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La "memoria" del governo pontificio a Bologna

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Araldica

LE ORIGINI DELL'ARALDICA

Cretien de Trojes (1135-1190) nel suo poema «Lancillotto», così descrive l'animazione che regna tra gli spettatori di un torneo dove si batterà il suo eroe: «Vedete, dicevano tra loro, il cavaliere dallo scudo rosso attraversato da una banda d'oro? È Governai di Roberdic. E vedete quello che lo segue e che sullo scudo ha apposto un'aquila e un drago? E' il figlio del re di Aragona, è venuto in questa terra per conquistare fama e onore. Vedete anche il suo vicino, che sprona e giostra con tanta abilità? Porta lo scudo partito in verde e azzurro, e sul verde è dipinto un leopardo; è Igauré il desiderato, l'amoroso e bene amato. E quello che sullo scudo porta i fagiani dipinti becco contro becco? E' Coguillant di Montirec. E quei due là sui destrieri pomellati? Sull'oro dello scudo si vedono due leoni grigi. Uno si chiama Semiramis e l'altro è il suo compagno; per questo hanno gli scudi dipinti alla medesima guisa. Vedete il cavaliere che sullo scudo ha l'immagine di una porta da cui sembra che esca un cervo? Ebbene, quello è il Re Idiero». (1)
Questo brano che rende tutto l'epos della cavalleria, ci introduce anche ed in modo mirabile, nel mondo incantato dell'araldica; perché è fuor di dubbio che questa disciplina, per i suoi colori brillanti, l'eleganza delle sue figure, il suo linguaggio suggestivo, esercita un profondo e misterioso fascino.
Tuttavia pochi sono quelli che hanno familiarità con questa scienza, forse perché presuppone anni di studi e di osservazioni e pertanto rimane ancora oggi un argomento lontano dall'interesse del grosso pubblico.
Tutti gli studiosi sono ormai d'accordo che l'araldica ebbe inizio nel XII secolo, quando i guerrieri medievali, completamente coperti dagli elmi e dalle armature che li rendevano irriconoscibili, sentirono il bisogno di dipingere i loro caschi e i loro scudi con vari colori per distinguersi l'uno dall'altro.
L'uso si estese rapidamente a tutta l'Europa occidentale ed ai colori si aggiunsero figure di vario genere allo scopo di abbellire e rendere più distinguibili gli scudi.
Il primo scudo araldico che si conosce è quello di Goffredo V Plantageneto Duca d'Anjou oggi custodito nel Museo di Le Mans e che risale al 1127. (2)
Ben presto però, da questo uso esclusivamente guerresco, l'arma o blasone come venne poi chiamato, da segno di distinzione personale divenne emblema familiare trasmissibile da padre in figlio.
Altro notevole impulso allo sviluppo dell'araldica si ebbe con le Crociate in Terra Santa, quando le schiere cristiane presero a dipingere la croce sui loro scudi, che fu di vario colore per distinguere le varie nazioni. Si aggiunsero poi figurazioni e colori diversi più per riconoscersi vicendevolmente che per differenziarsi dal nemico.
Coll'avvento delle armi da fuoco nel XIV secolo, le pesanti armature medievali che toglievano mobilità ai combattenti senza renderli per questo più protetti, divennero obsolete; non per questo però l'uso del blasone perse la sua importanza. Lo stemma aveva assunto il carattere di identificazione di un personaggio, di una famiglia, di un casato; inoltre se l'arma aveva perso la sua connotazione squisitamente bellica, aveva assunto per contro un carattere per così dire ornamentale.
Stemmi vennero dipinti non più solo sugli scudi da battaglia, ma sui mobili, sulle vesti, sulle suppellettili, sui muri dei castelli, sui frontoni delle case e dei palazzi, sulle chiese e nei conventi, quali segni di distinzione di questa o quella famiglia, di questo o quel convento, monastero o abbazia.

