 visitò l’Università e l’Istituto durante una sosta di tre ore, e una mostra artigiana nel palazzo pubblico; passò in rivista la Guardia nazionale in piazza, respinse la proposta di erigergli un monumento equestre nella stessa piazza. Nel pomeriggio partì per Modena. All'Università aveva ascoltato un indirizzo di saluto a lui rivolto dal rettore Angelo Bignami; quindi si era intrattenuto coi professori delle varie facoltà. Entrato nell'aula dove Magistrini era ad attenderlo coi suoi allievi, Napoleone, che era esperto di matematica, volle proporre al docente tre problemi di calcolo, invitandolo a risolverli sul momento. Scrive Muzzi, il quale era forse presente, che Magistrini rapidamente espose e sciolse il primo quesito dell'Imperatore; ma poi gli chiese di consentire che gli altri quesiti venissero in sua vece risolti da due dei suoi scolari. Poiché Napoleone aderì alla prova, due di quelli ottimamente l’affrontarono, sicché l’Imperatore potè farsi un elevato concetto del professore e della sua scuola. Da notare che Magistrini compiva proprio allora appena ventott'anni. Nel corso del suo lungo insegnamento, egli ebbe per colleghi all'Università professori di fama, come il giurista Pellegrino Rossi, l’economista Luigi Valeriani, l’orientalista Giuseppe Mezzofanti, lo scrittore Pietro Giordani, il botanico Antonio Bertoloni, i medici Francesco Rizzoli e Antonio Alessandrini, il matematico Giuseppe Venturoli, il civilista Antonio Silvani, il fisico Francesco Orioli e il clinico Giacomo Tommasini. Per un certo periodo egli insegnò anche Meccanica e Idraulica, essendo mancato il titolare professor Casinelli. Fu pure l’animatore della classe fisico-matematica dell'Accademia delle scienze, e segretario perpetuo della stessa Accademia. Scrisse memorie scientifiche in latino, coltivò la storia, le lettere, la filosofia e la morale, e si interessò di belle arti. Di questi suoi svariati interessi intellettuali abbiamo avuta la riprova nella composizione della sua biblioteca privata, rimasta per un secolo intatta in una sua villa di campagna fra San Lazzaro e Pizzocalvo, composta di collezioni del periodo illuministico: riviste scientifiche e collane di opere di storia, di viaggi, di letteratura classica latina, greca, francese italiana; atlanti astronomici e terrestri; né mancavano preziose edizioni aldine e bodoniane: Ricordiamo le opere complete di Buffon, del Muratori, del Tiraboschi, e quella dello Scamozzi sul Palladio. Purtroppo le distruzioni belliche hanno devastata e quasi totalmente dispersa quella biblioteca che fu l’arcano paradiso della nostra adolescenza, così come è avvenuto per molti mobili, arredi e quadri di quella villa patriarcale detta «Palazzetti». Socio di molte Accademie italiane e straniere, Giambattista Magistrini fu intimo amico di Luigi Valeriani, ed ebbe la stima e la confidenza del cardinale Oppizzoni, dal quale fu nominato consigliere di legazione. Fu membro e consulente tecnico di consorzi di bonifica-idraulica, e amministratore comunale e provinciale. Nel 1846 i suoi discepoli vollero onorarlo col dono di un suo busto scolpito in marmo da Massimiliano Putti, allievo del Baruzzi.

Giunto in età avanzata, egli venne curato da una grave indisposizione da Francesco Rizzoli, il futuro fondatore dell'Istituto ortopedico, e volle profittare della salute ristabilita per recarsi a rivedere i luoghi della sua infanzia. Era il 1849, e da poco proprio in quei luoghi era stata combattuta infausta battaglia di Novara, che sembrava aver fermato il moto risorgimentale. A Milano incontrò l’abate Prina, già direttore del collegio Caccia di Pavia, di cui Magistrini era stato ospite durante gli studi universitari. A Maggiora visitò la tomba dei suoi genitori, e rivide dopo tanti decenni di separazione, fratelli, nipoti e amici d'infanzia. In Arona salutò il figlio Gaudenzio, pittore, il quale aveva ritratto il padre in toga accademica, come si vede in questa immagine finora inedita. Magistrini aveva sposato la bolognese Clementina Spinelli, dalla quale aveva avuto sei figli: i maschi Carlo, Domenico, Gaudenzio e Giuseppe; le femmine Matilde e Angela.

Durante il viaggio di ritorno, una nuova più grave crisi lo colpì lungo la via Emilia, ed egli poté appena giungere a Bologna per ivi spirare fra i suoi cari, il 1° novembre 1849. Fu sepolto alla Certosa, nell'aula del Pantheon dei cittadini illustri, e ricordato dal busto marmoreo che i discepoli gli avevano offerto, poi trasmigrato insieme agli altri busti dal pantheon alla sala d' Ercole in palazzo d'Accursio, quindi sui viali della Montagnola dove le immagini furono offese dai bombardamenti aerei e da altri incoscienti vandalismi. Non solo per attaccamento alla memoria dell'avo matematico, ma per orgogliosa reverenza verso tutti quegli insigni cittadini, fra i quali un Galvani, un Carducci, un Pascoli (e tanti se ne dovrebbero aggiungere per completare la schiera: da Murri a Marconi), auguriamo che finalmente quei busti vengano restaurati e riuniti in luogo pubblico, al riparo dalle insidie degli uomini, del tempo e delle stagioni.

Giorgio Pini

Testo tratto da "Tre quesiti di Napoleone I al matematico Giambattista Magistrini", in "Strenna storica bolognese", 1958. In collaborazione con il Comitato per Bologna Storica e Artistica.