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Il mito romantico di Torquato Tasso

1824 | 1872

Schede

La tormentata vicenda esistenziale di Torquato Tasso, rinchiuso nel carcere ferrarese di Sant’Anna a causa di una grave forma di «malinconia», ispira un vero e proprio mito romantico, che nel corso dell’Ottocento viene alimentato dalla fantasia di artisti e scrittori. Il poeta diviene così il simbolo del genio, che non viene compreso, bensì isolato e irriso, in una società dove prevalgono la mediocrità e l’invidia.

In campo pittorico immagini molto suggestive del dramma del poeta vengono fornite dal francese Eugène Delacroix, che sul soggetto realizza due tele, «Le Tasse en prison» (1824) e «Le Tasse danno la prison des fous» (1839). Nella prima il poeta condivide lo spazio con gli altri reclusi, nella seconda invece una finestra con le sbarre isola lo scrittore nello spazio ristretto di una cella. L'atteggiamento del prigioniero è pensieroso e malinconico. Mentre nella prima versione la figura del Tasso conserva una sua solidità e verticalità di matrice raffaellesca, nella seconda il corpo appare come «svuotato», mentre si distende in una posa languida e abbandonata su una chaise-longue (Blanco, 2014). La rappresentazione pittorica di Delacroix, tesa a esprimere la «polemica romantica sull’iniqua accoglienza riservata dalla società al genio» (Blanco, 2014), trova un corrispettivo letterario in un sonetto di Charles Baudelaire, composto nel 1844 e intitolato «Sur le Tasse en prison d’Eugène Delacroix». Nel versi di Baudelaire il poeta italiano diviene il simbolo del sognatore, dell’uomo di talento, che a causa della propria grandezza viene marginalizzato, umiliato e deriso dalla società. 

In ambito emiliano sono diversi gli artisti, che nel corso dell’Ottocento decidono di rappresentare la vicenda sofferta del poeta. Un caso relativamente precoce è quello del ferrarese Gaetano Turchi, che nel 1838 dipinge un Torquato Tasso in San’Anna, oggi a Ferrara, presso la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea - Museo dell’Ottocento. L’opera, eseguita dall’artista a Firenze, fu poi esposta nel Palazzo del Municipio di Ferrara. Il dipinto si distacca dalla tradizionale rappresentazione del poeta, ancora di matrice «tardo cinquecentesca» come quella fornita in ambito bolognese da Pietro Ulivi, autore di un Torquato Tasso, presentato nel 1830 al Concorso Curlandese (Borgogelli, 1980, p. 74) e oggi nei depositi del Museo d’Arte Moderna di Bologna. Pur con una sorta di «diligente accademismo», la tela di Turchi è percorsa da una certa «vena romantica», che si esprime nella scelta del soggetto, l’isolamento del poeta nella cella dell'Ospedale di Sant’Anna, e nella rappresentazione di un ambiente spoglio e cupo, dove «il disordine delle suppellettili e la disposizione casuale di carte e libri concorrono a sottolineare la fragilità del poeta, colto in assorta meditazione».

Il dipinto di Turchi costituisce un possibile precedente per l’opera del bolognese Luigi Busi, Torquato Tasso e il cardinale Cinzio Aldobrandini, dipinta nel 1863-64, oggi presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna. La fisionomia del poeta presenta infatti tratti simili in entrambe le opere, fronte alta, mento appuntito, barbetta, mentre differisce per l’abbigliamento, nella tela del bolognese molto più dimesso. Busi non rappresenta il poeta all’interno del carcere, ma mentre passeggia nel chiostro del convento di Sant’Onofrio sul Gianicolo a Roma, appoggiandosi al braccio del cardinale Cinzio Aldobrandini, che sostenne a proprie spese la pubblicazione della Gerusalemme liberata. Anche il pittore bolognese, rappresentando Tasso come «un anziano un po’ curvo, stanco ed emaciato, vestito in modo del tutto disadorno e arrancante al braccio di un cardinale» (Zacchi, 2013, p. 187), si inserisce nel filone romantico, che privilegia l’esistenza tormentata del poeta. Alla luce delle vicende biografiche del pittore, scomparso prematuramente a soli 47 anni dopo un periodo di ricovero presso il manicomio di Villa Sbertoli in provincia di Pistoia (Chillè, 2015, p. 128), il dipinto realizzato dall’artista in età giovanile si può considerare una sorta di triste presagio, una prefigurazione di un futuro segnato dall’inquietudine e dalla malattia. L’opera, ambientata in una «dimensione senza tempo, dove il passato e il presente si sovrappongono fino ad annullare il fatto storico nella cronaca reale», rappresenta un deciso «passo avanti nello svecchiamento del panorama artistico di Bologna in direzione della ricerca del vero», evidente nel tentativo di cogliere gli effetti delle luci e delle ombre «in modo vivido e quasi fotografico» (Zacchi, 2013, p. 187).