L'uso dello stemma divenne talmente diffuso e popolare che, contrariamente a quanto si crede, esso non fu appannaggio esclusivo della nobiltà, ma si diffuse tra la borghesia e persino tra il ceto contadino.
Nello sviluppo dell'araldica si possono distinguere tre periodi che sono anche stilisticamente diversi.
Un primo periodo che va dal XII al XIII secolo in cui l'araldica ha un carattere esclusivamente guerresco;
un secondo periodo che comprende il XIV e XV secolo in cui la diffusione dei tornei porta al maggior sviluppo dell'araldica intesa come arte del blasone ed alla sua trasformazione da segno di distinzione militare in segno di distinzione di famiglia, stirpe o casato. E' questo il periodo in cui comparvero gli Araldi o Maestri d'Arme, veri specialisti capaci di distinguere, infallibilmente, i vari cavalieri che si presentavano in giostra dallo stemma dipinto sul loro scudo e dal cimiero che portavano sull'elmo. In questo periodo vennero fissate le regole o leggi araldiche di cui gli araldi erano custodi e giudici. Per loro merito comparvero i primi stemmari, preziose raccolte di scudi dipinti con i nomi dei proprietari, che tanta importanza hanno avuto e tuttora hanno, per gli studi in materia.
Nel Rinascimento e successivamente con l'avvento del barrocco (terzo periodo), la rappresentazione araldica specie in Italia, perde le sue caratteristiche originali che erano di sobrietà e purezza (periodo gotico) per diventare pura esercitazione di bravura decorativa.
Le linee semplici e rigidamente geometriche dello scudo gotico si ammorbidiscono sempre più fino a farlo diventare da appuntito ovale o addirittura di forma irregolare. Compaiono tutt'intorno volute, fogliami, intagli complicati e fastosi, vi si aggiungono decorazioni di ogni tipo, non c'è più limite alla fantasia degli artisti che si sbizzarriscono in ogni sorta d'invenzione, talvolta creando dei piccoli capolavori, talvolta sconfinando nel cattivo gusto.
In questi ultimi tempi l'araldica ha conosciuto una nuova fioritura artistica per merito di numerose associazioni araldiche operanti nei vari paesi d'Europa, tendenti a ricondurre il disegno araldico alla sua originale semplicità in accordo sia con lo spirito originario dell'araldica, sia con il gusto artistico moderno.
Il principio fondamentale su cui si basa l'araldica è la chiarezza, indispensabile per poter riconoscere con facilità il proprietario dello scudo. Il disegno araldico ammette solo due dimensioni, non c'è posto per prospettive o chiaro-scuri, le sue divisioni sono strettamente geometriche, eliminati, così come pure ogni rappresentazione realistica.
Le forme figurative tendono all'esagerazione fino ad assumere alle volte un carattere caricaturale. Gli animali raffigurati fin dai tempi di Bartolo da Sassoferrato che per primo pubblicò un vero e proprio trattato di araldica (1350), presentano sempre le stesse caratteristiche: aspetto feroce ed atteggiamento aggressivo e così pure le bestie mitologiche (pantera, grifo ecc.).
Le figure occupano il campo che altro non è che la superficie dello scudo; esse possono trovarsi in qualsiasi punto del campo ma quasi mai toccano i bordi.
Come abbiamo detto, la chiarezza è la caratteristica propria dell'araldica: ne deriva una particolare forma di stilizzazione non disgiunta da una certa libertà espressiva, purezza di linea ed eleganza. Queste regole sono ben presenti nell'araldica classica; solo con l'avvento dell'arte barocca il primitivo carattere di purezza si attenua, specie nell'araldica italiana dove gli scudi tendono a diventare simili a quadri.
I colori dipinti sugli scudi sono fortemente contrastati; da ciò il gran numero di divisioni o partizioni che ogni manuale di araldica riporta.
Accanto alle divisioni geometriche sono poi adoperate figure umane ed animali o singole parti dei loro corpi, mostri, piante, foglie, frutti, stelle, simboli religiosi, utensili, marchi di fabbrica o di professioni ecc.
L'enorme gamma di figure araldiche unita alla possibilità di cambiare la loro posizione nel campo dello scudo, i diversi colori con cui questi si possono dipingere (rosso, azzurro, verde, nero) uniti ai due cosiddetti metalli (oro ed argento), dà luogo ad una immensa varietà di combinazioni.
La scelta di una figura piuttosto che un'altra, può essere dovuta ai motivi più disparati: a pura immaginazione per lo più, ma anche ad un fatto d'arme, alle qualità personali del proprietario, ad un evento importante, ad un episodio accidentale ora dimenticato e non più rintracciabile ecc.
Per la maggior parte degli scudi il motivo rimane però ignoto a meno che non si tratti delle cosiddette armi parlanti, nelle quali gli oggetti rappresentati fanno allusione al nome della famiglia o al mestiere esercitato od a qualche evento storico. E qui si pone il problema del simbolismo in araldica. Esiste in realtà per questa scienza un linguaggio simbolico? In verità esso è solo frutto di credenze popolari o della fantasia degli araldisti classici (Menestrier, Ginanni) che hanno voluto attribuire un significato recondito ai vari colori o figure rappresentate sugli scudi. Il significato simbolico di animali come leoni, aquile, colombe è conosciuto da tutti, ugualmente per le stelle, le croci, i fiori, gli utensili ecc. E questo un simbolismo di tipo popolare: nessun significato esoterico quindi.
Resta qualche cosa da dire sul linguaggio araldico.
L'araldica possiede un linguaggio suo proprio le cui caratteristiche sono: la concisione, l'eleganza, l'austerità.
Blasonare un'arma significa descrivere uno scudo in termini araldici; tale descrizione deve essere breve il più possibile, senza ambiguità ed estremamente esatta. Alcune figure o divisioni possiedono dei termini specifici che bisogna conoscere, indispensabili per chi vuole avvicinarsi alla materia. Non tutte le lingue hanno la duttilità necessaria per blasonare in modo perfetto; da questo punto di vista il francese è la lingua araldica per eccellenza, essendo questo paese la culla dell'araldica. I suoi araldi restano maestri insuperati nell'arte di descrivere gli scudi più complicati ; la stessa Inghilterra deve il suo linguaggio araldico alla Francia, anzi i primi armoriali o stemmari comparsi in Inghilterra erano redatti in francese.
Il linguaggio araldico italiano è stato fino a poco tempo fa, una copia pedissequa di quello francese ma in questi ultimi tempi, per merito soprattutto dei proff. Plessi e Bascapè, la terminologia araldica italiana ha assunto una sua peculiare fisionomia. Essa resta comunque largamente tributaria del linguaggio francese sia per l'affinità delle due lingue, sia per l'uso di termini francesizzanti ormai invalso.
Si è già visto che l'araldica, perduto il suo carattere originario, si diffuse come segno di riconoscimento poiché, non solo i privati ma anche corporazioni, comuni, autorità pubbliche, istituzioni ecclesiastiche, adottarono simboli araldici nei loro sigilli e sui documenti di natura ufficiale e questo sin dal XIII secolo.
L'arma impressa sulla matrice del sigillo divenne quindi simbolo di giurisdizione, di sovranità o simbolo di autenticità su contratti scritti o altri documenti.
Per arma si deve intendere il complesso di emblemi, colori, partizioni, figure, ornamenti che servono a distinguere una nazione, una famiglia, una città, provincia o comune. Tale complesso è costituito da 8 parti: scudo, timbro (elmo, cimiero, corona, svolazzi o lambrecchini, copricapi diversi), corona, manto, tenenti, supporti, sostegni, contrassegni d'onore, ornamenti, legende.

