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Bologna tra le due guerre

1919 | 1943

Insediamento

Schede

Dallo scoppio della prima guerra mondiale all'intervento dell'Italia nel conflitto (il 24 maggio 1915), la città vide dimostrazioni di interventisti, fra i quali anche numerosi di orientamento democratico (riformisti, sindacalisti-rivoluzionari, anarchici, repubblicani), ma anche numerose e forti manifestazioni contrarie alla guerra, soprattutto da parte di contadini socialisti e cattolici, che furono i lavoratori più numerosi reclutati per il fronte.
La grande guerra, che era costata 10.745 morti, aveva maturato l'esigenza da parte dei grandi strati della popolazione più povera di conquistare nuove condizioni economiche e sociali, di civiltà. Fortissimo fu l'incremento organizzativo in campo sindacale, cooperativo, associativo e politico. Impetuose divennero le lotte politiche e le battaglie sindacali per miglioramenti economici e regolamentari d'ogni categoria operaia ed impiegatizia. Gli operai ed i braccianti agricoli conquistarono le 8 ore di lavoro al giorno e miglioramenti salariali. I contadini, forti delle promesse di accesso alla proprietà della terra fatte loro nel corso della guerra, entrarono in campo come mai prima, per ottenere nuovi contratti.
Il 19 aprile 1919, fu fondato il Fascio di combattimento di Bologna, che raccolse larga parte degli interventisti e reduci fra i combattenti. Nelle elezioni politiche del 16 novembre successivo, il PSI ebbe 81.952 voti e il PPI (che era sorto proprio in Bologna il 18 gennaio precedente) ne ebbe 21.115. Sette deputati ebbe il PSI ed uno il PPI.
Il padronato reagì all'avanzare delle forze lavoratrici, specialmente nel 1920, dandosi delle proprie organizzazioni di difesa e d'attacco.
In quell'anno si svolse una lunga lotta agraria apertasi nel marzo e conclusasi solo il 25 ottobre: un'agitazione incentrata fondamentalmente sul rapporto di colonia, che mirava all'elevazione della quota di prodotto spettante alla famiglia mezzadrile per il lavoro prestato (dal 50% al 60-65%) e alla condirezione aziendale.
Una lotta molto aspra che, oltre a vedere da parte di tutti i lavoratori della terra la mancata raccolta dei prodotti padronali e diversi scioperi generali, il 5 aprile vide un eccidio compiuto dai carabinieri a Decima di San Giovanni in Persiceto (v.) e uno scontro tra leghisti e "crumiri", con morti e feriti da entrambe le parti, il 9 agosto a Portonovo di Medicina (v.).
Le lotte rivendicative dei lavoratori nel settore industriale si acuirono fino a determinare l'occupazione delle fabbriche da parte degli operai in varie regioni d'Italia. La partecipazione dei bolognesi a questo movimento iniziò il 3 settembre in 56 fabbriche ed officine e si concluse oltre la fine dell'agitazione nazionale, il 3 ottobre.
Una manifestazione per rivendicare la scarcerazione delle "vittime politiche" rinchiuse in S. Giovanni in Monte, il 14 ottobre, fu repressa dalle Guardie regie e si concluse con un morto e vari feriti tra i dimostranti e due tra le guardie. Seguì lo sciopero generale dei lavoratori e un furioso attacco della stampa contro di loro. Il giorno 16, dopo i funerali delle Guardie regie, i fascisti si scatenarono contro istituzioni ed uomini di parte socialista e sindacale.
Il Fascio bolognese, il 20 ottobre 1920 fu riorganizzato sotto la direzione di Leandro Arpinati e si scagliò violentemente contro i socialisti [Fiorenza Tarozzi, Dal primo al secondo Fascio di combattimento: note sulle origini del fascismo a Bologna (1919-1920), in Bologna 1920. Le origini del fascismo, 1982]. Le votazioni per eleggere il nuovo consiglio comunale furono indette per il 31 ottobre. Una lista civica, che raccoglieva esponenti delle associazioni industriali e commerciali, nazionalisti, fascisti ed anche ex combattenti, denominata "Comitato Pace, Libertà e Lavoro" espresse il suo programma chiaramente in un foglio elettorale dal titolo 77 Comunista è il nemico da abbattere ad ogni costo.
