Schede
“L’idea buona per quanto contrariata, a poco a poco penetra e risplende nella coscienza di tutti, e le conseguenze scaturiscono da sé. L’idea è una forza che nasce e si ingigantisce inavvertita negli inesplorati penetrali del pensiero, e quando è matura nulla può contenerla e prorompe irresistibilmente”. Così, citando il filosofo positivista Roberto Ardigò, nel 1909 l’avvocato Giuseppe Tesi, presidente onorario della Società di Cremazione di Pistoia, incitava a proseguire nell’opera di diffusione del principio e del metodo della cremazione dei cadaveri nonostante – dopo quasi quarant’anni di dibattiti e di polemiche – il procedere fosse lento, ostacolato dai “nemici del progresso” e da forme ambigue di “misticismo” e di “idealismo trascendentale”. Si erano però, almeno in parte, smorzati i toni di quella polemica che, all’apparire delle prime società di cremazione, aveva coinvolto medici, igienisti, giuristi, religiosi decisamente schierati pro e contro questa “nuova” proposta di conservazione delle reliquie mortali.
Un dibattito avviato inizialmente attorno a posizioni che esprimevano valori etico-morali e sociali e, successivamente, scivolato in schermaglie politiche tanto da far amaramente commentare a Paolo Mantegazza, medico e igienista impegnato nei lavori di riforma delle leggi sanitarie, Anche sotto l’ombra dei cipressi [è] penetrata la politica e anche fra le urne confortate di pianto vi si [domanda] con poliziesca inquisizione se si [vuole] esser sepolti o bruciati, per poi classificarvi fra gli uomini di destra o di sinistra […] Dacchè in questi tempi di intolleranza, che [è] per la cremazione [è] uomo avanzato e liberale, chi la [contrasta] è clericale, retrogrado o peggio. Quando, nel 1876, a Milano si compiva la prima cremazione dell’industriale e filantropo Alberto Keller, “non più su un rogo, more antiquo, ma in un’ara crematoria” parevano trovar concretezza le aspirazioni fin lì sostenute, a titolo personale, da uomini di chiara fama scientifica quali l’abate modenese Scipione Piattoli, il filosofo tedesco Jacques Grimm, l’igienista Jakob Moleschott, i medici italiani Ferdinando Coletti, Giovanni Du Jardin, Agostino Bertani, Pietro Castiglioni, il chimico Giovanni Polli. L’episodio si rivelò estremamente importante e gravido di conseguenze: da un lato fu la premessa al sorgere della prima società di cremazione, dall’altro determinò il primo intervento legislativo in materia e una precisa scelta dell’amministrazione comunale milanese che cedette gratuitamente una vasta porzione di terreno dentro il Cimitero Monumentale per la creazione di un Tempio crematorio.
Il sorgere delle prime società | All’interno del gran fiorire di associazioni di varia natura che si determinò in Italia nel trentennio post-unitario, le società di cremazione costituirono un unicum per l’obiettivo primario che si ponevano: tutelare l’individuo non in vita, ma dopo la morte, salvaguardandone i resti mortali in modi diversi da quelli tradizionalmente in uso e ritenuti più igienici e morali. Di fatto esse divennero, nella contingenza dei tempi e delle polemiche che suscitarono, vere e proprie “scuole popolari” in materia igienica, luoghi in cui si dibattevano principi filosofici e etico-morali, in cui si combattevano inveterati pregiudizi in nome del progresso e della modernità. Non furono estranee all’impegno politico – se si tiene conto del ruolo che ebbero nella battaglia per l’emanazione di un Codice igienico-sanitario, elemento cardine su cui si svolse gran parte del dibattito che portò negli anni ottanta dell’800 alla riforma crispina della sanità – ma il loro coinvolgimento “di parte” non fu una scelta esplicita, bensì una conseguenza degli eventi, e ciò appare chiaro se si considera che tra i fautori della cremazione troviamo sì uomini della sinistra progressista e radicale ma anche liberali di destra e uomini della chiesa, così come avveniva per lo schieramento contrario. La presenza, sempre tra i soci, di personalità di spicco ma anche, e in numero sempre crescente, di cittadini comuni (professionisti, impiegati, operai, artigiani) giustifica quel carattere “popolare” di cui si parlava. Un dato – sottolineato da molti studiosi coevi – è la considerevole presenza femminile. Quando fu incenerita la salma di Alberto Keller – si legge in due opuscoli di propaganda – erano circa duecento i cittadini di tutte le classi che a Milano si costituirono in società, per la diffusione del principio crematorio, essa conta ora non meno di diecimila