La parte più importante è lo scudo che in araldica indica il campo su cui si possono mettere le pezze, le ripartizioni, le figure.
Il campo può essere dipinto in vari colori, come siè detto, che si distinguono in metalli che sono il color oro e argento e colori o smalti che sono il rosso, l'azzurro, il verde ed il nero.
Vi sono poi le pellicce che sono l'ermellino (fondo bianco sul quale sono raffigurati in modo simmetrico fiocchetti neri somiglianti alle code dell'ermellino e che si dicono pure moscature), il controermellino (si ha quando i fiocchetti sono bianchi su fondo nero), il vaio (fondo azzurro su cui sono disposte delle figure a forma di campanula da giardino di colore argento), il contravaio (quando le campanule sono contrapposte e rovesciate in modo da opporre argento con argento ed azzurro con azzurro).
Il capo è la prima pezza onorevole dello scudo che occupa la sua terza parte più alta, divisa dal resto da una linea orizzontale. Il capo può essere di concessione, di pretenzione, di padronanza, di religione ecc.
Nell'araldica ecclesiastica è molto frequente il capo di padronanza per l'uso che avevano i cardinali ed i vescovi di aggiungere nel capo del loro scudo l'arma del Papa che aveva concesso loro l'alta dignità. Tale arma di padronanza poteva essere anche inquartata con la loro e posta nel 1° e 4° quarto dello scudo, ovvero partita ed in tal caso occupava il 1° partito.
Nell'araldica italiana l'uso del capo è molto frequente.
Le partizioni si ottengono dividendo lo scudo mediante una o più linee verticali, orizzontali e diagonali.
Esse possono essere semplici se la partizione è ottenuta mediante una linea sola, composte se formate da più linee.

