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Ente autonomo dei consumi

21 Giugno 1914

Schede

Una delle principali realizzazioni della prima amministrazione comunale socialista di Bologna, diretta da Francesco Zanardi, fu l’Ente autonomo dei consumi. Anche se faceva parte del programma elettorale socialista, nacque da un atto di spontanea reazione al vertiginoso aumento dei prezzi, subito dopo lo scoppio della prima guerra mondiale nell’estate 1914. Dopo avere costatato che il calmiere non aveva funzionato, Zanardi decise di aprire un negozio - in un locale comunale sotto il portico del Palazzo del Podestà - dove uscieri del comune cominciarono a vendere uva al prezzo di costo, maggiorata di una modesta cifra per le spese di gestione. Dopo l’uva fu la volta d’altri generi alimentari. Il pane era venduto a 50 centesimi il chilo, contro i 60-80 dei privati; la farina 50 contro 60; il riso 45 contro 55-60; le mele 20 contro 40-50 e così via.

Il sindaco, con l’assenso della giunta, aveva impiegato somme prelevate dalle casse comunali, senza le previste procedure di legge, a cominciare dall’approvazione di una regolare deliberazione da parte del consiglio, il quale era stato tenuto all’oscuro di tutto. Quel che è peggio, Zanardi aveva usato soldi del comune per un’impresa commerciale non prevista tra i compiti istituzionali dell’ente. Non si sapeva neppure quale fosse la natura giuridica del negozio, né chi fosse il proprietario. Ma, dal momento che esisteva - e presto se n’aggiunsero altri, mentre cresceva la varietà merceologica dei prodotti - il problema era quello di dargli una veste legale. Sui “negozi di Zanardi”, come furono subito chiamati, si aprì una polemica senza fine. I commercianti protestarono perché subivano una forte concorrenza. I consiglieri comunali di minoranza, tutti d’estrema destra, prima li osteggiarono, poi sostennero che - essendo stati aperti con soldi del comune - erano di proprietà del comune. Il compito di trovare un’adeguata soluzione giuridica, senza snaturare la funzione dei negozi, fu affidato al vice sindaco Nino Bixio Scota e al prof. Leone Bolaffio, un docente universitario d’orientamento liberale. Nel gennaio 1916, su loro proposta, i rappresentanti d’alcune organizzazioni economiche e sindacali (la Società operaia, l’Associazione artigiani, il Sindacato commessi, il Sindacato impiegati civili e la Federazione del PSI) costituirono l’Associazione dei consumatori alla quale il comune donò i 5 negozi funzionanti.

L’Associazione predispose uno schema di statuto per la gestione dei negozi, ai quali fu dato il nome d’Ente autonomo dei consumi. Quando, il 2.8.1916, lo statuto, approvato dal governo, fu pubblicato sulla “Gazzetta ufficiale del Regno” l’Ente ebbe finalmente i crismi della legalità. Furono così sanate le irregolarità amministrative, mentre le cifre anticipate dalla cassa comunale furono rimborsate. La prefettura e la magistratura non erano intervenute contro il sindaco, perché consapevoli che le irregolarità e i reati commessi erano andati a vantaggio dei consumatori. Le polemiche e le denunce contro l’amministrazione comunale non cessarono dopo la sanatoria giuridico-amministrativa. La Società anonima fra bottegai e fruttivendoli e la Società esercenti forni e pasterie presentarono invano più di un esposto alla magistratura per sollecitare la chiusura dei negozi. Zanardi fu accusato di essere il vero padrone e di intascarne gli utili. Il quotidiano cattolico scrisse che si era «fatto un monumento sulla mollica di pane». I bolognesi lo chiamarono il “sindaco del pane”. Per consentire all’Ente di funzionare adeguatamente, il comune adottò numerosi provvedimenti. Per prima cosa costruì un moderno forno per la confezione del pane. Ha funzionato, in via don Minzoni, sino alla fine degli anni Settanta e oggi lo stabile, chiamato il Forno del pane, ospita la Galleria d’arte moderna. Inoltre, acquistò 2 navi, per il trasporto di grano dall’Argentina e di carbone dalla Gran Bretagna. Grazie ai “negozi di Zanardi”, Bologna non conobbe la fame negli anni della guerra, come molte altre città. Meno che mai conobbe le sommosse contro il caroviveri. Nel dopoguerra l’Ente continuò ad espandersi.

Nel 1920 gestiva 21 negozi di generi alimentari, più alcuni empori per la vendita di scarpe, tessuti ecc. Gestiva anche un ristorante-bar nella Sala Borsa in via Ugo Bassi. Il merito del suo grande sviluppo spetta a Romeo Galli, che lo diresse per molti anni, con Zanardi presidente. All’avvento del fascismo Zanardi e Galli furono cacciati. Ma, nonostante le richieste dei commercianti, i negozi non furono chiusi. Non volendo disperdere un grande patrimonio, per non dire della funzione calmieratrice che esercitava, i fascisti si limitarono a congelare l’Ente, impedendogli di svilupparsi. Nel 1929, quando era sull’orlo del fallimento, l’Ente fu salvato dal podestà Leandro Arpinati. Grazie ad alcuni interventi finanziari riprese ad espandersi, per essere abbandonato a se stesso nel 1933, quando Arpinati cadde in disgrazia e finì al confino. L’Ente fallì nel 1935 e il 14.10.35 dalle sue ceneri sorse la Cooperativa bolognese di consumo, alla quale furono assegnati 18 negozi salvati dal fallimento. Divennero 23 negli anni della seconda guerra mondiale, ma ridiscesero a 17 a seguito delle distruzioni causate dai bombardamenti. Il 30.5.1945 il prefetto, su designazione del CLN, nominò Zanardi commissario della cooperativa. L’ex ente risorse a nuova vita e oggi - con il nome di Coop - è uno dei più importanti complessi del settore. [O]