soci. Le cremazioni finora celebrate in Italia sono state più di tremila senza tener conto di quelle restate ignote, perché non partecipate alla lega italiana. E’ da aggiungere che queste furono nella maggior parte di cittadini colti appartenenti al ceto elevato ed in varie città figurano anche i nomi di molte signore che seppero spezzare quella catena di vieti pregiudizi di cui, più che gli uomini, le donne sono vittima. Notevole in ispecie è la città di Firenze, ove il numero delle donne cremate è superiore a quello degli uomini. Il nucleo portante delle società erano i membri effettivi che pagavano una quota all’atto dell’iscrizione – quella di Milano (sul cui statuto si modellarono tutte quelle successivamente sorte in Italia) era di 25 lire che si poteva pagare anche in più rate mensili (L.2,50) per un anno dall’ammissione) e ciò per favorire le classi sociali più deboli – e avevano diritto di prendere parte alle assemblee, di eleggere il Consiglio direttivo, di essere cremati gratuitamente a Milano o in tutte le altre località in cui esisteva una società analoga. Essi erano affiancati da membri onorari e da membri aderenti che pagavano una tassa forfettaria di 3 lire; questi ultimi potevano intervenire all’assemblea generale senza diritto di voto. Tutte le società si proponevano come obbiettivo primario il rispetto della volontà del singolo di farsi cremare e la diffusione del principio della cremazione.
Il rispetto della scelta individuale era ribadito a chiare lettere da tutti i sostenitori della cremazione, i quali affermavano di non voler imporre un nuovo sistema, generalizzandolo, ma al tempo stesso chiedevano di veder esaudite, nel rispetto di una legge confacente, le loro volontà. Si è sempre creduto che una volontà, regolarmente ed assennatamente espressa in un testamento, dovesse con iscrupolo esser rispettata, affermava Giovanni Cantoni in una pubblica conferenza; e, in un opuscolo di propaganda, Lodovico Foresti aggiungeva Il farsi cremare è facoltativo, non obbligatorio; noi non vogliamo per ora sopprimere questa costumanza [l’inumazione], vogliamo solamente fare apprezzare di quanto la cremazione sia preferibile alla inumazione, lasciando libero ognuno di farsi seppellire o di farsi cremare. Il carattere “popolare ed educativo” è sottolineato, specie nelle società di cremazione inglesi, dalla presenza di una biblioteca e di un museo e dalla necessità, comune a tutte, di fare opera di propaganda attraverso opuscoli, giornali e conferenze. Con una conferenza pubblica, tenuta il 6 aprile 1874, i medici Giovanni Polli, Luigi Griffini, Gaetano Stambio, Gaetano Pini – presenti tra gli altri Bertani, Du Jardin, Colletti – si fecero interpreti delle volontà testamentarie di Alberto Keller, il quale non solo aveva disposto di essere, in morte, cremato ma anche gettato l’idea di costituire Una associazione di persone libere da pregiudizi e filantropi che facessero la dichiarazione di volere che, al loro decesso, i loro corpi fossero ridotti in cenere. Il problema era duplice, ma aveva lo stesso obiettivo: ottenere un riconoscimento formale e giuridico alla cremazione. Infatti il corpo del Keller, morto nel 1874, nonostante le sue disposizioni testamentarie, era stato imbalsamato, in quanto nessuna norma di legge ne permetteva la cremazione. Solamente due anni dopo, il 22 gennaio 1876, con il consenso del nuovo ministro dell’Interno Nicotera, la volontà dell’industriale milanese poté essere esaudita. Nei giorni che seguirono alla cerimonia funebre del Keller – svolta in modo solenne, con rilevante presenza di persone via via sensibilizzate alle questioni che intorno ad essa erano state sollevate – nelle strade di Milano apparve un manifesto in cui si annunciava che più di trecento cittadini, convinti dalla necessità e dell’utilità della cremazione, avevano formato una società allo scopo di incoraggiare e “volgarizzare” in Italia la riforma da più parti auspicata. Quando l’8 febbraio successivo la nuova associazione fu formalmente istituita con l’approvazione delle norme statutarie, era ben chiaro a tutti i soci promotori che Tout était à faire on manquait le lois et de règlements; les moyens memes que l’on proposait pour la crémation, ne correspondaient guère aux exigences du temps et de l’économie; les oppositions étaient nombreuses et parfois d’une grande autorité; le public sceptique ou indifférent; les adversaires s’appuyant sur des opinions précocues, seu de vieux préjugés, fermement décidés à combattre la crémation.