Descriveremo brevemente le partizioni più comuni, sufficienti per l'intelligenza degli stemmi che ci interessano:

— Partito è lo scudo diviso da una linea verticale che passa per il centro; essa divide lo scudo in due parti: la destra è la sinistra di chi guarda.

— Troncato o spaccato è lo scudo diviso in due parti mediante una linea orizzontale che, passando per il centro, lo divide in due parti uguali, una superiore ed una inferiore.

— Il partito di due si ha quando lo scudo viene diviso in tre parti uguali mediante due linee verticali. Tale partizione dicesi pure interzato in palo.

— Il troncato di tre si ha quando lo scudo viene diviso in tre parti uguali mediante due linee orizzontali. Anche questa figura si può dire interzato in fascia.

— L'inquartato si ha quando lo scudo viene diviso in quattro parti uguali mediante una linea verticale ed una orizzontale che si intersecano nel centro.

— Il trinciato si ha quando lo scudo viene diviso in due parti mediante una linea obliqua che, partendo dall'angolo destro del capo o cantone, termina alla sinistra della punta dello scudo.

— Si dice tagliato invece, lo scudo diviso da una linea obliqua che, partendo dall'angolo sinistro dello scudo termina alla destra della punta.

— Il controinquartato si ha o quando lo scudo ha inquartato uno o due dei suoi quarti o quando sono inquartati tutti.

Sono queste le partizioni dello scudo che si incontrano più frequentemente ma se ne possono ottenere numerose altre, sia aumentando il numero delle linee verticali e orizzontali partito di tre e troncato di uno, partito di tre e troncato di due ecc.), avendo così la possibilità di dividere lo scudo in tanti quadrati o quartieri, sia combinando in vario modo linee oblique, verticali ed orizzontali.
Per chi volesse approfondire l'argomento si consiglia di consultare la seconda parte del vol. «Insegne e Simboli» curata da M. Del Piazzo.

Le pezze onorevoli fanno parte delle figure araldiche vere e proprie da distinguersi dalle figure ordinarie.
Esse sono a differenza delle partizioni, designate con un sostantivo e non con un aggettivo e si immaginano sovrapposte o caricate sul campo. Si dividono in pezze onorevoli di primo e secondo ordine ed occupano nel campo una posizione tipica.
Le figure naturali sono tutti i corpi che si trovano in natura a cominciare dall'uomo e possono essere animati o inanimati.
Vi sono poi le figure artificiali cioè tutte le opere pensate e costruite dall'uomo come corone, tiare, pastorali, navi, ruote, ferri di cavallo ecc. Le torri, i castelli, i muri merlati frequentemente presenti negli scudi, stavano ad indicare un possesso.
Le figure fantastiche o mitologiche sono quelle costruite dalla fantasia dell'uomo e sono le sirene, le sfingi, le arpie, i draghi, l'aquila bicipite, il grifo ecc.
Dove esse riguardano gli scudi oggetto del nostro lavoro, ne viene spiegato il significato nel predetto glossario.
I punti dello scudo sono le parti dello scudo a cui è stato dato un nome particolare per facilitare la blasonatura. Per del cuore o abisso, che è il punto centrale dello scudo,
la punta che corrisponde all'estremità inferiore dello scudo, il capo, il fianco destro ed il fianco sinistro.

L'ARALDICA ECCLESIASTICA


Fino a qualche decennio fa l'araldica ecclesiastica non era stata oggetto di ricerche e studi approfonditi.
Tuttavia l'argomento, dal punto di vista storico, riveste una notevole importanza, non solo per la storia della Chiesa ma anche per la storia europea in generale oltre che per la datazione di avvenimenti e personaggi.
Nel 1930, D.L. Galbreath, studioso di fama internazionale, pubblicava il suo «Papal heraldry», primo studio organico sull'argomento condotto con grande rigore scientifico. Successivamente il Cardinale B.B. Heim dava alle stampe nel 1949 un volume intitolato «Coutumes et Droit Héraldique de l'Eglise» seguito poi nel 1978 dal libro «Heraldry in the Catholic Church», splendidi lavori che hanno definitivamente messo a punto l'argomento.
In Italia si deve al Prof. G.C. Bascapè se l'araldica cclesiastica ha avuto tutto il rilievo che merita. Nel secondo volume della sua «Sigillografia» comparso nel 1969, egli si occupa di sigillografia ecclesiastica, disciplina come si sa, strettamente legata all'araldica, mettendo così a disposizione degli studiosi i frutti della sua approfondita ricerca. Altro pregevole studio dello stesso autore trovasi al cap. X del vol. «Insegne e Simboli» pubblicato nel 1983 in collaborazione con M. del Piazzo. Pure importanti per l'araldica ecclesiastica sono il «Dizionario di Erudizione Storico-Ecclesiastica» di G. Moroni alla voce «stemma» e alle singole voci; altri significativi contributi sono stati dati da G.B. Crollalanza e da E. Pasini-Frassoni. A queste opere rimando il lettore che volesse approfondire l'argomento; da parte nostra ci limiteremo ad illustrare qualche concetto generale che possa essere di utilità al lettore non specialista.

