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Il giornalismo a Bologna dopo l'Unita' d'Italia

1885 | 1919

Schede

Abbiamo di proposito, nella precedente puntata, troncata la nostra rievocazione dell'anno 1885. tale anno, infatti, segna una data nella storia del giornalismo bolognese, poiché vide la comparsa del massimo quotidiano locale di quest'ultimo cinquantennio: Il Resto del Carlino, giornale di importanza pure nazionale, specie ora che sta uscendo sotto l'egida del Littorio.

Il Resto del Carlino | Come nacque il quotidiano e quale la ragione del suo curiosissimo titolo? Sentiamolo dalla viva voce di uno sei suoi fondatori, l'avvocato Giulio Padovani. «Eravamo – racconta questi – sui primi mesi del 1885, e stavo vagabondando per Bologna, quando ad alcuni amici che avevo conosciuti frequentando gli uffici di qualche giornale e, benché laureati, aborrenti, al pari di me, gli spinosi principi della professione, sorse l'idea di un giornaletto che fosse un quissimile di altro fondato da poche settimane in Firenze: una pubblicazione di puro concetto, come dicevamo in gergo professionale, e da vendere, a punto come quella fiorentina, al vilissimo prezzo di due centesimi. Mi comunicarono quell'idea germogliata nel cervello effervescente di Cesare Chiusoli, coltivata con amore da Alberto Barboni e da Francesco Tonolla, e m'invitarono ad essere quarto «tra cotanto senno», assicurandomi che si trattava d'impresa facile e grandemente rimunerativa, né occorrere, a conseguire un brillante risultato, che un fondo di L. 400: cento lire per cadauno!». Entrato nella combinazione, il Padovani espresse l'opportunità di modificare il titolo che i compagni volevano fosse uguale al fiorentino Resto al Sigaro. Poiché questo aveva il modesto proposito di servire ai soli tabaccai come resto ai compratori del sigaro toscano che si vendeva a otto centesimi. Fu così scelto il titolo del Resto... del Carlino: «sia perché poteva in tal modo essere diffuso anche per altri negozi, sia perché simboleggiava lo scopo di rivedere le bucce a qualcheduno». L'arguzia popolaresca di quei tre puntini nel mezzo, voleva infatti pure far suo, con tutta evidenza, il modo di dire: «dare il resto del carlino» che significava dare ad ognuno l'aver suo, salvando la differenza, non dimentichiamo che il «Carlino» era moneta di dieci centesimi. L'articolo «di fondo» recava al posto del titolo un punto interrogativo, seguito da tale spiegazione: «Questo punto deve servire a rappresentare la curiosità dei lettori riguardo ai motivi della pubblicazione, un giornale piccino per chi non ha tempo di leggere i grandi, un giornale per la gente che ha bisogno di conoscere i fatti e le notizie senza fronzoli retorici e diluite divagazioni, un periodico il quale risponde al quotidiano e borghese: «che c'è di nuovo?» che ogni galantuomo ha l'abitudine di rivolgere ogni mattino al primo amico o conoscente che incontra, sia questi magari e specialmente, l'onesto tabaccaio da cui va a comprare il primo sigaro della giornata». «Quest'amico dovrebb'essere appunto il Resto... del Carlino dove ognuno avrà di che appagare il mattutino appetito di novità; dove l'uomo d'affari, l'operaio, l'artista, la donna, tutti, troveranno in un batter d'occhio le notizie esatte e recenti sugli avvenimenti più importanti, il resoconto completo, particolareggiato, minuzioso sino pettegolezzo dei fatti accaduti non solo a Bologna, ma in Provincia, nell'Emilia e nella Romagna donde riceveremo rapide informazioni e telegrammi particolari». «È nostro intento suscitare interesse e diletto: abituare quella parte del popolo che legge poco e legge male a questa specie di notiziario; invogliare alla lettura quelli che sino ad oggi alla lettura non hanno pensato mai». «E tutto questo per due centesimi». «Siamo giusti! È un pane quotidiano che offriamo a un prezzo minimo, non mai raggiunto né meno dopo l'abolizione del macinato». L'articoletto terminava col seguente periodo: «Ci resta la vanità di credere che se non riusciremo, il il torto sarà tutto del pubblico che non avrà saputo comprenderci». l'accoglienza fatta a questo nuovo quotidiano superò invece le più rosee previsioni, fra «le festose approvazioni dei concittadini – come prosegue il Padovani – i quali si compiacevano della nuova vivacità polemica, della insolita libertà di linguaggio e, forse della stessa evidente indisciplinatezza del foglietto mattutino che si scostava affatto dalla pesante uniformità di altri giornali decrepitio agonizzanti o morituri, come la Gazzetta dell'Emilia e la Patria».

