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Iscrizioni della Chiesa di San Mamante di Medicina

1735 | 1947

Schede

Iscrizioni esterne

1) sulla facciata, nel fregio del timpano, è inciso a grandi lettere a malapena leggibili, il titolo della Chiesa: DD(ivis) MAMANTI ATQ(ue) LUCIÆ MM(artyribus). Ai santi Mamante e Lucia martiri
L’iscrizione fu apposta nel 1735. Per interessamento della Comunità, che voleva trasformare la Chiesa parrocchiale in un vero e proprio “tempio civico”, al nome dello storico patrono della Parrocchia (San Mamante), fu aggiunto quello di Santa Lucia, patrona della Comunità (e anche della Partecipanza di Villa Fontana). La prima traccia scritta dell’intitolazione della Pieve di Medicina a San Mamante risale al processo verbale della visita pastorale del 1573. San Mamante, taumaturgo e martire cristiano d’Oriente, nacque da Rufino e Teodota ma, rimasto presto orfano, fu allevato dalla nutrice Ammia. Crebbe facendo il pastore e, confermandosi seguace di Cristo, operò numerose guarigioni miracolose. Nell’iconografia popolare (e anche nella pala dell’altare maggiore della Parrocchiale) viene rappresentato come un giovanissimo pastore ma non si sa quale età avesse quando fu ucciso nel 275 dai soldati dell’imperatore Aureliano con un colpo di lancia al ventre. Fu presto venerato come patrono delle partorienti e, per estensione, di coloro che soffrono di dolori al ventre. Il Martirologio Romano indica come suo dies natalis (che è il giorno della “vera” nascita ossia della morte) il 17 agosto. Il martirio, storicamente documentato perché ricordato anche da S. Basilio e S. Gregorio Nazianzeno che vissero poco dopo di lui, avvenne a Cesarea in Cappadocia (oggi Kayseri in Turchia) dove restano i ruderi di una basilica a lui dedicata. Secondo un’antica tradizione la devozione medicinese a San Mamante sarebbe nata perchè, in epoca imprecisata, dopo l’invocazione al santo il territorio medicinese rimase miracolosamente indenne da una tremenda morìa di bestiame. San Mamante è venerato anche con il nome latinizzato di Mamus o Mama (dal greco Mamas), a volte nella variante al diminutivo Mamulus da cui Mammolo o Mamolo e il suo culto si diffuse, quasi certamente ad opera dei Bizantini, in Emilia Romagna, nel Veneto, in Toscana e a Roma ma anche in Spagna, in Portogallo e in Francia dove, a Langres (Alta Marna), è venerata la reliquia del suo capo. La reliquia di San Mamante, esposta ogni anno a Medicina in occasione della festività patronale, fu donata nel 1698 al parroco pro tempore di Medicina Don Giovanni Ghelli, dal curato di San Martino (Bologna) Don Rodolfo Caprara. A S. Mamante, patrono di numerose parrocchie in tutta Italia, era dedicata, a Bologna, la chiesa parrocchiale che si trovava nella zona di Via Solferino - Via Tovaglie di fronte al Collegio S. Luigi, poi distrutta durante la soppressione napoleonica. Il suo culto passò alla vicina parrocchia che ancora oggi si chiama dei SS. Francesco Saverio e Mamolo. Traccia del suo nome rimase anche alla Porta S. Mamolo sui viali di Circonvallazione e alla Via S. Mamolo che in origine comprendeva anche l’attuale via D’Azeglio. Secondo un’antica e radicata tradizione la devozione a Santa Lucia sarebbe sorta in Medicina a ricordo e in ringraziamento della liberazione del paese dalla soggezione a Bologna (1155) la cui notizia sarebbe stata resa nota ai medicinesi proprio il giorno 13 dicembre. Peraltro fin dal XII secolo alla Santa, venerata come patrona della Comunità, era dedicata una cappella (prima laterale poi quella maggiore) il cui giuspatronato, con successivi passaggi, pervenne nel 1608 alla Comunità di Medicina. La piccola reliquia esposta ogni anno a Medicina il 13 dicembre proviene da Venezia dove con modalità poco chiare fu acquisita, nella prima metà del XVIII secolo, per iniziativa della Comunità di Medicina che per l’occasione fece preparare, un ricco reliquiario d’argento sbalzato e inciso recante alla base un grande stemma comunale. A proposito della travagliata questione del compatronato di Santa Lucia, è interessante rilevare che il reliquiario è lo stesso utilizzato anche per l’annuale esposizione della reliquia di San Mamante.