Si doveva combattere dunque su più fronti: politico per ottenere una legislazione specifica; culturale per sconfiggere opposizioni dettate da radicati convincimenti e pregiudizi; educativo per penetrare a fondo nella società italiana i nuovi principi sostenuti. Positivo venne considerato il fatto che negli stessi anni anche all’estero si discutessero gli stessi problemi e da più parti si dessero risposte affermative al “nuovo” sistema di conservazione dei cadaveri. Così a Vienna nel febbraio del 1874 il consiglio comunale aveva votato, all’unanimità, la cremazione facoltativa, con l’appoggio dell’Accademia imperiale di medicina, e scelte analoghe fecero, in breve tempo, altre città dell’Impero; ancora nello stesso anno a Dresda, e a Londra nacquero associazioni per la cremazione. In Svizzera, a Zurigo, il 27 luglio 1877 il Consiglio di Stato introdusse nella nuova legge sull’igiene pubblica alcune disposizioni relative alla cremazione; analogamente, negli anni seguenti, si comportarono alcune città dell’America del Nord (S. Francisco, New Orléans, Buffalo, S. Louis, Chicago) e del Sud (Buenos Ayres, Montevideo) ed europee. In Italia la cremazione trovò sistemazione legislativa solamente nel 1888, con la legge crispina sulla tutela dell’igiene pubblica, pur essendo già stata discussa all’interno dei progetti di riforma del sistema sanitario nazionale definito con le leggi 20 marzo 1865, All. C, e 22 luglio 1874, che estendeva alle Venezie le disposizioni sulla sanità pubblica. Nel 1873, in Senato, mentre era in discussione il codice sanitario Lanza per la riforma della sanità, il prof. Carlo Maggiorani propose di aggiungere al 1° capitolo del titolo XI (riguardante i cimiteri) un articolo in base al quale i sindaci avrebbero potuto (se i parenti del defunto lo desiderassero) permettere la cremazione dei cadaveri. Nonostante le opposizioni del Lanza – a cui la proposta pareva avanzata avanti tempo, rispetto alla cultura nazionale – il Senato decise di trasmettere la proposta Maggiorani in Commissione. Per vicissitudini parlamentari quel primo schema di codice non arrivò mai alla Camera e tre anni dopo il ministro dell’Interno Nicotera presentò al Senato un nuovo progetto, anch’esso destinato a restare “sulla carta” perché travolto da una nuova crisi ministeriale. Ma qualcosa intanto si era modificato circa la cremazione, grazie a norme specifiche introdotte in due successivi regolamenti applicativi della legge sanitaria. Secondo il regolamento 6 settembre 1874, n. 2120, la cremazione era possibile solamente dopo aver ottenuta l’autorizzazione del ministro dell’Interno, ciò costringeva spesso a ricorrere all’imbalsamazione dei cadaveri in attesa dell’auspicato permesso. Fu ancora il Maggiorani a fare pressioni sul governo al fine di snellire la procedura burocratica; egli ottenne nel 1877 che venisse modificato l’art.67 di detto regolamento affidando ai prefetti, sentito il Consiglio sanitario provinciale, l’incarico di concedere le opportune autorizzazioni. Tutto ciò non significava comunque una “sanzione ufficiale” della cremazione, ma solo un primo passo su una strada ancora lunga da percorrere, e ne erano ben consapevoli i più autorevoli sostenitori, che continuarono, anzi intensificarono, con ogni mezzo la loro propaganda.