Come abbiamo visto, l'araldica in origine era strettamente legata alla guerra ed ai tornei e, poiché agli ecclesiastici era proibito portare armi sotto pena di scomunica, essi, in principio, esitarono nel l'usare stemmi. Dallo studio dei sigilli si può rilevare infatti che l'araldica si diffuse tra gli ecclesiastici intorno alla metà del XIII secolo, più di cento anni dopo la sua comparsa. Quando essa perse il suo carattere strettamente bellico per la Chiesa cominciò ad utilizzarla soprattutto nei sigilli.
In realtà la Chiesa aveva già prima i suoi simboli che, con la diffusione dell'araldica, vennero trattati con stile araldico. Nella sigillografia ecclesiastica infatti, sono da prendere in considerazione tre tipi di impronte: le bolle, i sigilli, i timbri.
La bolla si ha quando si schiaccia una palla o «bolla » di piombo tra due matrici; si ottiene in tal modo una impronta bifronte del tutto simile ad una moneta.
La Cancelleria Pontificia le cominciò ad usare fin dal VI secolo, per autenticare gli atti dei successori di S. Pietro e la loro tipologia è rimasta pressocché immutata a partire dal 1099: sul dritto le teste dei S.S. Pietro e Paolo e sul rovescio il nome del Papa.
Nei casi in cui si voleva dare particolare solennità ai documenti, questi venivano autenticati con una «bolla d'oro» formata da due sottili foglie di quel metallo stampate e tenute insieme con dei chiodi.
I sigilli ecclesiastici invece comparvero intorno all'XI sec. quando le autorità ecclesiastiche, a somiglianza di quelle civili, sentirono il bisogno di autenticare i loro atti pastorali.
Essi si distinguono in tre tipi, tra i quali non è possibile stabilire una successione cronologica poiché essi vennero usati contemporaneamente negli stessi periodi storici.
Il tipo sacerdotale che è di solito a forma di «navetta» ma può essere anche rotondo, ovoide o piriforme, è costituito da una impronta su cera che rappresenta un personaggio seduto o in piedi e visto di fronte.
Dal 1300 il colore della sua cera usata è quasi esclusivamente rosso. Per garantire l'autenticità del sigillo veniva applicato un «controsigillo», costituito da un'impronta di solito rotonda e di piccole dimensioni applicata sul rovescio del sigillo principale. Questo uso però viene a scemare a partire dalla seconda metà del XIV secolo.
Il sigillo di tipo agiografico si ha quando l'impronta raffigura un santo o degli angeli o delle scene religiose. I primi esemplari di questo tipo apparvero nel XII secolo e vennero usati in alternativa a quelli sacerdotali fino al XVI secolo.
Il terzo tipo, quello araldico, comparve anch'esso nel XII sec. quando i dignitari ecclesiastici presero a personalizzare i loro documenti mediante i loro emblemi, introducendo così sia elementi araldici nel campo del sigillo sacerdotale o nel controsigillo, sia un vero e proprio stemma posto ai lati o sotto la figura.
Assieme a questi compare infine un sigillo raffigurante esclusivamente l'arma personale del prelato, ed è questo il tipo che, a poco a poco, venne a predominare su tutti gli altri. Nel XVI secolo comparve poi un sigillo, dove la cera, di colore rosso o verde, è applicata direttamente nel documento da autenticare prima di ricevere l'impronta della matrice. Infine intorno al 1850 abbiamo un tipo del tutto nuovo: il cosìdetto «timbro a secco» ove l'impronta viene effettuata direttamente sul foglio da autenticare con una matrice sotto pressione.
Una volta affermatosi l'uso dei sigilli araldici, questi obbediscono in tutto e per tutto alle leggi di questa scienza con una eccezione: l'uso del color violetto come smalto per i cappelli dei protonotari apostolici.
Negli stemmi ecclesiastici si verificano inoltre delle varianti legate alla particolare concezione di questo tipo di araldica che, alle volte, creano difficoltà per l'identificazione dei personaggi. Si ha per esempio l'assenza di brisure, in quanto che la legge della primogenitura non viene applicata negli stemmi dei prelati.
Inoltre spesse volte lo stesso prelato assunse armi differenti nel corso della sua vita pastorale.
Si è visto che l'arma di famiglia veniva usata dal prelato senza alcuna brisura, tuttavia l'uso molto diffuso di porre nel campo dello scudo una croce o un pastorale, può considerarsi una vera e propria brisura di tipo ecclesiastico. Altra eccezione si ha per la brisura di bastardigia poiché, i figli illegittimi dei sovrani e dei grandi feudatari, per accedere agli ordini sacri, necessitavano di una particolare dispensa papale e questo fin dal XIII secolo. Pertanto questi prelati ponevano nello stemma di famiglia di solito una banda, una cotissa, un bastone scorciato o altro. Molti ecclesiastici poi usavano associare all'arma paterna quella del loro ordine religioso o della loro abbazia, cattedrale ecc.; altri infine partivano il loro stemma con quello del pontefice regnante da cui avevano ricevuto la dignità ecclesiastica, oppure l'arma della famiglia materna o quella della famiglia dell'ava. I prelati che non possedevano uno stemma familiare, una volta ricevuta la dignità ecclesiastica, dovevano crearsene uno. Questo veniva fatto osservando per lo più le regole araldiche fino a tutto il XVIII secolo.
In epoca postrivoluzionaria i nuovi stemmi ecclesiastici adottarono composizioni di tipo storico (lo stemma della provincia di nascita o di quella pastorale, l'edificio religioso della cui costruzione si era stato promotore, l'adozione di un simbolo appartenuto ad un predecessore) oppure simboli o personaggi religiosi quali l'agnello pasquale, il sacro cuore, la vergine ecc.
La recente evoluzione dell'araldica ecclesiastica concerne la sua stilizzazione che si esprime nella trasformazione in chiave moderna delle vecchie figure araldiche o nella creazione di nuove o anche nella modificazione dello stemma di famiglia aggiungendo o togliendo un quartiere.
Benché l'araldica fosse accettata pienamente dalla gerarchia cattolica, inizialmente non ebbe una regolamentazione. Le usanze ed i costumi delle varie diocesi, abbazie, basiliche ecc. vennero codificati solo nel XIX secolo. Da principio gli scudi degli ecclesiastici non portavano ornamenti esteriori ad eccezione del Papa. Via via però, vi si aggiunsero la Mitra, il Pastorale, il cappello con fiocchi e la spada se il vescovo o abate aveva anche una giurisdizione feudale.