Negli stessi anni il milanese Alessandro Focosi dipinge Torquato Tasso presso la sorella Cornelia a Sorrento, tela presentata all’esposizione annuale di Belle Arti di Brera del 1864 con in titolo «Torquato Tasso, fuggito da Ferrara si presenta in incognito alla propria sorella in Sorrento; dopo averle indirettamente parlato di sé stesso, senza ch’ella il ravvisasse, le si dà a conoscere». Dal punto di vista stilistico l’opera rinuncia alla «dimensione accentuatamente drammatica di ascendenza hayeziana» per accostarsi alla pittura rinnovata di Domenico Morelli, richiamata nell’opera in esame da «cromie smaltate e luminose, ove spiccano i rossi e i gialli» (Rebora, 2013, p. 172). La rinuncia all’intonazione drammatica, in un tema ampiamente sfruttato negli anni d’oro del Romanticismo storico, era già stata colta da Camillo Boito, che a proposito del dipinto di Focosi scriveva: «Quel Torquato è sì bene attillato, ha la barba e i capelli acconciati sì studiatamente, e soprattutto ha il gesto sì falso e sì freddamente affettato che certo non muove l’animo se non a schietta e invincibile antipatia». In precedenza Focosi aveva già affrontato il tema con la composizione dal titolo Tasso nell’ospedale di San’Anna in Ferrara, scelta come saggio del primo anno del pensionato accademico (1860) che gli permise di soggiornare a Firenze, Roma e Torino (Rebora, 2013, p. 172). 

I dipinti di Luigi Busi e Alessandro Focosi, attingendo alla sofferta vicenda biografica del poeta, si distaccano nettamente dalle scene in voga a Bologna intorno alla metà del secolo, che puntano invece sul motivo sentimentale, rappresentando il letterato insieme alla donna amata, Eleonora d’Este. Nel soffitto della Sala Rossa di Palazzo Malvezzi Saraceni, nel 1852-53, Girolamo Dal Pane dipinge un Torquato Tasso insieme alla sua Musa ispiratrice. Nel 1856 inoltre viene acquistato dalla Società Protettrice un’opera di Giulio Cesare Ferrari, Tasso ed Eleonora, di ubicazione sconosciuta (Stancari, 2019, p. 79). Una riproduzione fotografica si conserva nell’Album Beluzzi del Museo Civico del Risorgimento di Bologna. 

Il capolavoro di Luigi Busi viene invece ripreso in ambito bolognese, a pochi anni di distanza, da Alfonso Savini, che dipinge Ultime ore di Torquato Tasso, tela presentata all’esposizione annuale di Belle Arti di Brera del 1868. L’opera al momento è nota soltanto attraverso una fotografia presente nell’Album Belluzzi del Museo Civico del Risorgimento di Bologna. Savini, non solo sceglie di rappresentare gli istanti finali della vita del poeta, ma ambienta la scena nel convento romano di Sant’Onofrio, lo stesso dipinto da Busi. Anche la fisionomia del volto del Tasso presenta, nei due dipinti, alcune somiglianze significative.  

Nel 1872 un altro emiliano, il modenese Giovanni Muzzioli, si cimenta con il tema figurativo dipingendo un Torquato Tasso nell’ospedale di Sant’Anna, oggi a Modena, presso il Museo Civico d’Arte. La scena ideata da Muzzioli mostra Torquato Tasso seduto allo scrittoio, recluso in una piccola cella dell’ospedale. Come nel dipinto di Turchi l’ambientazione è caratterizzata da un tavolo ingombro di carte, libri e frammenti stracciati abbandonati disordinatamente sul pavimento. «La tradizionale interpretazione della figura dell’artista, letta in chiave di romantica e solitaria grandezza, si mescola al moderato realismo di derivazione morelliana rendendo in tal modo ben leggibile il timido tentativo di rinnovamento che attraversava parti della cultura accademica modenese all’indomani dell’Unità» (Fiorini, Piccinini, Rivi, 2013, p. 63).

Infine si segnala un dipinto del bolognese Luigi Paradisi, Torquato Tasso in Sant’Onofrio a Roma, presentato all’Esposizione generale italiana di Torino del 1884, insieme ad altri tre lavori, Pier Capponi al cospetto di Carlo VIII re di Francia in Firenze, Domenico Cimarosa che concerta una mandolinata (1760), Allegoria dei mali della guerra.  

Ilaria Chia

Bibliografia: Massimo Blanco, Il corpo vuoto di Tasso. Note su Baudelaire e Delacroix, in «Laboratorio critico» 2014, 1 (4), pp. 1-9; Marcello Toffanello, Storia e fortuna critica del ‘Torquato Tasso in Sant’Anna’ di Gaetano Turchi, in Il Tasso ritrovato. Mostra del ritratto di Gaetano Turchi restaurato, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, Palazzo Massari – Salone d’Onore, Ferrara, 1995, pp. 3-6; Anna Maria Boari Ghe, Gaetano Turchi. Testimonianze ritrovate di un pittore ferrarese dell'800. 1817-1851, Gabriele Corbo Editore, 1995, pp. 67-68; Alessandra Borgogelli, I Concorsi Curlandesi, Bologna Accademia di Belle Arti 1785-1870, Casalecchio di Reno, Grafis Edizioni, 1980, p. 74; Gian Piero Cammarota et. al. (a cura di), Pinacoteca Nazionale di Bologna, catalogo generale, vol. V, Ottocento e Novecento, Venezia, 2013, pp. 172; 187-190; Roberto Martorelli, Luigi Samoggia (a cura di), Angelo Venturoli - Una eredità lunga 190 anni, Medicina, 19 aprile - 14 giugno 2015, pp. 127-128; Tomas Fiorini, Francesca Piccinini, Luciano Rivi, Museo Civico d'Arte. Dipinti dell'Ottocento e del Novecento, Bologna, BUP, 2013, p. 63; Isabella Stancari, Il primo album fotografico di Raffaele Belluzzi. Prime indagini: concorsi e pubbliche collezioni, in «Figure», 4 (2019),  p. 79; Esposizione delle opere di belle arti nelle gallerie del palazzo nazionale di Brera nell’anno 1868, Milano, Pirola, p. 14; Esposizione generale italiana in Torino 1884. Arte contemporanea Catalogo ufficiale, Torino, Unione Tipografico-editrice, 1884, p. 54.