La Patria, infatti, fu di lì a poco acquistata dal Carlino stesso che la trasformò in settimanale letterario, assorbendola poi nel quotidiano, mentre la Gazzetta, incapace di scuotere con sollecitudine il lungo letargo, e affettando nei confronti del nuovo confratelli un atteggiamento di ridicola superbia, decadde sempre più fino a che, nell'anno 1911, morì, inonorata e quasi subito obliata. Il Resto del... Carlino, intanto, fin dai primissimi giorni aveva raggiunto la tiratura, favolosa per quei tempi, di 14000 copie quotidiane. «Il titolo – ricorda Gherardo Gherardi che ne fu per un certo periodo il Redattore-Capo – aveva sollecitato la curiosità popolare; il prezzo irrisorio, le battute polemiche e l'annunciato ampio servizio di dispacci particolari fecero il resto». Conviene però dire, per debito di sincerità, che in un primo tempo tali conclamati servizi d'informazione esistevano sono nella premessa, più che nella realtà. Basti dire che il corrispondente da Roma non era autorizzato a spedire più di un telegramma da due lire il giorno! Frattanto, giunto al suo settimo mese, il Carlino raddoppiava il formato, portando a tre centesimi il prezzo di vendita: e, nel processo d'ingrandimento, sparivano dal titolo i tre fatidici puntini. In seguito, il formato ingrandì ancora fino a raggiungere quello degli altri principali quotidiani italiani, ed anche il prezzo di vendita fi portato al livello degli altri, cioè a cinque centesimi. Ora, però, i servizi d'informazione esistevano veramente, ed erano nuovi, numerosi e sapienti, tanto che sul finire del 1888, il Carlino che aveva già raggiunto una diffusione regionale, potè vantare una tipografia propria: quella tipografia dalla quale dovevano poi sorgere gli attuali grandiosi Stabilimenti Poligrafici, editori tuttora del quotidiano.

Oltre alle innovazioni tecniche, contribuì molto a diffondere il Carlino la collaborazione dei principali scrittori d'Italia, collaborazione che assicurò ben presto al giornale un'importanza nazionale. Citiamo alcuni nomi di collaboratori, senza badare a precedenze di merito e chiedendo anticipatamente scusa per le inevitabili dimenticanze: Giosue Carducci, Gabriele d'Annunzio, Giovanni Pascoli, Olindo Guerrini, Ugo Orietti, Adolfo Albertazzi, Enrico Marradi, Alfredo Oriani, Giuseppe Albini, Berto Barbarani, Alfredo Testoni, Trilussa, Antonio Beltramelli, Luigi Capuana, G. A. Cesareo, Salvatore di Giacomo, Guido Gozzano, Matilde Serao, Alfredo Panzini, ecc. ecc. Un collaboratore d'eccezione del Carlino, sebbene occasionale fu Benito Mussolini. Le circostanze di tale collaborazione sono state con esattezza di particolari narrate dal già citato Gherardi, a cui diamo perciò la parola: «Qualche mese dopo il furibondo inizio della conflagrazione Europea, a Bologna si riuniva la direzione del partito socialista ufficiale, che respingeva un ordine del giorno presentato da Benito Mussolini contrario alla neutralità assoluta. Mussolini si dimetteva dalla direzione dell'Avanti e fondava l'organo più acceso dell'interventismo nazionale: Il popolo d'Italia. Un antefatto giornalistico veniva ad illuminare le origini di questo significativo e clamoroso scisma politico; e al primo aveva partecipato il Resto del Carlino. Col titolo: «La morale di una guerra», l'anarchico interventista Massimo Rocca (Libero Tancredi) teneva a Bologna una conferenza, suscitando un'astiosa reazione da parte dei socialisti. Tale episodio aveva provocato, sul Carlino, una lettera aperta dell'oratore a Benito Mussolini, direttore dell'Avanti! Ormai più di nome che di fatto, lettera rivolta «All'unica persona capace di avere un'opinione fra il gruppo di piccoli uomini che oggi dirigeva il partito socialista italiano». A tale lettera rispose, pure sul Carlino, Benito Mussolini; e la polemica quantunque mirasse ad uno scopo chiarificatore, fu straordinariamente vivace. Mussolini concludeva dichiarando che era venuto a valutare l'eventualità di un intervento italiano nel conflitto europeo, da un punto di vista puramente e semplicemente nazionale. Il che non esclude che sia proletario». E a questo punto è necessario rilevare che il Carlino dal suo democraticismo acceso delle origini era via via passato a una tendenza sempre più di destra. E se si escludono le parentesi estremamente equivoche della direzione di un Missiroli e di un Monicelli, fu sempre un giornale patriottico, nel senso sano della parola. Dopo il torbido periodo matteottiano e le susseguente cacciati del Monicelli, il Carlino divenne uno vero e proprio organo Fascista per merito di Giorgio Pini che nel 1928 n'ebbe la direzione che conservò per un breve ma fruttuoso periodo di tempo, in attesa di essere chiamato ad altri e più alti incarichi.

