Manichino snodabile

Manichino snodabile

XVIII-XIX sec.

Scheda

Il Vasari indica come inventore del manichino o “fantoccio per lo studio de’ panneggiamenti” il fiorentino Baccio Della Porta, meglio noto come Frà Bartolomeo (1473-1517) il quale, scrive il Vasari: “aveva opinione, quando lavorava, tenere le cose vive innanzi: e per potere ritrar panni e armi e altre simili cose, fece fare un modello di legno grande quanto il vivo che si snodava nelle congiunture, e quello vestiva con panni naturali”. Già qualche decennio prima il Filarete (1400 ca.-1469) nel suo Trattato d’architettura del 1464 consigliava a sua volta il ricorso ai manichini per la rappresentazione del panneggio: “Fa’ d’avere una figuretta di legname che sia disnodata le braccia e le gambe e ancora il collo, e poi fa’ una vesta di panno di lino, e con quello abito che ti piace, come se fussino d’uno vivo, e mettigliele indosso in quello atto che tu vuoi ch’egli sia”.

L’utilizzo nell’arte di manichini snodabili e realizzati generalmente in legno da valenti artisti, rendeva di fatto possibile una “dinamicizzazione” delle figure grazie a giunti a snodo che consentivano di atteggiarli in vario modo, permettendo sia di studiarne il movimento sia di abbigliarli con vesti ora povere ora sontuose, a seconda del personaggio che si voleva rappresentare, per lo studio dei panneggi. Impiegati come modelli per la pittura, il disegno e lo studio delle proporzioni della figura umana, godettero di grande fortuna nei periodi di accademismo e divennero molto comuni negli studi degli artisti soprattutto negli anni del neoclassicismo, parallelamente a un loro già precedente utilizzo in ambito devozionale che vedeva lo loro vestizione in occasione delle diverse festivita liturgiche, secondo una tradizione processionale ancora oggi presente in alcune realtà italiane.

Fino all’inizio del Novecento, dunque, ogni pittore aveva nel suo studio almeno un manichino articolabile in legno e proprio un manichino “da pittore”, con la sua caratteristica testa a uovo che permetteva di ritrarre verosimilmente volti femminili o maschili in base alla tipologia di parrucca utilizzata, fu acquistato da un non meglio definito Sig. Giuseppe Bisteghi per conto degli Amministratori del Collegio Venturoli il 13 gennaio del 1831. L’acquisto, come si evince da una nota dell’Economo relativamente agli anni 1831-1835 e oggi conservata presso il Collegio stesso, interessò l’intero Studio Pittorico del defunto Sig. Franco Giusti, composto perlopiù da statue e gessi in quegli anni detenuti dal figlio Carlo nella sua abitazione. Ad esse si aggiunse anche il cosiddetto “Meneghino più grande” in possesso del fratello Ferdinando, informazione che peraltro ci permette di ipotizzare la presenza di almeno due manichini tra le proprietà della famiglia Giusti. La vendita comportò una spesa complessiva di Bajocchi 100 alla quale si sommarono altri Bajocchi 45,5 per le successive spese di trasporto, restauro, collocamento, classificazione ed inventario di quanto fu oggetto dell’acquisizione. Precisamente, il trasferimento e il collocamento del manichino nella nuova sede richiese una spesa di Baj 20.

Così, a distanza di pochi anni dalla sua istituzione, entrava in possesso del Collegio il Meneghino in esposizione, in alcuni casi citato nei documenti amministrativi come Manichino, Automa o Manneken, caratterizzato da una evidente delicatezza del volto e poggiante su una base quadrata anch’essa lignea. L’assenza di segni identificativi e di annotazioni specifiche presenti nell’archivio del Collegio, non hanno permesso l’identificazione dell’autore o la determinazione dell’esatto periodo di realizzazione. Inoltre, l’attuale collocazione presso la Sala dei Marmi del Collegio, non corrisponderebbe a quella originaria vista la mancanza di riferimenti al manichino stesso nell’Inventario del Gabinetto Scientifico che fu redatto dal Rettore Augusto Romagnoli negli anni del suo mandato (1872-1903). Ciò nonostante, il suo utilizzo per scopi didattici è confermato da una nota del Professore Giacomo De Maria riscontrabile nel Verbale Amministrativo del 9 aprile 1831, ovvero pochi mesi dopo il suo ingresso in Collegio. In essa, infatti, si attesta la volontà dell’allora Professore di Scultura di “provvedere ai drappi occorrenti per vestire il manichino”, cui seguì un rimborso allo stesso De Maria per l’acquisto del “vestiario fatto all’Automa” il 12 maggio 1831. Parallelamente, sono state individuate nel faldone relativo al V° Alunnato due annotazioni distinte riconducibili ai Pittori Raffaele Faccioli e Luigi Serra, entrambi allievi del Collegio negli anni 1858-1866. Specificatamente, sappiamo che il primo noleggiò nel 1864 un costume con l’intento forse di vestire il manichino stesso, mentre il secondo annotò al 31 marzo dello stesso anno le spese fatte per il “costume del suo quadretto”.

Entrambe le registrazioni, dunque, mostrerebbero ulteriormente quanto fosse diffuso l’utilizzo didattico dell’automa all’interno del Collegio Venturoli anche negli anni successivi al suo acquisto.

Manuela Lamborghini

Testo tratto dal catalogo della mostra "Angelo Venturoli - Una eredità lunga 190 anni", Medicina 19 aprile - 14 giugno 2015.

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Angelo Venturoli - Una Eredità Lunga 190 Anni
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Video dedicato alla mostra "Angelo Venturoli - Una Eredità Lunga 190 Anni", 19 aprile - 14 giugno 2015 | Comune di Medicina, Palazzo della Comunità, Museo Civico.

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Documenti
Esplorando l’archivio del Collegio Venturoli
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Di Francesca Serra. Testo tratto dal catalogo della mostra "Angelo Venturoli - Una eredità lunga 190 anni" Medicina, 19 aprile - 14 giugno 2015. Copyright © Fondazione Collegio Artistico Venturoli.

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