Alla vigilia del voto un oratore di parte fascista - così scrisse il Resto del Carlino - dichiarò "che vincano o non vincano i socialisti, la bandiera rossa non sventolerà su Palazzo d'Accursio". I socialisti, invece, riconquistarono il comune. Dal saggio di Nazario Sauro Onofri, La strage di Palazzo d'Accursio, traiamo le cifre che sintetizzano l'esito della consultazione elettorale. Cifre che noi prendiamo quale specchio della reale forza popolare, socialista e democratica raggiunta in ognuno dei comuni bolognesi e che assumiamo come punto di partenza dello svolgimento del conflitto tra fascismo ed antifascismo che si concluderà con la lotta di Liberazione.
Il PSI ebbe 20.195 voti pari al 58,2%, contro i 21.971 (62,9%) del 1919. La lista "Pace, libertà, lavoro" 8.706 (26,5%) contro i 4.528 (13,8%) ottenuti dai liberali nel 1919 e i 3.489 (10%) dei combattenti che erano stati complessivamente 8.017 (23,8%). Infine il PPI ebbe 5.093 voti (15%) contro i 4.810 (13,8%) del 1919.1 votanti furono 34.076 su 58.908, pari al 58,50% contro i34.798 (62,9%) del 1919. Poco meno di cento i voti nulli. Al PSI - la cui vittoria restava sempre molto larga, anche se i voti erano diminuiti - andarono 48 consiglieri ridotti a 47 per la morte di Erminio Zucchini, deceduto il 30 ottobre in seguito alle ferite riportate nello scontro del 14 precedente tra manifestanti e Guardie regie. Alla lista "Pace, libertà, lavoro" ne andarono 12, saliti a 13 perché un consigliere della minoranza occupò il posto di Zucchini. Nessun consigliere ebbe il PPI. Il successo del PSI fu travolgente nei comuni della provincia. Nell'Amministrazione provinciale entrarono 47 consiglieri socialisti (contro i 31 del 1914) divenuti 46 in seguito alla morte di Zucchini. "Pace, libertà, lavoro" ne ebbe appena 3 (contro i 19 della destra nel 1914), divenuti 4 perché il seggio di Zucchini andò alla minoranza. Anche in questo consesso il PPI non ebbe consiglieri. Il PSI conquistò 54 comuni su 61 (contro i 34 del 1914, dei quali 24 del PSI e 10 di organizzazioni operaie e sindacali). Solo 7 comuni - Castel d'Aiano, Gaggio Montano, Loiano, Monghidoro, Monterenzio, Savigno e vergato - furono conquistati dal PPI, con il PSI in minoranza. Nessuno andò alla lista di "Pace, libertà, lavoro".
Il 21 novembre 1920, giornata di insediamento del Consiglio comunale, in piazza Nettuno, i fascisti provocarono un attacco armato contro la folla riunita per festeggiare l'elezione del sindaco. La sparatoria, svoltasi senza alcun intervento dell'apparato poliziesco schierato tutt'intorno alla piazza, suscitò tafferugli nell'aula consiliare, dove anche si sparò, colpendo mortalmente il consigliere ex combattente avv. Giulio Giordani. Sulla piazza restarono uccise o ferite mortalmente dieci persone. Il sindaco Enio Gnudi (Dizionario), comunista, che era stato eletto poco prima, a seguito di questi luttuosi fatti, fu sostituito da un Commissario prefettizio il giorno 23 successivo. Dopo i fatti di Palazzo d'Accursio, lo squadrismo fascista dilagò con particolare veemenza in tutta la provincia e in tutto il Paese.