L'Avvenire d'Italia | Ed ora eccoci a parlare di un altro quotidiano bolognese anch'esso d'importanza nazionale, nel suo limitato campo d'azione: L'Avvenire d'Italia. La storia del suo quarantennio di vita è, per dirla col suo ultimo direttore, Raimondo Manzini, «la storia di quarant'anni di vita, di pensiero, di organizzazione cattolica. E la storia continua». É noto che Bologna, la quale per vari aspetti può considerarsi la culla dell'Azione Cattolica Italiana, sentì sempre, fin dal primo momento in cui s'iniziò un vero e proprio movimento cattolico nella città e nella regione, la necessità di una stampa che questo movimento sostenesse. Vedemmo così sorgere L'Ancora che dal 1868 al 1879 sostenne l'impeto della lotta dei cattolici contro i liberali bolognesi. E all'Ancora vedemmo far seguito L'Unione, nuovo giornale cattolico che cessò nel 1896 le sue pubblicazioni, appunto per dar luogo all'Avvenire, quotidiano delle Romagne e dell'Emilia, diretto dal marchese Filippo Crispolti. «Dalle origini sino al 1902 – scrive il Manzini – il giornale assunse ad una diffusione notevole, specialmente durante la bufera scatenata contro i cattolici nell'anno 1898». Nel 1902, nuova trasformazione; L'Avvenire aumenta di formato, di tecnica, e diventa L'Avvenire d'Italia alla cui direzione è chiamato un pubblicista di gran fama nel campo cattolico: Rocca d'Adria. La direzione Rocca d'Adria durò tredici anni e fu ricca di battaglie clamorose. Alla vigilia dell'intervento nella grande guerra succedette l'avvocato Paolo Cappa. Costituitosi il Partito Popolare Italiano, anche l'Avvenire partecipò a questo movimento politico dei cattolici organizzati. In seguito, però, e precisamente nel 1923, il giornale aderiva al Centro Nazionale Italiano, sotto la direzione Bolognesi. Dal gennaio 1927 al dicembre 1929, l'Avvenire fu in proprietà della Compagnia di San Paolo, che volle notevolmente accresciuto il numero delle edizioni. Col 1930, infine, veniva creata la «Società Anonima Avvenire d'Italia» e il quotidiano diventava ed è tutt'ora, «espressione delle correnti che si ispiravano alle direttive ed all'organizzazione dell'Azione Cattolica».

Gli altri giornali | un giornale bolognese di una certa importanza fu pure, in questo periodo, il Giornale del Mattino durato dal 1919 al 1919 e a cui fece seguito, ma con altri intendimenti, per qualche anno, Il Progresso. Il Reno, invece, pubblicatosi nel 1888, durò solo 83 giorni e così dicasi di altri piccoli quotidiani quale il Bologna, uscito negli anni 1897 e 98; L'opinione Conservatrice del 1895; il Popolo, «settimanale socialista-sindacalista», pubblicatosi nel 1911; la Parola, «giornale del partito radicale bolognese», morto nel 1907; la Squilla, altro settimanale socialista durato dal 1901 fino all'avvento del Fascismo; la Voce della Democrazia, altro organo dei radicali, uscito fra il 1904 e il 1910. Giornali di interesse locali, furono tra gli altri, Il Cittadino Bolognese del 1886 e la Nuova Bologna, giornale edito nel 1899, a cura del Comitato per l'ampliamento della cerchia daziaria. Fra i periodici letterati artistici e di varietà, ricorderemo infine l'Araldo, «bisettimanale illustrato artistico-letterario-sportivo», che cominciò a pubblicare nel 1898 e durò vari anni; il Baiardo del 1899; il Bologna-Sport del 1898; le letterarie Battaglie Bizantine dirette da Antonio Cervi, durate dal 1886 e al 1891; la Bussola del 1889; la Controcorrente, diretta da Gino Piva nel 1911; il mondano Don Giovanni del 1888; l'Illustrazione Emiliana-Romagnola del 1899; l'elegante e ben fatta rivista Italia che ride 1900; le Lettere e Arti, settimanale diretto dal Panzacchi nel 1889 e 1890; la Rondine del 1886; la musicale Santa Cecilia sorta nel 1889; il Tesoro del 1897 e il Trionfo del 1906.

BRUNO BIANCINI

Testo tratto da 'Trecento anni di giornalismo a Bologna - Parte Moderna II', nella rivista 'Il Comune di Bologna', giugno-luglio 1939. Trascrizione a cura di Zilo Brati. E' possibile sfogliare integralmente il Resto del Carlino per il periodo 1915-1919 e 1939-1944.