Propaganda come “socializzazione“ di un problema | Due furono sostanzialmente i momenti “ufficiali” di propaganda: i congressi scientifici e le cerimonie pubbliche. Riservati agli specialisti i primi, le seconde vennero intese come vero e proprio strumento di “volgarizzazione” di un problema e di educazione “popolare”. Così al congresso dei medici comunali svoltosi a Milano nel settembre 1877 fu votata una mozione in cui si chiedeva che “la cremazione facoltativa dei cadaveri fosse ammessa nel nuovo codice sanitario e che fosse regolamentata con opportune leggi” nello steso modo in cui era riconosciuta l’inumazione. E ancora nel 1880, presso il Cimitero Monumentale di Milano si tenne l’ultima seduta de III Congresso internazionale di igiene riunito a Torino: si trattò di una seduta “memorabile” – come scrisse la stampa specializzata – nella quale furono gettate, alla presenza dei delegati di tutti i paesi, le basi per una Commissione Internazionale (con sede a Milano) che avrebbe sostenuto la causa della nuova riforma. L’Esposizione nazionale di Milano del 1881, in cui si tenne anche la prima riunione degli igienisti italiani e il Congresso di tutte le società di cremazione sorte in Italia, svoltosi a Modena nel 1882, furono i momenti più alti di propaganda di questa “civile riforma”. Proprio in quegli stessi anni si registrò una novità decisiva per una svolta nella riforma sanitaria del paese, con la decisione del Depretis di affidare ad Agostino Bertani l’incarico di elaborare un nuovo sistema di codice. Bertani, uomo della sinistra risorgimentale e radicale e medico di profonda serietà e competenza, riteneva “dovere” dello stato “di vigilare e tutelare la pubblica salute” con il corollario che l’igiene pubblica doveva essere comandata e non semplicemente raccomandata. Tra le norme igieniche da introdurre era la cremazione dei cadaveri, che il Bertani andava sostenendo da tempo. Il nuovo clima politico sembrava favorevole alle riforme, così come le adesioni sempre maggiori e un’opinione pubblica più avvertita e interessata spingevano i fautori della cremazione a premere per ottenere una legislazione opportuna e specifica in materia. In questi termini si espressero i partecipanti al IV Congresso internazionale di igiene tenutosi a Ginevra, i quali sollecitarono nuovamente i governi, in “omaggio ai principi della libertà e in conformità delle leggi igieniche” a far sparire gli ostacoli legislativi che, in certi paesi, ancora si opponevano alla cremazione facoltativa. Importanti furono ritenute le dichiarazioni di numerosi medici legali – vedremo in seguito i termini giuridici del dibattito – i quali riconobbero che la cremazione praticata Con le regole e le precauzioni adottate a Milano, non poteva costituire un ostacolo serio alle ricerche giuridiche.
Certo ad avvicinare un pubblico più vasto ad un problema apparentemente riservato ad un dibattito specializzato, fu la serietà dimostrata dalle società già operanti su tutto il territorio nazionale. Inizialmente la gente si avvicinava ad esse per curiosità, ma con tanta incomprensione e tanti dubbi; partecipava alle cerimonie con occhio critico e spesso denigratore; i cremazionisti col loro operare aperto e disponibile ad ogni chiarimento seppero fugare tante incertezze, legate più a fragili ma radicati pregiudizi che a veri e propri convincimenti. Tra gli aspetti formali e le consuetudini più consolidate negli animi popolari era la “sacralità” della cerimonia funebre e di questo erano ben consapevoli i cremazionisti. Ma v’ha un’altra condizione alla quale annettiamo una grande importanza e a cui dovrebbe soddisfare, secondo il nostro pensiero, qualsiasi apparato crematorio – scriveva in una lettera al direttore del “Pungolo” di Milano l’ing. Clericetti, ideatore di un forno crematorio – La condizione, cioè, di conservare al processo tutte le forme d’una cerimonia, tutte le apparenze di una pompa funebre, e insieme di offrire un concetto artistico che allontani il pensiero da ogni artificio industriale. In un paese di tante tradizioni artistiche e religiose come il nostro, mi sembra che il soddisfare a tale intento debba essere un’idea dominante.E che la cerimonia pubblica fosse essa stessa un’idea dominante lo dimostra l’ampia cronaca che “Il Secolo” dedicò alla cremazione di Alberto Keller. "Il gran numero di persone accorse per assistere alla cremazione della salma di Alberto Keller, mostrò la diffusione della detta opinione; mentre numerosi scienziati colla loro presenza attestavano l’importanza della cremazione che stava per compiersi. La vasta e desolata campagna del Cimitero, tutta coperta di neve, appariva ancora più triste colle sue croci sepolte per metà, colle bianche cappelle il cui candore contrastava con quello della neve e colle pianticelle educate dall’amore e cambiate in brulli sterpi. Quel candore era rotto solo qua e là dal verde eterno della mortella che sopravvive al gelo dell’inverno…e fors’anco degli affetti. I viali erano vere pozzanghere: e tutti gli invitati procedevano tristi, quasi riverenti su quel fango, fango umano, composto dalle particelle putrefatte dei corpi, i quali, sotto quella neve