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San Pietro in Casale (Bo)

1919 | 1943

Insediamento

Schede

La legge elettorale del 1912 allargò il suffragio maschile, che divenne "universale", seppure con qualche passaggio obbligato, e le elezioni politiche dell'ottobre 1913 avevano messo in campo temi forti quali la Guerra di Libia, l'ennesima crisi economica, la forte disoccupazione...

Nel comune di San Pietro in Casale era stato eletto il candidato socialista Genuzio Bentini, e nell'intero territorio provinciale il successo socialista era evidente. Successo che si replicò, ancora più forte, in occasione delle elezioni amministrative tenute il 28 giugno 1914, che portarono alla carica di sindaco esponenti socialisti nella maggioranza dei comuni della provincia, tra cui appunto San Pietro in Casale. Qui venne eletto Ettore Villani, che rapporti di polizia indicavano come artefice e animatore delle organizzazioni operaie del territorio.
Tra i primi atti della nuova Giunta socialista ci fu l'aumento della tassazione su terreni e fabbricati (oltre il 15%) per potere rimpinguare le asfittiche casse comunali e dare l'avvio al programma di assistenza alle fasce più disagiate della popolazione, attraverso opere di assistenza e lavori pubblici.
Lo scoppio della guerra (1914) e la successiva entrata dell'Italia nel conflitto (24 maggio 1915) bloccarono però questo processo virtuoso, poichè i fondi comunali dovettero essere destinati alle famiglie dei richiamati più poveri e alle opere di appoggio al conflitto.
La guerra, che aveva visti coinvolti gli uomini tra i 19 ed i 45 anni, si chiuse per il Comune di San Pietro in Casale con il bilancio di 174 caduti per cause di guerra.
Il dopoguerra si presentò subito complesso: i soldati di provenienza contadina, bene o male, riuscirono a reinserirsi nel loro mondo lavorativo, mentre operai e braccianti subirono sin da subito pesanti penalizzazioni.
Inoltre il clima di entusiasmo seguito alla vittoria ed alla smobilitazione si scontrò ben presto con la crescente disillusione legata a promesse non mantenute in campo economico, ed alle difficoltà dovute alla necessaria riorganizzazione economica seguita alla fine della guerra.
Fenomeni poi di "pescecanismo" (definizione del tempo) legato sia a questioni lavorative che economiche (ad es. tra i commercianti arricchitisi con le forniture di guerra ed ora dediti, per evitare i calmieri imposti dalle amministrazioni, a far "sparire" i prodotti dal mercato, con conseguenti fenomeni di borsa nera...) contribuirono a fomentare il malcontento, che il Partito Socialista, ancora ovunque al governo locale, si trovò a dovere affrontare. Nonostante ciò, i socialisti uscirono vittoriosi anche nelle elezioni del 1919.
In parallelo, le Leghe dei lavoratori della terra si andavano riorganizzando, pur se alcune zone -ad es. il Ducato di Galliera – rimanevano decisamente fuori dal loro controllo.
Nell'inverno 1919-1920 la Federterra, ispirata anche da Giuseppe Massarenti, si proponeva di giungere alla socializzazione delle terre, scontrandosi però con l'ampia diffusione della mezzadria: oltre ai proprietari, infatti, gli stessi mezzadri temevano un forte peggioramento della propria condizione.
Ciò portò a veri e propri scontri nell'estate del 1920, con scioperi e picchetti, protrattisi fino alle elezioni amministrative dell'ottobre.
In quell'occasione, il sindaco Ettore Villani, in carica dal 1914, venne rieletto ad amplissima maggioranza. Purtroppo però all'interno dei consiglieri eletti insieme a lui si manifestarono forti spaccature, che portarono per ben due volte i neoeletti a disertare la convocazione del nuovo Consiglio Comunale, cosa che spinse il Prefetto a prendere un pesante provvedimento: scioglimento del nuovo Consiglio ed invio di un Commissario Prefettizio. Da questo evento il Comune non si riprese più: tale boicottaggio infatti aprì la strada alla penetrazione fascista sul territorio comunale, e in pochi mesi se ne videro gli effetti devastanti. Già nel gennaio del 1921 infatti le prime squadracce fasciste, per l'occasione provenienti da Bologna, iniziarono a percorrere il territorio comunale, dapprima presentandosi in forze per improvvisati comizi, poi via via per occupazioni, scontri, aggressioni.
