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Cesare Bianchetti dopo la rivoluzione del 1831

1831 | 1847

Schede

Notizie sulla figura e sull'azione del conte Cesare Bianchetti si possono trovare in un opuscolo necrologico, in una breve biografia di Fulvio Cantoni, in uno studio di Giovanni Maioli e in pubblicazioni diverse relative agli anni 1831 e 1848 durante i quali il Bianchetti ricoprì importanti uffici nella vita pubblica bolognese. Senonché il lettore dell'ode carducciana Nel vigesimo anniversario dell'VIII agosto MDCCCXLVIII. incontrandosi nei versi: ed un umile dolor prostrò per l'alte case il gramo cuor de' magnati, e sapendo che il conte Bianchetti era in quei giorni il prolegato di Bologna, potrebbe comprendere fra i magnati «dal gramo cuor» anche lui. E poiché il giudizio di un poeta penetra più profondamente nella coscienza delle generazioni di quello lento, prudente e anche circoscritto dello storico, così al conte Cesare Bianchetti potrebbe restare come un marchio il severo aggettivo di Giosue Carducci. Cesare Bianchetti nacque a Bologna dal conte Pietro e dalla marchesa Aurelia Monti Bendini il 20 marzo 1775. Educato nel collegio barnabitico di San Saverio, nel 1797 era capitano della compagnia degli ussari che I bolognesi costituirono e mandarono a Milano. L'8 gennaio 1811 Napoleone lo nominò podestà di Bologna e la sua amministrazione fu improntata a larga modernità. Caduto il regno italico, il conte Bianchetti dedicò la sua attività all'arte, reggendo come pro-presidente l'Accademia di Belle Arti di Bologna. La rivoluzione del 1831 lo richiamò alla vita pubblica, partecipando al governo provvisorio presieduto da Giovanni Vicini come capo del dicastero delle relazioni estere. La fine della rivoluzione lo costrinse all'esilio. Seguito dal figlio Francesco prima, poi dalla famiglia fu a Lucca, ad Avignone, a Parigi e Ginevra e di nuovo a Lucca ove rimase fino al giugno 1847. Dopo sedici anni ritornò a Bologna per riprendere la vita politica nell'amministrazione del Comune. Quando nel 1848 il cardinale Amat lasciò la città, delegò le funzioni di prolegato al Bianchetti. Aveva 73 anni e il peso che si addossava era grave. La sua opera in quei mesi che precedono e susseguono l'8 agosto, è documentata nello studio del Natali. Un gesto va ricordato a suo onore: l'offerta di se stesso al generale austriaco come ostaggio, allo scopo di evitare l'occupazione della città quando questa nel maggio 1849 veniva investita dalle truppe austriache. Morì il 23 agosto 1849.