che filtrava l’acqua nei feretri, acceleravano, fra i vermi, la loro dissoluzione. Vi erano molte eleganti signore venute ad attestare colla loro presenza che il sentimento è tutto per la cremazione che non distrugge, colla orribile idea della putretudine, la bella memoria della persona amata […] Alle ore 2 pom. La salma del Keller arrivò alla cappella crematoria: il feretro fu aperto ad una estremità: e noi potemmo scorgere il capo del cadavere. Poi avvicinata la cassa all’imboccatura dell’ara crematoria, sulla quale aleggiava una fiamma, il corpo venne introdotto, in modo invisibile a tutti, entro l’urna. L’opera del fuoco struggitore era cominciata. Il signor Pera, ministro protestante, pronunziò un discorso in lingua francese […]. Dopo di lui il prof. Clericetti espose la storia e i modi del processo crematorio. Poi il prof. Coletti dell’Università di Padova, lodò la cremazione come un grande processo umanitario; e finalmente l’egregio dottor Pini, fautore caldissimo della cremazione, parlò con ornata parola del fatto che si compieva, il quale era la sanzione di ciò che nei popolari comizi, nei numerosi congressi internazionali, nei diari politici, nei giornali scientifici era stato proclamato. Intanto le persone invitate accostavano l’occhio a un foro nell’arca, dal quale si scorgeva il corpo circondato dalle fiamme. […] Quelli che non applicarono l’occhio a quel breve pertugio, di altro non si accorgevano che di una fiamma di gaz che vivida si innalzava dall’avello: e da una densa colonna di fumo che esciva dal campanile. Dopo un’ora e mezza, la funzione era finita. […] Nessun odore aveva […] offeso le nari degli astanti durante il tempo dell’atto crematorio”. Ovviamente non tutte le cerimonie avevano questo momento pubblico: la maggior parte veniva svolta nel silenzio e nel rispetto del privato dolore. Sempre circondava queste operazioni – “fatte da persone pie e civili e zelanti, da mani pulite che agiscono pel solo interesse morale, e paghi soltanto di adempiere ad un ufficio umanitario” – una “pietas” infinita.
Scriveva sempre il Tesi: Dicono alcuni fanatici oppositori come il Bersezio e il prof.Porro, che davanti ad un’urna cineraria essi non potrebbero pregare come pregano sopra un sepolcro. Fede, fede ci vuole! Io ho visto un giorno là nel nostro tempio una vecchia donnicciola inginocchiata che pregava colla corona in mano davanti un’urna. Mi commossi, mi avvicinai a lei e le domandai le ceneri di quale suo parente erano là racchiuse: ed ella mi rispose: quelle della mia povera padrona che ho tanto amato. La preghiera di quella buona vecchierella sarà in quel momento giunta al trono dell’Altissimo, come quella che ognor si mormora nella cappella del cimitero o nella Chiesa? Io ritengo di si ed anche con precedenza: perché G. Cristo ha detto quando fai orazione entra nella tua camera. E chiusa la porta prega in segreto il Signore che te ne darà la ricompensa e non fare come i Farisei ipocriti che pregano nelle sinagoghe per farsi vedere. Se la propaganda dei cremazionisti cercava di arrivare ad un più vasto pubblico toccando con toni diversi anche le corde del sentimentalismo e del pietismo, era perché con uguale insistenza si muovevano gli oppositori. Molti pregiudizi sono corsi intorno alla pratica della cremazione, non appena si annunziò il tentativo di una sua risurrezione – scriveva il Pagliani, professore di igiene all’Università di Torino, progressista, impegnato interprete della questione sanitaria – Voci molto interessate si sono fatte passare di bocca in bocca per destare a suo danno nel pubblico, facili fantasie macabre, senso di ribrezzo e quasi di orrore. Sono pochi anni che si guardava da taluno, anche da noi a Torino, quasi con disgusto, il nostro tempio crematorio, che altri aveva tentato di far considerare come profanazione del cimitero. Nelle città in cui erano sorti dei crematoi, una battaglia vinta era stata quella della sistemazione dei cinerari che i tradizionalisti volevano avvenisse fuori dal territorio consacrato. Le amministrazioni comunali invece – anche se non tutte si comportarono come quella milanese che aveva ceduto gratuitamente il terreno - conformemente alle leggi che stabilivano la competenza laica del comune sui cimiteri, ammisero i tempi crematori dentro i recinti. Questo fatto, come il susseguirsi delle cremazioni e la serietà delle cerimonie, fu un elemento determinante per vincere “l’artificiosa suggestione dei nemici di questa pratica”. Tant’è che sempre il Pagliani, nel 1904, sottolineava: A Milano, a Torino, dovunque è eretta un’ara crematoria, avviene ora ciò, che così semplicemente e con tanta verità dice per Bologna il dott. Foresti, nel Resoconto morale di quella ormai vecchia società: Oggi … il pubblico numeroso e riverente entra nelle Sale della Pietà a deporre fiori sulle urne, entra nel tempo crematorio senza ostentazione, ma ansioso di apprendere, tutto osserva e nota, e con interesse e senza ripugnanza chiede spiegazioni sul processo di incenerimento, sul modo di raccogliere le ceneri e sopra altre particolarità, essendo contento di aver appreso come fosse bugiarde e false le notizie già a lui insinuate.
