Schede
La classica sfilata dei carri allegorici, manifestazione centrale nell’ambito delle celebrazioni del Carnevale nei primi anni di vita della Società del Dottor Balanzone, perse presto di importanza e di smalto: «Il corso di gala che ebbe luogo ieri riuscì una cosa indecente. Pochi carri e uno solo che uscisse dal comune: carrozze di privati nessuna, e il resto veicoli indecenti sebbene scarsi. La fila delle carrozze non giunse quindi a formarsi neppure breve, e pertanto tutto lo spettacolo lungo e noioso si ridusse alla moltitudine di popolo che si affollava sulla via in cerca di uno spettacolo che non esisteva. Non parleremo di alcune maschere che non avrebbero dovuto tollerarsi da chi regola le cose» (“Il Monitore”, 26 febbraio 1873).
Nelle strade destinate al corso delle carrozze, gli appartenenti ai ceti superiori si muovevano sempre più spesso a disagio per la crescente presenza di mascherate popolari, appiedate o strepitanti su carri e birocci, e ciò li conduceva a diradare la loro presenza, allontanati da travestimenti e comportamenti triviali, di cui temevano l’irriverenza.
Per cercare di rinnovare i fasti dei primi carnevali, quindi, nel 1876 il corso non venne effettuato e fu sostituito da nuovi divertimenti e spettacoli: una “Cuccagna di Beneficenza” con elargizione pubblica di cibo e vini; una grandiosa festa in piazza Maggiore con lotteria, fuochi d’artificio, concerti tenuti dalla banda municipale e volo finale di una mongolfiera “di forma meravigliosa”; e soprattutto balli, ovunque: nei teatri ma anche nelle piazze. La Società del Dottor Balanzone infatti, offriva svaghi per tutti, seppur in ambiti “distinti”, trasmettendo così immagini di armonia e coesione sociale.
Nello sfavillio rassicurante dei vari teatri bolognesi - Brunetti, Contavalli, Comunale - la partecipazione ai veglioni, evento mondano di successo, era il rituale sociale in cui sembrava consacrarsi il pacifico connubio tra i modelli culturali aristocratici e quelli dei ceti emergenti. In forma velatamente subalterna, le classi medio-borghesi venivano integrate negli spazi di una sociabilità d’élite che cercava di allargare la propria base sociale in modo indolore. Il ceto nobile nella seconda metà del XIX secolo non aveva timore di mescolarsi con la borghesia rampante, disposta a spendere con maggior larghezza nei rituali che la immettevano ai vertici della società mentre la presenza dei nobili dava lustro alle feste come eventi mondani, cosa a cui era ancora convenzione attribuire importanza (M. Fincardi, 1995, pp. 14-15).
Oltre ai veglioni, accessibili unicamente a un pubblico aristocratico-borghese, venivano organizzati anche i balli popolari: tra il 1873 e il 1879 si tennero in piazza della Pace (attualmente piazza Galvani) e successivamente in piazza Otto Agosto, quando lo spazio venne occupato dalla statua di Galvani, opera dello scultore Adalberto Cencetti (F. Cristofori, 1978, p. 201). L’area per l’occasione subiva un’affascinante trasformazione: su un palco «che occupava buona parte della piazza, tutto addobbato a strisce multicolore e illuminato da migliaia di fiammelle a gas, salivano a ballare le maschere ed era quello, per la gente del popolo, il più gradito dei divertimenti! Si accalcavano, si pestavano, si urtavano, ruzzolavano al suono allegro di polke e mazurke» (A. Testoni, 1972, p. 112). Solo alle persone mascherate era concesso di salire sul palco per abbandonarsi alle danze e una giuria premiava quelle più eleganti (A. Cervellati, 1964, p. 304).
In genere avevano luogo nelle serate del sabato e della domenica precedenti il martedì grasso, ma ben presto cominciarono ad essere organizzati anche durante la Quaresima, consuetudine questa favorita dalla progressiva laicizzazione della mentalità e del costume unita probabilmente alla maggiore clemenza della stagione, visto che si tenevano all’aperto. L’impressionante diffusione poi di questi divertimenti e la profanazione del tempo considerato di penitenza divennero oggetto di severissime e insistenti reprimende ecclesiastiche - per lo più inascoltate - il cui veicolo principale di divulgazione era il quotidiano “L’Ancora” che, anno dopo anno, rammentava ai fedeli la necessità «di sfuggire quelle orgie e quei baccanali in cui il mondo corrotto folleggia ed imbestialisce» rimarcando il dovere che ogni cristiano aveva di espiare, per quanto possibile, i tanti insulti che riceveva la religione in modo particolare negli ultimi giorni di Carnevale ed invitando «i cattolici a frequentare quelle pie funzioni destinate precisamente a questo scopo» (“L’Ancora”, 21 febbraio 1873).
Altro avvenimento di gran richiamo era la “Cuccagna di Beneficenza” realizzata nel 1876 nell’allora liceo Galvani (ora sede del Museo Civico); adeguatamente decorato e fornito di una «illuminazione brillantissima» divenne il luogo preferito di ritrovo della borghesia: nel locale, dove facevano bella mostra di sé oltre 30.000 premi - tra cui «una distesa di mortadelle, prosciutti ed ogni altro ben di Dio, esposti ai cupidi sguardi di chi ha appetito» - «la folla era sempre tanta, che per girare là dentro era necessario essere provvisti di gomiti di ferro. […] E così questa Cuccagna di beneficenza ha mostrato di essere un divertimento gradito ai bolognesi» (“L’Ancora”, 19, 20 e 22 febbraio 1876; A. Testoni, 1972, p. 112).
Rossella Ropa
Testo tratto da Cent'anni fa Bologna: angoli e ricordi della città nella raccolta fotografica Belluzzi, Bologna, Costa, 2000.