Alcuni documenti soccorrono a definire il carattere, le idee e la rettitudine di questo nobile bolognese. Essi si riferiscono al 1831 e provengono da una raccolta ricchissima di carte relative alla restaurazione pontificia dopo la rivoluzione, e in particolare all'opera del cardinale Carlo Oppizzoni come legato a latere delle quattro legazioni. Il primo documento appartiene al periodo rivoluzionario e di esso già parlai in una comunicazione alla deputazione di storia patria nella seduta del 2 maggio 1943. Il cardinale Oppizzoni reduce dal conclave che elesse Gregorio XVI si era fermato il 14 febbraio 1831 a Firenze con l'intendimento di ripartire due giorni dopo e prendere alloggio a Loiano, in attesa di poter entrare a Bologna in forma privata e riassumere il suo ministero arcivescovile, malgrado la città fosse dominata dalle forze rivoluzionarie. Ma il governo provvisorio il 15 febbraio gli fece avere una lettera, cortese nella forma ma recisa nella sostanza con la quale lo si avvertiva, pel suo stesso bene e per ragioni d'ordine pubblico, che non si poteva permettergli «di entrare per ora» nella provincia di Bologna. A rendere più efficace questa ingiunzione, alla lettera era unito un ordine del generale Luigi Barbieri, comandante della Guardia provinciale al capo posto della porta San Vitale a Bologna, «di non lasciare entrare nessuna vettura né da viaggio né privata senza prima essersi assicurato che non vi sia dentro alcun cardinale, nel quale [caso] lo tratterrà alla porta, e ne darà senza indugio parte al Governo per quelle provvidenze che stimerà occorrenti». Latore di questo messaggio fu il marchese Paolo Borelli, ufficiale della Guardia provinciale. «lo non ho fatto risposta - riferisce il 16 febbraio il cardinale Oppizzoni al Bernetti segretario di Stato né feci conoscere al marchese Borelli il tenore della lettera né la risoluzione per conseguenza che avrei presa: per buona sorte non mi si turbò l'animo mio, ed intrepidamente, ma gentilmente, lo licenziai augurandogli buon viaggio. Dopo ciò mi sono oggi portato ad abitare presso i signori della missione anche per economia, e colà starò attendendo le sovrane disposizioni». Il marchese Borelli non fu, quindi, in grado di esplorare le intenzioni dell'arcivescovo di Bologna per comunicarle al suo governo. Ed ecco entrare in scena il conte Bianchetti inviato a Firenze per trattare col governo toscano i rapporti diplomatici da stabilirsi con quello bolognese. In una memoria di pugno dell'Oppizzoni si ha notizia del colloquio col Bianchetti: «Il giorno 17 mi si presentò il conte Cesare Bianchetti col suo figlio e pretese di far credere che il popolo bolognese temendo che io avessi intenzioni p. sottometterlo al Papa, si era per rivoltarsi, voleva poi ch'io facessi una Pastorale. Mi scusai e lo persuasi che io non avevo ingerenza alcuna nel temporale, e siccome mi sollecitava perché volea conoscere cosa era p. risolvere, gli significai che mi sarei regolato secondo le circostanze, ma che amareggiato p. le cose avvenute mi abbandonava del tutto alla Providenza, e che perdonava a tutti quelli, i quali mi avevano fatto torti. Egli se ne partì con indifferenza, ma il figlio parevami penetrato da confusione, e dolore. «Soggiunse (s'intende il Bianchetti) che voleva poi porre un articolo sul foglio di Bologna relativo al colloquio, risposi poteva dispensarsene, in caso dicesse che io son sempre lo stesso p. i Bolognesi, cioé il loro Padre, e che le mie armi non erano che la pace e la concordia, e perdono, e carità, e amore verso i miei figli spirituali». Gli altri documenti si riferiscono al contegno del conte Cesare Bianchetti nei primi mesi dell'esilio e alla moglie sua Eulalia. Occupata Bologna dagli austriaci, anche il Bianchetti abbandonò la città insieme a tanti compromessi. Nella nota inviata alla Segreteria di Stato a Roma secondo l'art. 1° del noto editto del Bernetti del 14 aprile 1831, il Bianchetti appare fra gli «Intorno al Bianchetti come ad altri fuorusciti, vennero intessute oscure trame per irretirli e indurli con promesse a confidare segreti politici. Di queste manovre dà notizia il Rangone nella sua cronaca, riferendo le impressioni suscitate nel pubblico dall'atteggiamento assunto in proposito dal Bianchetti. «Circola una lettera del conte Bianchetti - scrive il cronista - al quale fa capo altra di un anonimo che l'invita a farsi delatore di quanto è accaduto sotto il Governo Provvisorio delle Provincie Unite e assicurando per questo mezzo di ottenere a suo riguardo il sovrano perdono. Nella risposta il conte Bianchetti pienamente giustifica se stesso ed i suoi colleghi, sostiene il suo onore e non omette di parlare delle clementi disposizioni del Papa, rinunciando all'infame mezzo che gli viene proposto ed al quale non saprebbe in alcun modo rispondere. Le opinioni sono divise, se abbia veramente luogo la lettera dell'anonimo, siccome vorrebbesi cacciar fuori assai destramente la lettera del conte Bianchetti». La «voce» raccolta dal Rangone che l'anonimo insidioso fosse predisposto dal Bianchetti per aver modo di pubblicare dichiarazioni di carattere politico e di fierezza personale, è incontrollabile. Sarebbe, in verità, mezzo troppo machiavellico. Vero o no l'anonimo, autentica è la lettera del conte Bianchetti, L'uno e l'altra in varie copie manoscritte furono diffuse clandestinamente a Bologna in un momento in cui ancora la città era occupata dagli austriaci. Esemplari dell'anonimo e della lettera di risposta li troviamo fra le carte del cardinale Oppizzoni, esemplari che riproduciamo nella loro integrità:

