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Danze e balli popolari bolognesi

1796 | 1894

Schede

Il dominio dello stato pontificio dura ininterrottamente per quasi tre secoli, dalla cacciata dei Bentivoglio del 1506 all'onda Napoleonica che sconvolge l'Europa e che nel 1796 occupa Bologna. Gli anni che seguono sono di grande instabilità: prima la formazione della Repubblica Cispadana, poi l'adesione alla Repubblica Cisalpina, poi, dopo la sconfitta di Napoleone, il congresso di Vienna del 1815 e la Restaurazione con la restituzione di Bologna ad uno Stato Pontificio ricostituito, ma debole, che richiede la presenza austriaca per garantirne il potere. Il vento rivoluzionario del 1848 scuote anche Bologna che l'8 agosto insorge contro gli austriaci, temporanamente scacciati a nord del Po (i rivoluzionari Ugo Bassi e Giovanni Livraghi verranno fucilati dagli austriaci a Bologna nel 1849). Poi finalmente nel 1859 l'annessione al Piemonte, primo passo verso l'Italia unita, che nasce nel 1861. Il ballo, non più oppresso e regolato dai bandi pontifici, torna ad essere un fenomeno spontaneo popolare. Il valzer è già noto, reso popolare dalle armate francesi durante il periodo napoleonico. Dall'Europa centrale arrivano altri balli di coppia chiusa (valzer, mazurka e polka), che però non intaccano l'uso nelle campagne bolognesi dei balli popolari staccati (i bàl stàcc dell'Appennino, balli che in pianura ed in città erano meglio noti come bâll dspécc) derivati dalle alte danze (stàcc e dspécc sono riferiti ai passi saltati o staccati dal suolo tipici di questi balli).

L'ultima parte del secolo è estremamente dinamica e complessa. Siamo in epoca di grande trasformazione sociale: una parte della popolazione lascia le valli dell'Appennino e le campagne per insediarsi nella città, dove la nascente industria offre opportunità di lavoro. Le culture del ballo e della musica si mescolano. Nei locali (spesso nati negli ambienti di socializzazione del lavoro: i "dopolavoro") si alternano valzer, mazurke e polke, con i balli staccati dell'Appennino (un po' come avviene oggi nelle sale, in cui il ballo di coppia viene alternato ai balli di gruppo, nei quali però non esiste alcunchè dei significati e delle simbologie degli antichi balli staccati). Gli strumenti usati in passato per i balli staccati (mandolini e violini, poi progressivamente sostituiti da organetti e fisarmoniche, chitarre e contrabbassi), vengono ora usati per suonare valzer, mazurke e polke. Questo è l'ambiente fertile in cui si svilupperà la Filuzzi bolognese, che trasformerà le musiche provenienti dal Centro Europa, fondendole con le sonorità degli strumenti dei suonatori e con la necessità di divertimento di lavoratori per i quali le sale dei dopolavoro sono l'unica possibilità di socializzazione e svago. Tornando invece ai balli staccati, questi, che vengono eseguiti da due o più ballerini, sono divisi in due parti: al bâl, il ballo propriamente detto, e al spassagg, lo spasso, una specie di riposo tra una strofa musicale e l'altra in cui i ballerini si muovo intorno con passo cadenzato. Il trescone e la manfrina (da monferrina) sono tipici balli popolari campagnoli.

Un importante libro di Gaspare Ungarelli - Le vecchie danze italiane ancora in uso nella provincia bolognese - documenta i balli popolari in uso alla fine del XIX secolo (il libro è del 1894 e dedicato a Giuseppe Pitrè). In tale libro sono allegati 32 spartiti musicali, riportando le musiche di alcuni dei balli popolari. Questo libro fu scritto alla fine del XIX° secolo, quando valzer, mazurke e polke si stavano affermando in Italia ed in Emilia in particolare. Ripercorre le tappe del ballo dalle antiche origini pagane (i baccanali) e cristiane (i balli che i primi sacerdoti eseguivano all'interno delle chiese), e le successive evoluzioni con la laicizzazione del rinascimento e la distinzione tra alte danze e basse danze. In particolare vengono ricordate le danze a Bologna e contado nel XVII° secolo e quelle ancora in uso al momento in cui l'Ungarelli scrisse il libro. Vengono descritti i balli staccati dell'appennino (i Bâll c'pecc, come scriveva l'Ungarelli, o bâll dspécc, come scriveremmo oggi), in contrapposizione ai balli di coppia chiusa allora emergenti. I nomi delle danze sono riportati in idioma bolognese (l'Ungarelli fu anche autore di un importante Vocabolario del Dialetto Bolognese, edito nel 1901) e di una parte di essi (3 danze del sec. XVII° e 32 danze in voga nell'ottocento) viene riportata la partitura musicale. Ritroviamo quindi le manfrine, i tresconi, i saltarelli, le gighe con una sommaria descrizione delle coreografie.

Carlo Pelagalli