Due frati, studio da Filippo Lippi

Due frati, studio da Filippo Lippi

1868

Scheda

I due lavori in esame prendono spunto da un dettaglio dell’Incoronazione della Vergine di Filippo Lippi, detta anche Incoronazione Maringhi perché riconducibile alla commissione del canonico Francesco Maringhi, il quale aveva destinato per via testamentaria la somma necessaria alla realizzazione di una pala per l’altare maggiore di Sant’Ambrogio a Firenze.

Oggi, come allora, è conservata alla Galleria degli Uffizi dove Serra l’ammirò e ne trasse queste copie come saggi da presentare alla fine del secondo anno della pensione Angiolini. La commissione giudica positivamente i lavori di Serra, “tanto nella scelta degli originali quanto nell’invenzione” e vi “riscontra maggior [rispetto a Raffaele Faccioli, ndr] fermezza nella forma, nel colore, un’imitazione lodevolissima degli originali”. In effetti, osservando il disegno ad esempio, ci sembra evidente la sicurezza, la fermezza di mano, il tratto sicuro e continuo che traduce senza incertezze ciò che l’occhio ha studiato a lungo e l’artista copia senza difficoltà. Il tratto è quello che contraddistingue uno dei disegnatori piu prolifici del nostro Ottocento, l’artista che in ogni momento della sua vita ha il taccuino in mano per appuntarsi qualsiasi evento e trarne spunti, schizzi vivaci a fermare l’immagine con la matita. Ma per comprendere appieno la scelta del modello è interessante leggere alcuni passi della relazione dell’artista, inviata il 19 ottobre 1868 da Firenze agli amministratori del Collegio Venturoli come compendio del biennio dell’alunnato, dal titolo “Abbozzi Di pensieri Estetici sull’Arte”:

“Chi ha percorso le sale della Galleria delle Statue, comunemente detta degli Uffizi, si ricorderà come nel primo braccio di essa vi sia la storia dei primordi dell’arte, e una sala appositamente pel Botticelli e Pollaiolo. Quelle opere nel mio modo di vedere, formano una delle più grandi individualità di Firenze e del mondo. Sono lavori che non attirano molto lo sguardo del semplice riguardante, ma sono poemi di erudizione per chi li contempla con cognizione. Se l’arte avesse progredito come in quei primi tempi, ora si sarebbe a una meta assai meno imperfetta. In quelle tavole vi sono principi tanto giusti tanto belli, da rimanere estatici nel rimirarli. Buffalmacco tracciò la prima linea, il Gaddi Cimabue Giotto l’allargarono; Frate Angelico l’idealizzò. Il Botticelli, Pollaiolo, Verocchio [sic], Masaccio, Andrea del Castagno, Ghirlandaio, il Credi, il Lippi, la resero sublime.

Serra individua in queste opere antiche ciò che lui definisce la “linea dominante”, cioè la fede religiosa, che a suo parere i pittori “sentivano profondamente nel cuore, e trasmettevano con tanta purezza, da fare dimenticare sempre la materia, cosa che nell’avvicinarsi dei secoli si va perdendo, e a poco a poco la materia trionfa sul sentimento”. In questa lettura la ‘maniera’ è apprezzabile ma criticata, così “Michelangelo e tutti gli artisti dippoi, con una potenza vastissima di intelligenza rappresentarono la natura, ma le loro Madonne, le nudità sui sepolcreti cristiani, lungi dall’idealizzarsi, lasciando a parte la maestria dell’esecuzione, quali sentimenti ispirano? Esclamerete, che bella gente! Ma non dite come davanti all’Angelico, che buona gente! E questo prova la decadenza del sentimento sulla forma, e il trionfo della forma sull’ideale. E se levate all’arte l’ideale, trasmissione sola che sulla creta o tela fa il genio, che resta l’arte? Un esecuzione sarà perfetta si [sic], ma in allora, nella nostra epoca, non solamente saranno artisti i pittori ma ancor i fotografi. L’arte ha una missione più seria, più ardua e più nobile, e questo era il concetto a cui erano educati gli animi di Ghiberti, Donatello, Giotto, Botticelli, il Lippi, e via via tutti i sommi di quell’epoca.

Trovo significativa questa testimonianza di un pensiero diffuso all’epoca in cui vi era ancora una netta distinzione tra l’opera d’arte e la fotografia, sfruttata dagli artisti solo perché funzionale allo studio delle composizioni. Ma lo scritto è interessante anche perché vi appare evidente la considerazione e l’ammirazione che Serra matura per l’arte del Quattrocento, fascino che mai lo abbandonerà e che rimarrà vitale anche quando appronterà le commissioni più importanti della sua vita in piena maturità, quali L’ingresso delle truppe austriache in Praga dopo la vittoria della Montagna Bianca, opera compiuta nel 1880 e commissionata dal principe Alessandro di Torlonia per il catino absidale di Santa Maria della Vittoria a Roma, o L’apparizione della Vergine ai santi Francesco e Bonaventura del 1882, destinata alla chiesa della Madonna del Cestello di Assisi, ma rifiutata dopo poco tempo dai frati e acquistata da Enrico Guizzardi, stimatore e amico del pittore, per giungere infine alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.