COPIA DI UNA LETTERA SCRITTA DAL MEZZODI DELLA FRANCIA DA UN anonimo/ AL CONTE CESARE BIANCHETTI, E DELLA RISPOSTA CHE IL MEDESIMO HA FATTA. «Une Personne, qui professe la plus haute estime pour la famille fait l'offre de ses services à un Membre de cette famille a fin de lui procurer le retour dans ses foyers. La Personne pense, que Mr XXXXX, qui par la difficulté des circostances, l'entrainement, l'exaltation d'un amour de la Patric mal calculé, se trouve dans una position facheuse, et qui semble contraster avec les sentiments d'honneur, de loyauté inné dans son âme. pouvoit obtenir de son légitime Souverain une mesure favorable, et exeptionelle, en recourant avec une franchise sans reserve a sa clemence, et en feurnissant une preuve certaine de son mécontentement à parteciper à tout trame nouvelle. Cette preuve ne serait autre, que l'aide, qu'il seroit à méme de fournir pour saisir tous les fils d'un trame ourdie dans les atheliers tenebreux des rivolutionaires europées. Si ce moyen convenoit a Mr XXXXX sa reponce pouroit parvenir à la Personne par la même vois que le present billet.

La risposto del Bianchetti non si fece attendere. In quel momento egli era a Bagni di Lucca ed è da questa località che il Bianchetti ribatte alla perfidia sottile dell'anonimo

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Bagni di Lucca 26 giugno 1831

Alle lettera anonima, che ho ricevuta dal mezzodì dalla Francia, rispondo, come mi viene indicato col mezzo della persona stessa dalla quale l’ho ricevuta. Non posso, non devo essere grato all'Anonimo dell'interessamento, che prende per me, e alla offerta che mi fa di procurare a mio favore una misura eccezionale, la quale mi apra una strada a ritornare nella mia Patria. Proponendomi egli un'infamia sono certo che egli non è abbastanza istruito del mio carattere, della mia condotta, e che non conosce abbastanza le determinazioni generose, e la mente del Santo Padre. Benché egli non meritasse da me risposta alcuna, non ricuserò d'istruirlo quanto egli ignora, facendogli conoscere al tempo stesso falso, che un mal inteso amore mal calcolato, mi abbia fatto contrastare coi miei sentimenti d'onore e di lealtà dei quali mi glorio. Se egli conoscesse il mio carattere non avrebbe osato di proporre a mio favore una misura eccezionale consigliandomi di comperare si fatto favore colla mia ignominia, e credendomi delatore e denunciatore delle azioni altrui. Sappia l'Anonimo, che nella mia vita politica di 30 anni circa io non ho partecipato ad alcuna combricola segreta rivoluzionaria, e che non vi parteciperò giammai, perché tali combricole sono affatto contrarie alle mie abitudini, al mio carattere, al mio modo di pensare. Sappia che le mie azioni furono e saranno sempre in piena luce, e non fra le tenebre. Sappia in fine, che mal s’indirizza indirizzandomi a me, che non avrei né la disposizione ne le possibilità di somministrare alcuna di quelle notizie, che egli ricerca nelle tenebrose officine dei rivoluzionari europei, che io non conosco, e che non so se esistino. Se egli poi conoscesse la mia condotta durante la rivoluzione delle Provincie Pontificie, saprebbe che io non ho partecipato ad alcun antecedente di detta rivoluzione, e che dapprima per istanza di Monsignor Delegato Pontificio, poscia per consenso dei miei Concittadini o di buon grado fatto parte del Governo provvisorio finché è esistito giudicando viltà l’abdicare per amore di conseguenze personali ai doveri verso la Patria, i quali sono anteriori a qualunque umano riguardo ed a qualunque Società particolarmente quando si può sperare di renderli immuni da quella anarchia, che vuol essere sempre compagna delle rivoluzioni. Che nell'esercizio delle mie penose funzioni un Atto solo del Governo provvisorio comandato da imperiose circostanze, e sottoscritto dai miei colleghi, e da me ha meritatamente incontrata la Sovrana disapprovazione, se ci esclude dal generale perdono, non per questo ho perduta (né credo la perderanno i miei colleghi) la speranza che Sua Santità per una parte voglia nella giustizia in qualche modo valutare le circostanze tutte, che s’inducersero a sottoscrivere questo Atto, e per l'altra parte voglia nella sua Clemenza dimenticarlo. S'inganna quindi l'anonimo credendo e inganna me facendomi credere, che i mezzi infami che egli mi propone potessero essere accetti al Santo Padre. Chi è che non vegga, che tali messi sono affatto in opposizione alle disposizioni, e ai sentimenti generosi pubblicamente esternati da Sua Santità? E difatti come mai si può credere, che mentre il Sommo Pontefice ispirando pace, e concordia fra i suoi sudditi copre quasi totalmente di un velo le passate vicende condannandale all'oblio, e mentre ogni sorta di mezzi, di previdenze, e di consigli, sta per render pubbliche le nuove, ed opportune riforme dello Stato, le quali più analoghe ai tempi, nei quali viviamo, tolghino qualunque pretesto a novelle turbolenze, e ridonino alle Provincie la fiducia, e la pace, come mai, dico, può credersi, che potessero essere accette al suo Cuore le delazioni e le segrete accuse, le quali il più delle volte false, sempre poi alterate, a null'altro servirebbero che a pascere le private vendette, a rianimare lo spirito di parte, e a turbare quella pubblica, e privata tranquillità, che il Santo Padre vuole, e che tutti i buoni di qualunque opinione essi siano invocano, e desiderano? Legga l'Anonimo gli Editti e le disposizioni del Santo Padre, e vedrà che ben lungi dal gradire estranee mediazioni, ben lungi dal mercanteggiare favori a prezzo d'infamia, ha indicata una via a ciascuno semplicissima per presentare le proprie discolpe, e si è creduto Egli stesso Giudice unico non per condannare, ma per perdonare. Questa è la sola strada che io terrò, e formalmente ricuso ogni altra.