In città, il 24 gennaio 1921, fu assaltata la sede della Camera Confederale del Lavoro, sita in via d'Azeglio, e, allo stesso tempo, furono distrutti e saccheggiati diversi uffici di leghe, di sindacati, della Cooperativa tipografica e dell'Unione socialista bolognese. Due giorni dopo vennero attaccate le sedi della Società Operaia e della Federazione Provinciale Lavoratori della Terra, in via Cavaliera 22. Organi governativi e di polizia non intervennero. Per protesta seguì uno sciopero generale. La CdL fu occupata dalla truppa, vennero proibiti gli assembramenti per tutti, ma i fascisti continuarono le loro imprese. Le elezioni politiche del 15 maggio 1921 su scala nazionale diedero globalmente alle liste del PSI e del PCd'I (c'era stata nel frattempo la scissione di Livorno) più suffragi di quelli che nel 1919 erano andati al solo PSI (1.936.154 contro 1.834.892), ma in Emilia Romagna si registrò un crollo dei voti socialisti. Nella provincia i voti del PSI scesero dal 68,6 al 47,2%, mentre il PCd'I ottenne il 10,5 %. Il PPI scese dal 18 al 14,2 %. Durante la seconda metà del 1921, gli squadristi operarono con irruenza per smantellare le strutture sindacali di classe e per distruggere, specie nel bolognese, gli uffici di collocamento onde poter conquistare il controllo dell'occupazione e, quindi, piegare i sindacati e liberare il padronato dall'"aborrito" istituto, che aveva preteso il rispetto della dignità dei lavoratori e la giustizia nella distribuzione del lavoro.
Nel bolognese vennero distrutti 35 organismi dei lavoratori: «un giornale, 6 Case del popolo, 7 Camere del lavoro, 9 Cooperative, 5 Leghe contadine, 5 sezioni e circoli socialisti e comunisti, 2 circoli operai e ricreativi» (Angelo Tasca, Nascita e avvento del fascismo, 1963). Dai proprietari terrieri furono date oltre 2.000 disdette a mezzadri. Le leghe e i sindacati democratici cominciarono a sgretolarsi di fronte al massiccio attacco dei fascisti appoggiati dalla forza pubblica.
Prima l'aggressione violenta degli squadristi contro le organizzazioni dei lavoratori e, poi, la costrizione e la demagogia ingannatrice dei fascisti - sostenute dal brutale diniego da parte del padronato del lavoro ai leghisti e dall'inosservanza dei patti conseguiti dalle organizzazioni confederali - favorirono il sorgere di cosiddetti "sindacati nazionali".
Gli arresti di alcuni fascisti per misfatti compiuti a Calderara (v.), provocati dagli squadristi stessi, costituirono uno dei pretesti addotti dalla dirigenza fascista bolognese per indire una concentrazione delle squadre per la "occupazione di Bologna", in protesta contro il prefetto Cesare Mori, colpevole di avere emesso un decreto a difesa dell'impiego della manodopera agricola locale secondo la consuetudine e di aver fatto arrestare dalle forze di polizia qualche fascista arbitrariamente armato. Da tutte le province emiliane gli squadristi invasero (incontrastati!) il capoluogo, a partire dal 29 maggio e fino al 2 giugno. Tutte le città e i comuni, al passaggio dei fascisti di altre province e di quelli locali, e Bologna stessa durante il bivacco che si protrasse giorni e notti, furono teatro di assassinii, di incendi e di violenze (giunte fino al lancio di bombe a mano contro la Prefettura) che colpirono uomini e cose del movimento socialista e di quello operaio e contadino. Le forze militari comandate dal gen. Ugo Sani, filofascista, non intervennero.
Dagli atti della Regia Questura e delle Legioni territoriali dei Carabinieri Reali (Interna ed Esterna) si rileva che nel corso delle marce di avvicinamento alla città e durante l'occupazione di Bologna, dal 27 maggio al 3 giugno 1922, le squadre fasciste invasero, saccheggiarono e, in diversi casi, appiccarono il fuoco alle sedi ed alle attrezzature di 54 istituzioni comunali, sindacali e socialiste (17 nella città capoluogo e 37 in vari comuni della provincia). Nel capoluogo attaccarono 4 sedi dell'Ente Autonomo di Consumo (uffici, magazzino, forno comunale e uno spaccio) 6 Cooperative (dell'Arcoveggio, di Corticella, di Santa Viola, dei lavoratori della terra, del Malcantone, di Bertalia); 3 sedi sindacali (dei ferrovieri macchinisti, dei braccianti, del sindacato ferrovieri), la sede della CCdL, la sede dell'associazione vigili daziari, il Circolo giovanile socialista della Zucca, l'edicola giornalistica di porta Mascarella.