I temi del dibattito | “Le false notizie” come la “buona propaganda” si erano sviluppate principalmente attorno tre aspetti: quello igienico-sanitario, quello medico-legale e quello religioso. In anni in cui l’igiene andava acquisendo dignità scientifica con la nascita di cattedre universitarie, di istituti specializzati e in cui altresì le inchieste sanitarie, al pari delle epidemie coleriche e della diffusione di malattie sociali quali la malaria, mettevano a nudo le deficienze legislative circa la tutela della salute del cittadino, si cominciava anche a cercare le cause e i rimedi a tanta arretratezza. Iniziarono i primi controlli sulle fabbriche insalubri, sulle aree a grossa concentrazione abitativa, sugli elementi naturali trasmettitori di batteri, veicoli di epidemie, quali le acque. Uno specifico complesso di leggi oltre vietare le sepolture nelle chiese e in luoghi non idonei, obbligò la sistemazione dei cimiteri in aree lontane dai centri abitati, secondo norme ben precise. Nonostante ciò gli igienisti sollevarono dubbi oltrechè sulla corretta applicazione delle leggi – molto spesso l’espandersi del centro abitato verso la campagna faceva sì che le distanze regolamentari venissero superate, quando non espressamente eluse – sul fatto che le acque inquinate dal processo di putrefazione dei cadaveri, venivano utilizzate per uso comune con danno notevole per le persone. Ovviamente a ciò si aggiungevano i casi estremi delle guerre e delle epidemie. In tal caso i numerosi cadaveri venivano inumati in fosse comuni, senza alcun riguardo alle leggi e nessun rispetto per le norme igieniche. La cremazione, evitando ai corpi la naturale decomposizione, poteva essere uno strumento di prevenzione al diffondersi di microrganismi e muffe fautrici di epidemie. La risposta degli anticremazionisti a tali obiezioni fu debole e si fondava sul fatto che anche dai forni uscivano “gas mefitici”. Le successive ricerche sui metodi di incenerimento fece cadere tali critiche e la battaglia condotta sul terreno dell’igiene fu a favore dei cremazionisti.