Ufficialmente, il gagliardetto della neonata sezione del Fascio di combattimento di San Pietro venne inaugurato il 5 giugno 1921. Inizialmente gli aderenti erano 85, tra i 17 e i 31 anni, quasi tutti reduci di guerra e fortemente antisocialisti, che diedero "ottima" prova di sè partecipando, da lì in poi, a spedizioni punitive su tutto il territorio provinciale e oltre (Ravenna, Parma, Ancona...).
Rarissime furono le manifestazioni di difesa agli attacchi fascisti: la loro azione era sicuramente temuta, e soprattutto si temevano le pesanti rappresaglie che sempre seguivano a dimostrazioni di dissenso o di contrasto.
All'inizio del 1922 tutto era compiuto: i mezzadri ancora iscritti alla Lega ricevettero l'escomio, e dopo ciò la maggior parte di essi, per non finire in mezzo ad una strada con l'intera famiglia, aderirono al sindacato autonomo fascista.
L'allontanamento del prefetto Cesare Mori, inviato in Sicilia, fu poi l'atto finale di resa dello Stato difronte al dilagare delle violenze fasciste. Da quel momento, nessuno più si oppose, istituzionalmente, alle loro intemperanze.
Il nuovo Consiglio Comunale uscito dalle elezioni del dicembre 1922 sancì il definitivo successo fascista (la rigida sorveglianza ai seggi messa in atto dalle camicie nere non aveva certo contribuito alla libertà di espressione). Tra i primi atti adottati vi furono la drastica riduzione delle spese destinate ad opere pubbliche o di assistenza, la riduzione dei dipendenti comunali, il taglio dei finanziamenti per l'assistenza sanitaria ai più disagiati, per le case popolari ecc., e parimenti vennero diminuite le imposte su terreni ed immobili (che appunto andavano a finanziare le opere del Comune).
Nel 1923 tutti i contratti di lavoro sottoscritti nel bolognese vennero decurtati di oltre il 10%, e molti proprietari terrieri andarono anche oltre, riducendo autonomamente i salari. Aumentarono poi il costo della vita e la disoccupazione.
Queste scelte e altre ancora portarono, all'interno dello stesso movimento fascista, a scontri tra l'ala "populista" del partito e agrari e proprietari.
Negli anni '30, per ovviare ai sempre più pesanti problemi di disoccupazione, vennero organizzate, tra le altre cose, migrazioni stagionali di massa di lavoratori (ad esempio le mondine verso il Piemonte o braccianti verso la Germania), al fine di alleggerire la domanda di lavoro locale e la possibilità di disordini.
In campo politico, tra gli esponenti locali, sempre più spazio prese Aldo Sacchetti che, sodale di Leandro Arpinati, vide il proprio peso aumentare esponenzialmente per tutto il ventennio.
Sul versante politico opposto, in totale e ovvia segretezza, si andava organizzando il Partito Comunista d'Italia che, a parte qualche sporadica azione dimostrativa, rimase clandestino sino al momento della caduta del fascismo. Tra gli esponenti del vecchio Partito Socialista, almeno una ventina di vecchi aderenti, regolarmente sorvegliati dalle forze di polizia, tennero viva la memoria del 1° maggio (festa abolita nel 1923) festeggiandolo alla periferia del paese per tutto il ventennio.
Dal 1926, anno della riforma amministrativa, venne istituita a sostituzione del Sindaco eletto la figura del Podestà, nominato con decreto reale e subordinato al Prefetto, cosa che segnò la totale scomparsa di ogni autonomia.
Il primo podestà di San Pietro fu Cesare Bonora, nominato appunto nel 1926, che rimase in carica fino al 1940, quando si dimise per motivi di salute.

Bibliografia: Fulvio Simoni, San Pietro in Casale. Un secolo di storia. Le vicende di un paese della pianura bolognese dalla metà dell'Ottocento alla Liberazione, Comune di San Pietro in Casale, 1990