Nei comuni della provincia attaccarono: 10 Case del popolo (di Bazzano, di Castello d'Argile, di Caselle di Crevalcore, di Boschi di Galliera, di San Giorgio, di Calderara, di Castenaso, di Granarolo, di Crespellano e di Calcara); 10 Cooperative di consumo (di Sant'Agata, di Altedo di Malalbergo, di Bagnarola di Budrio, di Tignano di Sasso Marconi, di Castenaso, di Lovoleto di Granarolo, di Imola e di Ponte Santo, di Ganzanigo e Villa Fontana di Medicina); 2 Leghe (di Ca' de Fabbri di Minerbio, di Saletto di Bentivoglio); 2 CdL (di Imola, di Idice di San Lazzaro); 5 Cooperative agricole (di Bentivoglio, di Sasso Marconi, di Borgo Panigale, di Fiesso di Castenaso, di Imola); 3 Depositi di macchine agricole (di San Giovanni, 2 di Castel San Pietro); 3 Circoli socialisti (di Budrio, di Calderara, di San Marino di Bentivoglio) e il Circolo comunista di Pian di Macina; a Boschi di Baricella 23 capanni contenenti attrezzi rurali, legna da ardere e suini dei braccianti locali. E' da tenere presente, inoltre, che il 29 maggio i fascisti ferraresi, durante l'incursione a San Giorgio (v.), assassinarono Elmiro Forlani. L'Alleanza del Lavoro in "difesa delle libertà politiche e sindacali minacciate dalle insorgenti fazioni reazionarie" proclamò uno sciopero generale nazionale a partire dal 1o agosto. Mentre lo sciopero iniziava, i fascisti contrattaccarono con violenza, avanzando un "ultimatum" perché cessasse entro 24 ore e dal 3 all'8 agosto sferrarono un'offensiva che seminò lutti e distruzioni in tutta Italia. Fallita questa estrema protesta, lo squadrismo ebbe la via aperta al potere.
Dal 28 al 30 ottobre 1922 i fascisti compirono la cosiddetta "marcia su Roma" che portò Benito Mussolini al Governo. Anche dopo le violenze continuarono. Ne diede conto Giacomo Matteotti nel suo Un anno di dominazione fascista, Edito a cura dell'Ufficio Stampa del Partito Socialista Unitario, annotando dal dicembre 1922 al novembre 1923, ventidue episodi che interessarono Bologna e 18 relativi ad undici comuni della provincia, mentre in una sezione particolare del libro, dedicata a Molinella, ne enumerò oltre ottanta in quel solo comune.
Nel 1923 cominciarono arresti di singoli militanti e di gruppi di dirigenti antifascisti, in particolare del PSI e del PCd'I. Già al primo processo contro i comunisti italiani, svoltosi a Roma, dal 18 al 26 ottobre 1923, furono rinviati cinque bolognesi precedentemente arrestati, Paolo Betti, Giuseppe Dozza, Enio Gnudi, Amleto Tibaldi e Arturo Vignocchi; processo che si concluse con una generale assoluzione per insufficienza di prove. Decine e decine di ferrovieri e di tranvieri furono licenziati per motivi politici, seppure con la motivazione di "scarso rendimento".
Lotte sindacali condotte dalle organizzazioni libere dei lavoratori continuarono con forza e con successo anche dopo l'avvento al governo dei fascisti. Nel maggio 1924 i lavoratori edili della città e della provincia condussero un lungo sciopero. Il 27 giugno 1924, giorno in cui a Montecitorio fu commemorato l'on. Matteotti assassinato da squadristi il 10 giugno precedente, nonostante le violenze fasciste, in città venne attuata una sospensione del lavoro alle ore 10, della durata di dieci minuti, nelle fabbriche, nei servizi pubblici, nei cantieri edili, al Pirotecnico militare, ecc. e in diverse aziende e negozi fu abbandonato definitivamente l'opera. A Molinella (v.) un'organizzazione di fatto del bracciantato combatté fino al 1926. In quest'ultimo anno sorse un'associazione di tipografi antifascisti.