Più articolata e problematica si manifestò la questione legale. Alla cremazione si opponeva la medicina forense Giacchè una volta che essa fosse ammessa come pratica libera, tenderebbe a sottrarre alla giustizia penale il mezzo di scoprire o di accertarsi di reati che per il momento hanno sfuggito ad ogni sospetto. Si danno spesso casi nei quali il potere giudiziario si è trovato costretto ad ordinare l’esumazione dei cadaveri umani, settimane e mesi dopo la loro tumulazione. Questa posizione divenne il cavallo di battaglia degli anticremazionisti che addirittura arrivavano paradossalmente a presupporre una crescita parallela di cremazioni e avvelenamenti o omicidi. “La malizia degli uomini – scriveva Pellegrino Matteucci, no dei più convinti oppositori – supera i ristretti limiti della scienza; e sinocché il cadavere giacerà composto nel sepolcro, darà all’assassino una terribile e continua angoscia nel timore, che la giustizia un giorno o l’altro vendichi la vera causa della morte per mezzo del crogiuolo del chimico o della lente del microscopio. Per me credo, che se contro la cremazione non esistesse che la ragione giuridica, questa fosse sufficiente perché venisse respinto questo nuovo metodo che danneggiando gli interessi vitali della giustizia, presta man forte a chi studia di troncare la vita di un onesto cittadino […] Il giorno in cui la cremazione dei cadaveri diverrà un fatto compiuto – affermava enfaticamente – la statua severa della giustizia dovrà con ragione essere velata a bruno”. Le obiezioni medico-legali non avevano per oggetto solo gli avvelenamenti, ma anche le morti avvenute per lesioni interne, non visibili esteriormente. Le risposte dei cremazionisti furono pronte e sempre cercarono una validità scientifica al loro argomentare. Il Musatti innanzi tutto dimostrò che le esumazioni giuridiche non portavano d’ordinario gran luce nei procedimenti penali e che queste avvenivano assai di rado e quasi esclusivamente per gli avvelenamenti. Del resto, aggiungeva lo stesso Musatti, esperimenti chimici in atto stavano dimostrando come anche nelle ceneri si potesse riconoscere la presenza dei composti di arsenico, rame, piombo e zinco. Le ricerche legali, in qualunque caso di morte sospetta, dovevano avvenire, per avere risposte certe, prima di qualsiasi forma di sepoltura. Il riconoscimento della cremazione, accompagnata da precise norme, avrebbe favorito la giustizia anziché deviarne il corso, sostenevano a più voci Tolomei, Ellero, Bombicci e Pessina. In occasione di un congresso medico svoltosi a Ginevra nel 1882 il De Cristoforis disse che la migliore garanzia medico-legale stava nell’eseguire una seria visita nella costatazione di morte e in una diretta responsabilizzazione del medico nella firma dell’atto di morte.
Così le tracce di violenza, le ferite, le ustioni ed altri mezzi usati per dare la morte, non potranno al certo sfuggire ad una visita coscienziosa di un medico responsabile di un atto di morte; e naturalmente quando un individuo fosse morto senza assistenza medica, l’autopsia dovrebbe imporsi. E la cremazione, rendendo necessaria l’autopsia nei casi in cui la causa della morte fosse incerta, sospetta, repentina e violenta, anziché ostacolare le indagini della giustizia tendeva a promuoverla con sollecitudine. La medicina legale può quindi senz’altro approvare la cremazione perché questa prende nell’incenerimento dei cadaveri tali e tante precauzioni, che qualsiasi obiezione si possa accampare, rimane perfettamente nulla. La legge sanitaria e il regolamento mortuario del 1892 sulla esecuzione delle cremazioni tolsero gli ultimi dubbi sul fatto che queste fossero di ostacolo ad un corretto lavoro della giustizia. Il legislatore infatti pretese per la cremazione una dichiarazione del medico curante e non semplicemente del medico necroscopo, come avveniva normalmente. “Si comprende – scriveva a tal proposito il Pagliani – che ogni volta che il medico ha visitato il deceduto nella sua ultima malattia, ha dei dubbi non farà la dichiarazione”; le maggiori responsabilità attribuite al medico secondo precise norme di legge rendevano la cremazione assai più “legale” che non l’inumazione. Il regolamento del 1892 era un momento successivo alle norme introdotte da Crispi sulla tutela dell’igiene e della sanità pubblica del luglio 1888, dove espressamente si legalizzava la cremazione. L’art. 59 della legge crispina prescriveva che La cremazione dei cadaveri deve essere fatta in crematoi approvati dal medico provinciale. I comuni dovranno sempre concedere gratuitamente l’area necessaria nei cimiteri per la costruzione dei crematoi. Le urne cinerarie contenenti i residui della completa cremazione possono essere collocate nei cimiteri, o in cappelle o templi appartenenti ad Enti morali riconosciuti dallo Stato, o in colombari privati aventi destinazione stabile e in modo da essere assicurate da ogni profanazione. Queste disposizioni finirono per dare pratico sviluppo e giusta posizione fra le istituzioni civili alla cremazione dei cadaveri a cui progressivamente non si opponevano più le barriere giuridiche e sempre meno quelle legali e scientifiche. Restavano da combattere le obiezioni religiose. Anche se il primo nell’Italia moderna a riproporre il tema della cremazione era stato l’abate Scipione Piattoli, professore di storia ecclesiastica all’Università di Modena, e anche se altri religiosi se ne erano dichiarati aperti sostenitori in nome dell’igiene e della scienza, proprio dalla Chiesa vennero le più serie opposizioni. In primo luogo si contestavano le motivazioni igieniche, affermando che non la distruzione dei cimiteri, bensì un codice sanitario rigorosamente scientifico avrebbe apportato notevoli benefici alla salute dei cittadini. L’inumazione poi, si aggiungeva, era connaturata al concetto religioso della morte e del rispetto del corpo umano, solamente i popoli antichi avevano usato il rito del “rogo” nelle loro più ataviche e primitive esperienze di vita, per poi abbandonarlo man mano che si incamminavano sulla via del progresso intellettuale e civile. Il cristianesimo poi Diede all’uomo una perfetta conoscenza della sua origine, e del suo ultimo fine, insegnò a tutti i seguaci della Croce il rispetto profondo alle salme degli estinti […] e la tumulazione fu sempre nei costumi e nella religione dei popoli cristiani.