Tornando alla relazione del pittore si legge ancora: “L’arte non consiste solamente nel saper modellare bene una gamba e un braccio, ma bensì nel creare e rendere un idea [sic], nel rendersi utile e istruire” e nel riconoscimento di questa responsabilità alla quale Serra si sentirà sempre di rispondere è legata tutta la frustrazione che nella vita il pittore accumulerà, stretto dalle necessità economiche, mai ammiccante alle esigenze del mercato, sempre spinto dall’impegno per il mestiere e dagli ideali suddetti. In un periodo di sostanziale stallo della pittura monumentale e di penuria di commissioni pubbliche, questo principio gli sarà nefasto, in quanto la fortuna accompagnerà i pittori concentrati sull’esibizione di capacità tecniche e di facili sentimentalismi.

Serra terminerà gli ultimi due anni del pensionato a Roma dove dipinge Annibale Bentivoglio prigioniero nel Castello di Varano concerta la fuga con certo Zanese Parolaio, prova finale dell’alunnato (Bologna, Fondazione Collegio Artistico Ven turoli). Fin da questo dipinto, è palese l’attenzione del Serra non al solo reale, e quindi alla ricostruzione verista della scena, ma allo studio della resa psicologica dei personaggi per la quale tutta l’ambientazione e la scelta luministica fa da perfetta e calibrata scenografia.

Alla ricerca di continue possibilità di studio, nel dicembre 1874 vince la Pensione governativa all’Accademia di Bologna con il piccolo dipinto Michelangelo al capezzale di Urbino (Bologna, Pinacoteca Nazionale) e, dopo aver terminato il sipario del teatro Gentile di Fabriano con L’Allegoria delle Arti, studia a Venezia dove risiede tra il 1876 e il 1877. Nella città lagunare rischiara la sua tavolozza e dà avvio alla produzione delle opere con soggetti presi dal quotidiano, dove il dipinto è spesso al limite della denuncia sociale senza mai cadere nel patetismo, anzi, specchio di una condizione umana povera ma fiera, come Al Monte di Pietà, presentato nel 1878 quale saggio finale della pensione (Roma, Galleria nazionale d’Arte Moderna), e I coronari sul sagrato della chiesa di San Carlo ai Catinari del 1885 (Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti), occasioni in cui Serra mostra appieno tutte le sue peculiarità tecniche: gamma cromatica scarna, disegno incisivo e l’approccio al vero con precisa attenzione più all’aspetto morale che formale.

Dal 1878 si stabilisce a Roma, scelta che denota una certa insofferenza all’ambiente bolognese, dove cercherà di affermarsi patendo spesso amare delusioni, come in occasione del concorso per le decorazioni della Sala Gialla del Senato nel 1881, quando il suo progetto verrà scartato a favore di Cesare Maccari.

Il suo legame col Collegio Venturoli rimarrà sempre vivo e spesso sarà chiamato a giudice per gli esami dei concorsi e le prove d’ingresso dei nuovi alunni. A Bologna la sua opera più conosciuta è l’Irnerio che glossa le antiche leggi del 1886, commissionata dalla Provincia di Bologna per la sala del Consiglio di Palazzo d’Accursio e che gli valse la fama in occasione delle celebrazioni per l’ottavo centenario dell’Università nel 1888, anno della sua morte prematura. Muore mentre progetta il dipinto San Giovanni Nepomuceno destinato all’altare della Cappella Torlonia in San Giovanni in Laterano, di cui un bozzetto è conservato alla Pinacoteca Nazionale di Bologna. Lascia nella sua città il ricordo caloroso dei colleghi e amici, e la sua arte, aprendo la strada di una nuova stagione che dal fascino della pittura preraffaellita sfocia nel più moderno simbolismo, e nello stile floreale dagli esiti originali tipici della fine del secolo della pittura e scultura bolognese.

Barbara Secci

Testo tratto dal catalogo della mostra "Angelo Venturoli - Una eredità lunga 190 anni", Medicina 19 aprile - 14 giugno 2015.

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Angelo Venturoli - Una Eredità Lunga 190 Anni
Angelo Venturoli - Una Eredità Lunga 190 Anni

Video dedicato alla mostra "Angelo Venturoli - Una Eredità Lunga 190 Anni", 19 aprile - 14 giugno 2015 | Comune di Medicina, Palazzo della Comunità, Museo Civico.

Angelo Venturoli - Una Eredità Lunga 190 Anni
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Video dedicato alla mostra "Angelo Venturoli - Una Eredità Lunga 190 Anni", 19 aprile - 14 giugno 2015 | Comune di Medicina, Palazzo della Comunità, Museo Civico.

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Di Francesca Serra. Testo tratto dal catalogo della mostra "Angelo Venturoli - Una eredità lunga 190 anni" Medicina, 19 aprile - 14 giugno 2015. Copyright © Fondazione Collegio Artistico Venturoli.

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