Il 31 ottobre 1926, Mussolini, al termine di una visita a Bologna, nel corso della quale aveva inaugurato il Littoriale, venne fatto segno a un colpo di rivoltella partito dalla folla che, accalcata all'angolo fra via Rizzoli e via Indipendenza, assisteva al suo passaggio. Fra urla e gran scompiglio, sul posto chiamato Cantón dei Fiori, da alcuni fascisti fu linciato (e colpito da 14 pugnalate, una rivoltellata e semistrangolato) il giovane Anteo Zamboni, non ancora sedicenne, incolpato poi d'aver sparato. Mai, però, è stato accertato chi abbia organizzato l'attentato (se avversari o "fascisti dissidenti") e chi sia stato veramente l'esecutore. Dopo il colpo di rivoltella, che lasciò illeso il Duce, in assonanza con quanto affermò il Sommo pontefice, il Cardinale Arcivescovo Nasalli Rocca, al Tedeum celebrato il 4 novembre successivo in San Petronio, ringraziò «Iddio d'aver scampato prodigiosamente da morte il Capo del Governo, di Chi regge per un disegno di Provvidenza le sorti del nostro Paese».
Il quarto attentato (vero o pilotato) contro Mussolini costituì l'occasione, in un clima agitatorio sostenuto dalla grande stampa e dalle organizzazioni fasciste, per una rapida discussione ed il varo, nel novembre 1926, delle leggi eccezionali (v. Cronologia, 1926).
Nel bolognese, fra il 1922 e il 1943, le manifestazioni di opposizione furono multiformi, grandi e piccole, di gruppi o di singoli, sempre ristrette ad un'avanguardia che affrontò arresti, processi, Tribunale Speciale, confino di polizia, carcere, ammonizioni oltre ad un'infinità di angherie, ma senza soluzione di continuità. Fra i fuoriusciti politici e fra gli emigrati per ragioni di lavoro oltre confine, vi furono antifascisti che diedero attività nelle organizzazioni degli italiani all'estero.
Dal 1926 al 1943 non ci fu anno in cui non si sia svolto uno o più processi contro bolognesi al TS (Aula IV) e in cui non vi siano state assegnazioni al confino di polizia: i condannati dal TS (462 in tutto), andarono da uno (nel 1942) a 144 (nel 1931); i confinati andarono dagli 8 del 1934 ai 66 del 1931 (Confinati).
Nel 1926, solo con l'estirpazione delle famiglie dal comune di residenza, cessò la lunga lotta dei lavoratori di Molinella (v.) a difesa della libertà sindacale in opposizione all'organizzazione fascista.
Il 24 marzo 1929 il fascismo invece di elezioni politiche generali indisse un "plebiscito politico" che impose la costituzione di una Camera dei rappresentanti designati dal Gran Consiglio del fascismo attraverso la semplice risposta di un SI o un NO. Forte del consenso acquisito grazie alla Conciliazione fra lo stato mussoliniano ed il Vaticano, attraverso i patti firmati 1'11 febbraio precedente; grazie alle manipolazioni delle liste degli elettori in ogni comune ed alle esclusioni da esse degli oppositori (incarcerati, confinati e costretti all'espatrio); grazie ancora alla proibizione di ogni propaganda diversa da quella del regime ed alle minacce contenute in quella fascista contro chi avesse votato NO, dal plebiscito risultò un largo consenso. A Bologna su 60.347 iscritti votarono in 53.854 e i SI furono 51.169. Sommando chi votò NO (2.494), chi votò scheda poi annullata (191) e chi si astenne (6.493), i dissenzienti verso il regime furono 9178, pari al 15,20%. Nell'intera provincia su 175.477 iscritti, votarono in 161.709 e i SI furono 156.532. Sommando chi votò NO (4.823), chi votò scheda poi annullata (354) e chi si astenne (13768), i dissenzienti verso il regime furono 18.945, pari al 10,79%.