Erano dunque diciannove secoli di storia e di tradizioni quelli contro i quali cremazionisti si trovavano a combattere. A ciò si aggiunse la risposta ufficiale della Chiesa a legittimare domande che da più parti le venivano sulla liceità delle società di cremazione e della volontà del singolo a chiedere che il proprio cadavere venisse cremato. Il Santo Uffizio, con un decreto del 19 maggio 1886, approvato e confermato dal pontefice Leone XIII, diede ad entrambe le questioni risposta negativa, sottolineando tra l’altro come, essendo queste associazioni o gli uomini che le promuovevano affiliate alla massoneria, esse incorressero anche nelle pene già stabilite contro queste. Nella condanna della Chiesa entrarono – come da più parti sottolinearono i cremazionisti – non ragioni desunte dal dogma cattolico, ma soli pretesti di opportunità, in primo luogo l’avversione nei confronti di coloro che la sostenevano e, solo secondariamente, il fatto che essa veniva a riformare unna “costumanza” abituale cristiana. Ora – affermava ancora il Pagliani- a parte il primo pretesto non discutibile, è doveroso ricordare […] che non si può neppure asserire che sia stato il seppellimento in modo esclusivo praticato dai cristiani, non essendosi al suo inizio il cristianesimo più schietto mai opposto, avendo anzi usata la incinerazione, come lo provano i resti cinerari delle catacombe. Queste osservazioni non sfuggono al Santo Uffizio che, sei anni dopo il primo decreto, mitigò i suoi giudizi e assunse a suo riguardo una più conciliante posizione. Con le successive disposizioni infatti la Chiesa concesse che si potessero prestare tutte le cerimonie funebri alla salma destinata all’incenerimento sia alla casa del defunto (levata del cadavere) che alla chiesa (messa, assoluzione, ecc.); in tal modo si riconosceva che i fedeli non contravvenivano alla loro professione religiosa preordinando in vita la cremazione dei loro resti mortali o concedendolo per i loro congiunti. Anche il rito ebraico, che agli inizi si era opposto risolutamente alla cremazione, per l’interpretazione intransigente di qualche rabbino, finì per riconoscere la mancanza di qualsiasi fondamento ad una tale opposizione e in una riunione di rabbini, tenutasi a New York nel 1892, fu deciso di autorizzare ai loro correligionari l’uso dell’incenerimento. Tutto ciò servì a smussare i toni di una polemica che spesso si era fatta acre e spiacevole, tanto da fare dire a Paolo Mantegazza: io mi sentivo avvilito come uomo del mio secolo e del mio paese; vedendo come il culto dei morti, come la religione degli estinti, che per molti è al di sopra di ogni culto religioso, fossero ridotti ad una questione di igiene; e come in luogo del più fantastico dei mondi umani, si sostituisse una sorta più o meno ingegnosa, e si comparassero le lire, i soldi e i centesimi che costava un metodo in confronto dell’altro.
Nell’ultimo decennio del XIX secolo, in un clima più disteso, gradatamente come tutte le innovazioni, ma continuamente, la cremazione si diffuse e società e are crematorie sorsero in varie città italiane. Bologna fu tra queste.
Mirtide Gavelli, Fiorenza Tarozzi
Testo tratto da 'LA SOCIETA’ DI CREMAZIONE A BOLOGNA (1884-1914)' ne 'Bollettino del Museo del Risorgimento'. Bologna, anno XXXII-XXXIII, 1987-1988. Trascrizione a cura di Lorena Barchetti.