Tra i timbri ecclesiastici ricorderemo:
— la tiara che è il timbro caratteristico dello stemma papale. La tiara fu in origine un copricapo conico cinto in basso da un cerchio metallico per lo più guarnito con pietre preziose.
Nel XIII secolo il cerchio si trasformò in corona che divennero due all'epoca di Bonifacio VIII (1294-1303). Papa Benedetto XI ve ne aggiunse poi una terza. Si ebbe così il triregno simbolo del potere temporale e spirituale del Papa. La tiara è cimata da un globo sostenente una piccola croce. Dalla tiara pendono due nastri o infule. Il colore della tiara è bianco e quello delle infule è color argento bordato di rosso, ma un tempo il colore poteva variare sia per il copricapo che per le infule. La tripla corona simboleggia la supremazia del Papa sulle tre chiese: militante, penitente, trionfante ed il suo triplo ministero di prete, pastore e maestro dei fedeli;

— la mitra è il cappello a due corni tipico dei vescovi e degli arcivescovi, di color bianco con ricami in oro e seminato di pietre preziose. Anche la mitra ha due nastri laterali o infule. Fino alla fine del XV secolo la mitra ha timbrato lo scudo dei vescovi e degli abati mitrati ma a poco a poco questa usanza è venuta in disuso per essere sostituita dal cappello ecclesiastico;