Nel 1920 - come si legge sull'Almanacco socialista italiano 1921 - gli organizzati al PSI, in città di Bologna erano 3.085, e in tutta la comunisti dal 1921) continuava con l'azione aperta e anche col NO la lotta contro il fascismo. Nel 1931 nelle risaie di Medicina (v.) e dei comuni contermini scioperarono le mondine. Un'altra forte protesta di risaiole avvenne nel 1932 a Boschi di Baricella.
Agitazioni di disoccupati scoppiarono in varie località della provincia nel 1935. A Bologna gli edili protestarono vivacemente nel corso di diverse assemblee sindacali. I sentimenti repressi e le esigenze economiche e sociali conculcate dal regime fascista, nonché i fortissimi disagi provocati dalle restrizioni e dai lutti dovuti alle guerre di regime (che, a partire dal 2 ottobre 1935 con l'aggressione all'Etiopia si susseguirono pressoché ininterrottamente per dieci anni) caricarono fortemente la volontà di combattere contro la dittatura e di cambiare profondamente le condizioni in cui era stata trascinata l'Italia. Scoppiata in Spagna la rivolta capeggiata dal gen. Francisco Franco contro il legittimo governo repubblicano, il regime fascista inviò truppe, aerei ed aviatori a sostegno dei franchisti. In difesa di quella Repubblica, 166 bolognesi (fra cui 117 nativi dei 59 comuni della provincia), diversi dei quali trovavansi in esilio per ragioni politiche o all'estero per lavoro, accorsero volontariamente a combattere nelle file dell'antifascismo internazionale (Spagna). Di essi 41 persero la vita. Nino Nannetti, nato a Bologna nel 1906, raggiunse Barcellona due giorni dopo lo scoppio della rivolta, combatté per la difesa di Madrid ed a Guadalajara; nominato tenente colonnello, gli fu affidato il comando di 10.000 soldati spagnoli e, gravemente ferito sul fronte di Bilbao, morì nell'ospedale di Santander, il 21 luglio 1937.
Diversi antifascisti bolognesi, dopo aver lasciato la terra iberica, qualche mese o qualche anno dopo, promuoveranno e parteciperanno alle "resistenze" in vari paesi d'Europa (in Francia, in Jugoslavia, ecc.) e alla lotta di Liberazione in Italia. Tredici saranno tra gli iniziatori della lotta armata e combattenti nel bolognese. Tra questi veterani 7 cadranno: Alessandro Bianconcini, Giovanni Cerbai, Roberto Gherardi, Vittorio Ghini, Quinto Pietrobuoni, Egisto Rubini e Bruno Tosarelli.
Dal 1937, iniziò l'organizzazione antifascista fra intellettuali bolognesi. Iniziatore fu Carlo Ludovico Ragghiami, storico dell'arte, il quale ebbe presto l'assenso e poi il concorso del prof. Edoardo Volterra, dell'avv. Mario Jacchia, del critico d'arte Cesare Gnudi. Assieme, amalgamando ideali e programmi che erano stati dei liberalsocialisti, dei democratici radicali e del Movimento "Giustizia e Libertà", gettarono le basi di quella formazione politica che diverrà poi il Partito d'Azione. Alle riunioni del gruppo dal 1940 parteciparono, oltre ad altri bolognesi, anche intellettuali d'altre città italiane.
Per soccorrere e salvare gli ebrei perseguitati dal fascismo a seguito delle leggi razziali del 1938, nella città sorse una sezione della "Delasem" (Delegazione Assistenza agli Emigranti), organizzazione che dal 1940 sarà guidata da Mario Finzi, il quale, per l'attività antifascista svolta, verrà arrestato nel maggio 1943. Liberato dopo la caduta del fascismo, Finzi sarà di nuovo arrestato nel marzo 1944, quindi deportato prima nel campo di Fossoli e poi in Germania a Birkenau e ad Auschwitz dove scomparirà (Dizionario).
Il fascismo nell'aprile del 1939 portò l'Italia ad annettersi l'Albania.