Ciò basti, ed è ancora troppo, per rispondere alla lettura anonima, che mi è stata scritta. Aggiungerò solo, che amando nelle mie azioni da piena luce, e non nelle tenebre del mistero non mi servirò per indicare il mio nome della cifra XXXXX propostami da non so quale tenebrosa officina, e che senza alcun mistero mi sottoscrivo.

CONTE CESARE BIANCHETTI

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Come abbiamo detto, il Rangone raccolse la malignità che la lettera anonima fosse una invenzione del Bianchetti per rendere pubbliche le sue dichiarazioni circa suo operato e sdegnose per quanto si riferisce alla manovra per irretirlo in uno sporco affare di spionaggio, è nello stesso tempo piene di fiducia verso Gregorio XVI al quale attribuisce intenzioni assai più ampie e generose di quelle sperate. Se tale fu il procedere del conte Bianchetti, ben poco giovò perchè egli fu non soltanto escluso dall'amnistia appunto per aver sottoscritto la dichiarazione di decadimento del potere temporale, ma le istanze del padre della moglie Eulalia che in quelle settimane erano in corso per ottenere la grazia, non ebbero esito favorevole, soprattutto pel contegno generoso del Bianchetti. Le istanze dei familiari di Cesare Bianchetti per sollecitare grazia dal sovrano furono parecchie. Di una del padre si ha notizia in una lettera che la contessa Eulalia inviò al Cardinale Carlo Oppizzoni il 12 maggio 1831, quando, cioè, il porporato era legato a latere delle quattro legazioni, per implorare il suo appoggio. Tale istanza non ebbe fortuna. Più tardi verso l'ottobre, parve che il Pontefice sotto la pressione continua dei congiunti del Bianchetti, non fosse alieno di concedere, a lui solo, la grazia di ritornare impunito a Bologna. Lo stesso Oppizzoni, nella sua qualità, questa volta, di arcivescovo, non esitò ad appoggiare con lettera del 4 novembre 1831, le calorose istanze del padre e della moglie del Bianchetti. Ad allontanare da sé la concessione d'una grazia individuale che non avrebbe mancato, e non senza ragione, di sollevare severi commenti e dubbi sulla sua legittimità, particolarmente dopo la vasta diffusione del testo dell'anonimo e della risposta, provvide lo stesso Bianchetti. Egli scrisse a monsignor Giovanni Soglia Ceroni elemosiniere pontificio, una lettera nella quale pone con nobiltà e risolutezza le condizioni che gli avrebbero permesso di accettare la grazia.