— il cappello ecclesiastico comparve all'inizio del XIV secolo, sembra per la prima volta in Italia. I cappelli erano in antico solo di due colori: rosso per i cardinali (colore concesso dal Papa Innocenzo IV nel 1245 per ricordare loro di essere sempre pronti a versare il loro sangue per la Chiesa), nero per i protonotari apostolici. (Con questo nome si designano quei prelati appartenenti al collegio dei Protonotari o Primi Notari che venne istituito nel XIV sec. con il compito di registrare gli atti della Curia Romana).
Al colore rosso e nero si aggiunse verso la fine del XV sec, l'uso del colore verde per i vescovi, arcivescovi e patriarchi.
Dal cappello pendono simmetricamente a destra e a sinistra, dei fiocchi o nappe tenuti insieme da cordoni.
Il colore ed il numero dei fiocchi variano a seconda della dignità. Una volta però il numero dei fiocchi laterali non era legato ad una regola precisa.
Solo nel secolo scorso è stato stabilito che i cardinali debbono avere 15 fiocchi per ogni lato disposti 1-2-3-4-5 e di color rosso come il cappello, i patriarchi e gli arcivescovi 10 (1-2-3-4) ma verdi come il cappello, i vescovi, gli abati ed i prelati aventi giurisdizione episcopale 6 (1-2-3) per ogni lato pure di colore verde. I prelati di fiocchetto (Vice Camerlengo di S.R.C., Uditore Generale, Tesoriere Generale della Camera Apostolica, Maggiordomo di sua Santità) hanno diritto al cappello violetto munito di fiocchi rossi in numero di 10 per ogni lato, mentre i Protonotari Apostolici hanno il cappello violetto con fiocchi rosa in numero di 6 per ogni lato. I Canonici delle Basiliche Maggiori hanno un cappello nero con tre ordini di fiocchi, 6 per ogni lato, pure neri. Agli stemmi degli ordini monastici, agli Abati Generali ed ai Vicari dei Vescovi viene attribuito il medesimo cappello nero
con tre ordini di fiocchi, 6 per ogni lato. Infine i semplici preti hanno diritto al cappello nero con un solo fiocco per lato pure nero;

— la croce è un ornamento esterno dello scudo e viene posta in palo dietro di esso. La croce viene portata dai patriarchi e dagli arcivescovi fin dal XIV sec. Essa è l'emblema della dignità episcopale e solo i vescovi hanno diritto di portarla. I cardinali che non sono stati consacrati vescovi non ne hanno diritto. La croce era semplice, cioè ad un braccio solo, sia per i vescovi che per gli arcivescovi ed i patriarchi ma, dal XV sec. in poi, questi ultimi due adottarono la croce a due braccia che venne detta appunto Croce Patriarcale.
La croce viene posta in palo dietro lo scudo da dove sporge in alto ed in basso. Essa non ha niente a che fare con la croce pettorale dei vescovi ma piuttosto ricorda la croce che solo il Papa e gli arcivescovi hanno diritto di portare in processione. Tuttavia i vescovi hanno usato la croce come emblema araldico e l'uso è ormai universalmente accettato dalla Chiesa Cattolica, in Italia in special modo, ove il suo uso risale al XV sec, al posto della Mitra e del Pastorale più frequentemente usati nei paesi di lingua tedesca.
La croce è di solito del tipo trilobato con le braccia cioè terminanti con tre lobi;

— il Pastorale è tra gli emblemi ecclesiastici più importanti. Esso simbolizza il Buon Pastore; solo il vescovo può portarlo ma nella sola diocesi in cui ha giurisdizione. Così pure gli abati entro il monastero e solamente in determinate occasioni se sono fuori. Il Pastorale è, come lo scettro, simbolo di giurisdizione ed al tempo delle lotte per le investiture, fu causa di aspre contese tra l'Impero ed il Papato su chi avesse, tra i due, il potere di consegnarlo nelle mani del vescovo. In araldica esso va posto dietro lo scudo incrociato con la croce oppure in palo o in banda o sbarra;

— la spada compariva nelle armi dei vescovi o abati che avevano giurisdizione temporale nella loro diocesi e stava ad indicare il potere del titolare di procedere a punizioni anche capitali. La spada veniva messa dietro lo scudo incrociata con il Pastorale. Una volta venuto a mancare il potere temporale, la presenza della spada nelle armi ecclesiastiche è scomparsa;

— la corona. Un tempo i principi vescovi e gli abati cimavano i loro scudi con una corona principesca. Anche alcuni cardinali insigniti di tale titolo profano fecero uso nei loro stemmi di una corona. Attualmente nessun chierico può far uso nel suo stemma di corone che stanno ad indicare titoli di nobiltà familiare o ereditaria;