Infine il 10 giugno 1940, l'Italia fu trascinata in guerra al fianco della Germania hitleriana. I fascisti bolognesi ed il loro giornale, il Resto del Carlino, vantarono i primi, faticosi ed apparentemente vittoriosi successi militari. Vantarono d'aver concorso alla definitiva sconfitta della Francia, la partecipazione dell'aviazione italiana ai bombardamenti su Londra ed alla "coventrizzazione" delle città inglesi, l'invio di un'armata di soldati in Russia; l'aggressione giapponese a Pearl Harbour, ma lo spirito pubblico interno andava mutando.
Nei primi anni Quaranta, Bologna era «città dotata di industrie metalmeccaniche, elettromeccaniche, chimiche e alimentari di grandezza media, nodo ferroviario e stradale di larghi commerci, posta al centro di un territorio intensamente agricolo, con zone montane povere e tipicamente depresse». In conseguenza dell'entrata in guerra ed al mutare della situazione economica e sociale, delle morti sui fronti di guerra, dei razionamenti e dei bombardamenti aerei, l'avversione al regime aumentò sempre più. Emerse l'insoddisfazione degli operai, delle donne, dei contadini e dei giovani. Lo sciopero impedito e represso dal fascismo ricominciò ad essere nuovamente esercitato da gruppi di lavoratori e di lavoratrici. Manifestazioni di malcontento contro i razionamenti alimentari e contro la guerra si svolsero nel 1940 e, a Bologna, nel 1941. L'insofferenza e la disobbedienza verso gli ammassi obbligatori dei prodotti agricoli divenne palese e sempre più consistente. Astensioni dal lavoro si verificarono a Molinella nel 1940, a Malalbergo nel 1941. A Bologna nel 1942 avvennero agitazioni contro i fiduciari fascisti di fabbrica e contro le restrizioni di guerra nelle officine "Bega" "Buini & Grandi" e "Curtisa", oltre a proteste nella sede dei sindacati fascisti in piazza Malpighi. Nell'agosto 1942 vi furono scioperi all'ACMA e nel Calzaturificio Montanari e varie proteste in alcuni stabilimenti industriali, per rivendicazioni salariali e normative a partire dalle gravi condizioni nei posti di lavoro ed esterne. Alla "Ducati" iniziarono sabotaggi alla produzione di strumenti di guerra. Nel frattempo prese corpo un'opposizione che divenne, poi, organizzazione e, quindi, azione. Nel 1942 tra i rappresentanti dei partiti prefascisti - un comunista, un socialista, un cattolico e un esponente del movimento "GL" - fu creato un comitato, chiamato "Quadri-partito", avente per scopo "una lotta decisa contro la guerra e per chiedere la pace separata" da parte dell'Italia. Nel marzo 1943, contemporaneamente agli imponenti scioperi scoppiati a Torino ed a Milano, si ebbero agitazioni e fermate di lavoro in tutta l'Emilia Romagna e, nei mesi successivi, a Bologna. Proteste e manifestazioni avvennero nelle campagne.
A Bentivoglio vi fu uno sciopero di braccianti e in alcuni comuni furono attuate fermate durante i grandi lavori e la raccolta dei prodotti. Nel giugno 1943 venne creato un organismo unitario tra comunisti, socialisti ed azionisti denominato Comitato regionale Pace e Libertà.
Nella notte tra il 16 e il 17 luglio seguenti, Bologna subì il primo bombardamento aereo degli Alleati. Nei mesi che verranno fino alla fine della guerra subirà un'altra trentina di bombardamenti aerei a tappeto ed oltre un centinaio di incursioni minori (mitragliamenti, lanci di spezzoni, ecc.).
La violenza fascista fino alla vigilia del crollo del regime, è parzialmente sintetizzata nelle cifre che seguono. Le vittime dello squadrismo nel bolognese, tra il 1919 e il 1926, e gli antifascisti uccisi nel corso del ventennio fascista o in carcere o al confino di polizia furono un centinaio. Dal novembre 1926 al luglio 1943 gli antifascisti bolognesi arrestati furono ben 771 (dei quali 275 dei 59 comuni minori) e di loro 471 furono poi sottoposti a giudizio e, nel corso di 80 processi del TS, condannati a complessivi 2.270 anni di carcere. Le condanne ebbero gli apici nel '28 (34),nel '31 (144), nel '38 (89) e nel '39 (109). L'apposita Commissione provinciale inflisse 491 assegnazioni al confino di polizia (301 delle quali a nativi dei 59 comuni minori), a uomini e donne, procedendo a 544 condanne, poiché 53 si ripeterono (Armando Pilati, di Bologna, fu condannato due volte al carcere dal TS e ben tre volte al confino di polizia). In totale gli anni di domicilio coatto imposto agli antifascisti bolognesi superarono i 900.