«Non posso tacere a Vostra Signoria Rma la quale m'ispira tanta fiducia e confidenza, che se alla Sovrana Clemenza piacesse di graziare me solo, ed escludere Silvani, Zanolini, Pepoli, Orioli, Sarti ed alcuni altri, ciò rincrescerebbe infinitamente al mio cuore, e amareggerebbe oltremodo il contento del favore ottenuto. Non interpreti questo voto in altro senso, che non quello di un dovere di lealtà verso quelle Persone il cui carattere e i cui sentimenti perfettamente conosco, e che più infelici di me per la sofferta prigionia in Venezia, più di me meritano la Sovrana compassione. «E lo stesso avv. Vicini, a cui non mi legava alcun vincolo di amicizia, e col quale nella gestione dei pubblici affari mi sono trovato e sino all'ultimo momento in clamorosa opposizione, nello stato infelice di miseria e di salute in cui si trova, e ricorrendo con mia sorpresa spesso a me per avere consigli e conforto, muove a pietà l'animo mio, e mi sforza a far voti, e preghiere anche per lui». E conclude: «Le parole di pace e di vicino perdono espresse dal Santo Padre ai nostri deputati conte Marchetti, ed avv.to Baietti accrescono la speranza, che l'ora del perdono non sia lontana per tutti. Le voci amorose del Padre mio, venerabile vecchio quasi nonagennario, che mi desidera e che abbisogna del mio aiuto, accrescono per me il dovere di sollecitare, e implorare per me quest'ora desiderata». Di fronte al fermo atteggiamento del Bianchetti cadde ogni possibilità di concessione di grazia individuale. Di ciò il cardinale Bernetti, segretario di Stato dà notizia all'Oppizzoni con lettera autografa e confidenziale, documento interessante del singolare imnbarazzo in cui si dibatteva la politica pontificia.

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E.mo mio Padrone,
ricevei il pregiatissimo foglio suo del 4 corrente nel giorno istesso nella cui mattina avevano riferito a S.S. una lettera gentilissima scrittami da cod. signora contessa Eulalia Bianchetti sul medesimo argomento. A dire il vero Eminentissimo mio, la grazia sarebbe stata fatta se il conte Cesare non ne avesse egli stesso preclusa la strada. Egli aveva scritto a Mons. Soglia pregandolo d'interporsi per farlo rimpatriare: ma che? Protestava, che se quella grazia medesima non fosse stata comune ad Orioli, a Vicini, ed altri compagni nella sventura, egli neppure avrebbe voluto ottenerla. Diciamo la verità: anche domandando grazie si avrà il diritto di imporre la legge? questa circostanza della detta protesta ha reso inutile ogni mio tentativo. Ma se piange il cuore per la egregia Dama e per il venerabile Vecchio, non saprei dire se sia stato troppo severo il rifiuto. V'è poi di più, che le cose in codeste parti continuano ad andar tanto male, che manca il coraggio di far l'avvocato per quegli individui. Io veramente non so più cosa farmi per assistere ed ajutare or questo or quel traviato. Sempre che ho da parlare per qualcuno di loro, mi trovo nella necessità di riferire ciò che accade di giorno in giorno nel generale, e la storia di questo guasta tutte le mie perorazioni. Presentemente ho per le mani l'affare Gandolfi, e Iddio sa come anderà a finire. Ne ho parlato una volta, e con poco buon esito. Tornerò a parlarne domani o doman l'altro, ma... Basta, io farò quanto posso. Se le Provincie si fossero tranquillizzate, Le assicuro, che tutto si potrebbe ottenere, ma stando come stanno, tutto è difficile. Si conservi l'E.V. mi creda quale mi ripeto baciandole umilissimamente le mani di V.ra Em.za

U.mo D.mo Serv. ve amico
T. C. BERNETTI

Così il conte Bianchetti, salvo un permesso ottenuto nel 1846, restò esule fino al giugno 1847.

UMBERTO BESEGHI

Testo tratto dalla 'Strenna Storica Bolognese', Bologna, 1957. In collaborazione con il Comitato per Bologna Storico Artistica.