2) Sulla facciata, a sinistra della porta principale. A [chrismon] o/ ALOISIO CAMILLI F(ilius) BERTVCCINIO/ BONONIENSI/ COOPTATO IN/ COLL(egio) THEOLOGORVM/ QVI ECCLESIAE HVIC ANN (os) XVI/ INTEGRE/ SANCTEQUE PRAEFVIT/ DOCTRINA CONSTANTIA STVDIO RELIGIONIS/ INCLARVIT/ AERVMNAS GRAVISSIMAS FORTITER SVSTINVIT/ APOPLEXI CORREPTVS/ IN/ MISERRIMO CORPORIS STATV ANNOS III/ HILAREM ANIMVM PRAE SE TVLIT/ VIXIT A(nnos) LI M(enses) VI D(ies) II/ DECESSIT IN PACE (ante diem) XV K(alendas) APR(ilis) A(nno)/ MDCCCVIII/ IOSEPHVS GARDIVS SAC(erdos)/ MAGISTRO ET AMICO F(aciundum) C(uravit)

Giuseppe Gardi, sacerdote, fece fare [questa memoria] al maestro e amico Luigi Bertuccini, figlio di Camillo, bolognese, cooptato nel Collegio dei Teologi, che resse questa Chiesa per sedici anni in modo irreprensibile e santamente; si distinse per dottrina, coerenza e amore della religione; affrontò coraggiosamente gravissime tribolazioni; ridotto da apoplessia in condizioni fisiche veramente infelici per tre anni si mostrò d’animo lieto; visse cinquantun anni, sei mesi, due giorni; morì in pace il 18 marzo 1808.

L’iscrizione è preceduta dal chrismon inserito tra le due lettere greche Alfa e Omega che indicano il principio e la fine. Spesso le lettere greche X (chi) e P (ro) sovrapposte vengono lette PAX (pace) mentre invece sono l’abbreviazione del nome di Cristo in lettere greche. La lapide è stata posta dal sac. Giuseppe Gardi in memoria di Don Luigi Bertuccini nato a Bologna il 17 settembre 1756, dottore in Sacra Teologia, nominato nel 1792 Arciprete Parroco di Medicina e Vicario Foraneo. La sua intransigenza fu motivo prima di contrasti con i parrocchiani e con il Comune poi, con l’invasione francese (1796), dell’accusa di essere reazionario e nemico della Repubblica Cisalpina. Dal gennaio 1798 al 5 luglio 1799 fu carcerato nella Fortezza di Mantova. In occasione del suo ritorno alla Parrocchia, la popolazione, ormai dimentica dei precedenti dissapori, lo accolse con grandi feste e con la eccezionale e spontanea illuminazione di tutto il paese. Colpito da apoplessia nel 1803 sopravvisse con grandi stenti fino al 1808. Nel piccolo giardino di fronte alla Chiesa del S. Sepolcro del Complesso Stefaniano di Bologna, è conservato un sarcofago di epoca tardoantica adibito, nel XVII secolo, dal notaio Camillo Bertuccini a sepoltura della propria famiglia nella quale si annovera un Camillo, medico, operante a Bologna nella prima metà del sec. XVIII, che potrebbe essere padre o parente del Don Luigi dell’iscrizione medicinese. Sul sac. Giuseppe Gardi, che si dichiara amico e discepolo del Bertuccini, le fonti locali tacciono. Il cognome comunque è diffuso in tutto il territorio medicinese a partire dal sec. XVI.

3) Sulla fiancata sinistra della Chiesa, prima del cancello.
A [chrismon] o MAGDALENAE LAVR(entii) F(iliae) RVSCONIAE/ UXORI PETRI MODONI/ FEMINAE IN EGENTIB(us) SVBLEVANDIS/ IN AEGROTATIONIB(us)/ PERFERENDIS/ LAVDATISSIMI EXEMPLI/ VIXIT A(nnos) LI/ OBIIT (ante diem)/ XVI K(alendas) DECEMBR(is) A(nno) MDCCCX/ MARITVS MOESTISSIMVS P(osuit)

Il marito addoloratissimo pose [questa lapide in memoria di] Maddalena Rusconi, figlia di Lorenzo, moglie di Pietro Mòdoni, donna di lodatissimo esempio nel soccorrere i bisognosi e nel sopportare le infermità; visse 51 anni, morì il 16 novembre 1810.