— il pallio è un ornamento liturgico proprio dei Pontefici, in uso fino dal IV sec. Esso simbolizza il supremo potere temporale del Papa e sta ad indicare il dovere che ha di guidare e di aver cura dei fedeli e dei loro pastori. Derivato dalla toga romana, agli inizi era una specie di mantello che copriva le vesti. Più tardi venne indossato piegato fin a ridursi ad una striscia sottile.
Con il tempo divenne attributo anche degli arcivescovi e stava a significare una sorte di partecipazione ai poteri del Papa. Per riceverlo era necessario un giuramento di fedeltà al Pontefice ed il potere arcivescovile era talmente legato alla concessione del pallio che il metropolita non poteva esercitarlo fino a quando non lo aveva ricevuto. Attualmente esso è costituito da un nastro circolare di lana bianca caricato di crocette di color nero. Viene indossato sulle spalle e da esso pendono due nastri, uno sul petto e uno sulle spalle pure bianchi, caricati con crocette di nero. Come ornamento esterno dello scudo però trovasi al di sopra o al di sotto dello scudo, avvolto sulla croce pastorale oppure sotto forma di nastro caricato di crocette di color nero con alle estremità dei fiocchi;

— le chiavi simbolizzano il doppio potere concesso a S. Pietro di aprire e chiudere; esse comparvero per la prima volta intorno al XIII sec. sulle monete, i sigilli e le bandiere della Chiesa a significare il potere di amministrare l'eredità di Cristo e di insegnare la sua dottrina. Nell'araldica ecclesiastica le chiavi sono due, una d'oro ed una d'argento e sono poste incrociate, quella di destra è d'oro e quella di sinistra d'argento. La chiave d'oro è posta con l'ingegno in alto come l'altra d'argento.e significa che il potere del rappresentante di Cristo sulla terra si estende fino al cielo; l'altra simbolizza il potere su tutti i fedeli della terra. Le due chiavi sono legate insieme da un nastro rosso con fiocchi, simbolo di unione tra i due poteri.
Lo scudo va appoggiato sulle due chiavi disposte in croce di Sant'Andrea (incrociate) con l'impugnatura in basso, ciò significa che esse sono nelle mani del Pontefice.
Gli ingegni posti in alto, stanno a significare che il potere di legare e di sciogliere impegna anche il cielo. La tiara è posta tra questi ultimi e le sue infule si avvolgono intorno al fusto delle due chiavi.
Gli ingegni poi sono intagliati in forma di croce per significare che il Pontefice deriva il suo potere dal sacrificio di Cristo sulla croce. Quando muore un Papa, viene posta sul suo catafalco solo la tiara mentre le chiavi, durante la sede vacante, passano al cardinal camerlengo che le pone sopra il suo scudo assieme al padiglione. Le antiche bandiere della Chiesa portavano due chiavi poste in palo (verticalmente) e addossate, in campo rosso.
Dal secolo XIV in poi esse vennero disposte in croce di Sant'Andrea: l'una d'oro e l'altra d'argento, con gli ingegni posti in alto e le impugnature legate con un cordone d'azzurro e d'oro, il tutto in campo rosso; da allora questa è l'insegna ufficiale della Santa Sede;

— il gonfalone o padiglione o ombrellino è un altro caratteristico emblema della Chiesa. Come dice il nome, esso ha la forma di un ombrello semiaperto fatto a spicchi alterni di rosso e d'oro con un bordo degli stessi colori contrapposti mentre l'asta ed il manico sono d'oro e sulla punta è posto un piccolo globo sormontato da una croce sempre d'oro.
Il gonfalone viene considerato come un'insegna della S. Romana Chiesa ed indica il suo potere temporale. Come si è detto, il cardinal Camerlengo lo pone sopra o dietro il suo scudo assieme alle chiavi durante la sede vacante; esso viene anche impresso sulle monete coniate in questo periodo. Per antico costume il padiglione spetta anche alle Basiliche Maggiori.
In araldica ecclesiastica venne usato a cominciare dal XV sec. e per la prima volta comparve in un sigillo di Cesare Borgia che volle rappresentare in tal modo, il potere temporale della Chiesa da lui detenuto in quel periodo.
Le famiglie che avevano dato un Papa alla Chiesa avevano il diritto di portare nel loro stemma il gonfalone. Anche le famiglie che avevano reso particolari servigi alla Chiesa ricevevano dal Pontefice il privilegio di metterlo nella loro arma. Di solito posto in palo con le due chiavi in decusse e accollate.

(1) Cretien de Trojes, Lancillotto, trad. di G. Agrati e M.L. Magini, Milano 1983, pag. 94
(2) La sua datazione è però messa in dubbio dal Galbreath ("Manuel du Blason", Losanna 1977, pag. 25)