L’iscrizione è preceduta dal chrismon (v. precedente iscrizione n. 2). La lapide è stata posta in memoria della moglie Maddalena Rusconi dal Cap. Pietro Mòdoni, appartenente ad una antica e influente famiglia medicinese, citato, in qualità di padre di un Antonio (1795-1818) nel monumento funebre di famiglia nel Cimitero di Medicina. In corrispondenza della lapide, all’interno della Chiesa, si trova la Cappella (terza a sinistra) di S. Lorenzo e S. Alò. La pala d’altare Il Redentore in gloria con i Santi Lorenzo, Antonio di Padova, Ignazio e Alò (1776), fu commissionata al pittore Ubaldo Gandolfi (1728-1781) dalla famiglia Rusconi il cui stemma è raffigurato ai piedi di S. Lorenzo. Sulla parete destra della stessa Cappella si trova il monumento funebre della famiglia Fabri strettamente imparentata con i Rusconi.

4) Vicino alla porta laterale della fiancata destra, sulla parete esterna della Cappella del Rosario.
BARBARAMENTE TORTURATO/ E PUR STOICAMENTE MUTO/ SUL NOME DEI COMPAGNI/ LICURGO FAVA/ COMBATTENTE PER LA LIBERTÀ/ IL 30 SETTEMBRE 1944/ VENNE QUI FUCILATO/ DAI TRADITORI DELLA PATRIA/ I COMPAGNI DI LOTTA/ A RICORDO GLORIOSO/ E A MONITO PERENNE/ PER GLI IMMEMORI E VILI/ IL 10 SETTEMBRE 1947/ QUESTA LAPIDE POSERO

L’iscrizione segna il luogo preciso dove fu fucilato l’eroe purissimo della Resistenza Licurgo Angelo Fava (n. 1906), Medaglia d’oro al Valor Militare alla Memoria. La motivazione completa dell’onorificenza, concessa con Decreto del Presidente della Repubblica in data 10 maggio 1962, è riportata per intero in una grande epigrafe apposta il 25 aprile 1965 nella loggia interna del Palazzo Comunale dove però la data della fucilazione è indicata erroneamente (29 settembre 1944 anziché 30). Fava, detto Favalén, era affittuario di un fondo colonico di proprietà dell’Ente Comunale di Assistenza di Medicina situato tra Ganzanigo e Via Nuova. Il 26 settembre 1944 la Feldgendarmerie tedesca forse in seguito all’insurrezione medicinese del precedente 10 settembre o forse per “bonificare” il territorio in previsione dell’insediamento di un comando della Wehrmacht, dopo aver accerchiato la zona eseguì un rastrellamento cui seguì l’accurata perquisizione degli edifici rurali e il fermo degli uomini. Nella casa dove abitava Fava con la famiglia venne trovata, scandagliando il fienile, una cassa contenente armi e munizioni, ritenute provenienti dal saccheggio della caserma della Guardia Nazionale Repubblicana effettuato durante l’insurrezione del 10 settembre. Fava fu arrestato e tradotto a Medicina nella sede della Feldgendarmerie (Casa Viaggi) adiacente la stazione ferroviaria dove fu per giorni barbaramente e orribilmente torturato al fine di fargli rivelare nomi e luoghi di ritrovo dei compagni di lotta. Le disumane sevizie alternate alle promesse di aver salva la vita non riuscirono a piegare lo spirito invincibile dell’eroe che “stoicamente” non parlò. Sotto gli occhi inorriditi della popolazione costretta ad assistere con la forza delle armi, la mattina del 30 settembre Licurgo Angelo Fava, munito dei conforti religiosi, affrontò impavido la fucilazione eseguita dal plotone d’esecuzione costituito dai brigatisti neri della famigerata Compagnia speciale Tartarotti proveniente da Bologna.

Testo tratto da "Brodo di serpe - Miscellanea di cose medicinesi", Associazione Pro Loco Medicina, n. 10, dicembre 2012.