A seguito del pronunciamento del Gran Consiglio del Fascismo nella nottata del 24 luglio 1943 e della destituzione di Mussolini da capo del governo, decisa dal Re Vittorio Emanuele III, e quindi dell'arresto del Duce e del conseguente crollo del fascismo il 25 luglio, scoppiarono in varie parti d'Italia dimostrazioni d'esultanza e di grandi attese. Anche a Bologna nella tarda serata del 25 si manifestò. Ne diede notizia pure il quotidiano fondato da Mussolini, Il Popolo d'Italia, nel numero dell'indomani (l'ultimo edito), sotto il titolo Dimostrazioni patriottiche in tutta Italia, in questi termini: «Nonostante l'ora tarda in cui è stata conosciuta la notizia del cambiamento del Governo ha suscitato il più vivo entusiasmo patriottico. Si sono subito formati cortei che alla testa di bandiere tricolori hanno percorso le vie centrali della città e si sono poi spinti fino alla periferia e nei rioni popolari al grido di "Viva l'Italia", "Viva il Re" e "Viva Badoglio"». Dal 26 mattina, ovunque, pronte, vivissime, furono le manifestazioni da parte dei lavoratori e di gran parte della popolazione. In tutti i rioni delle città, nei comuni della provincia e nelle campagne, cessato il lavoro, s'innalzarono bandiere, si formarono cortei per raggiungere il cuore della città e le piazze dei comuni, per dimostrare e gridare in gran massa contro il fascismo, per ascoltare discorsi nuovi, per reclamare la libertà. I lavoratori della "Ducati", l'azienda che contava 7.000 addetti che costituivano il nucleo di lavoratori industriali più consistente e organizzato di tutta la provincia, parteciparono compatti alle manifestazioni di piazza svoltesi il 26-27-28 e manifestarono la loro esultanza astenendosi dal lavoro fino alla fine del mese.
Nel clima di generale ripresa antifascista che caratterizzò i "quarantacinque giorni" del governo Badoglio potè estendersi fra la cittadinanza la discussione politica e l'organizzazione sindacale e, nella clandestinità, anche quella dei partiti di tradizione prefascista. Si andò allargando la consapevolezza della necessità di condurre una lotta per aprire realmente la strada verso la fine della guerra, la conquista dell'indipendenza, della democrazia e della giustizia sociale. Alla "Ducati", alla ripresa dell'attività lavorativa (2 agosto), un'azione di lotta condotta attraverso due scioperi consecutivi per ottenere il riconoscimento della Commissione interna di fabbrica e alcuni miglioramenti salariali ottenne un pieno successo. Verso la fine di agosto, tornando dalle carceri e dal confino, vennero a rafforzare il già considerevole nucleo antifascista interno dello stabilimento alcuni militanti comunisti: Agostino Ottani e Linceo Graziosi, Giorgio Scarabelli ed altri ancora.
A Bologna l'attività antifascista si sviluppò sotto l'egida del Comitato per l'Unione Pace e Libertà (che raggruppò il Pd'A, il PCI, il Movimento Cristiano Sociale, il PLI, il PSI e il Movimento Unità Proletaria), che lanciò diversi appelli e pubblicò due numeri di un proprio periodico dal titolo significativo Rinascita.
Dopo l'8 settembre 1943, quando la monarchia e l'intera classe dirigente abbandonarono il paese a se stesso, le forze antifasciste più consapevoli ed i cittadini che volevano farla finita con il fascismo e riscattare l'Italia per intraprendere la strada della rinascita, presero nelle loro mani la causa della lotta contro gli occupanti stranieri - i tedeschi - e contro le forze che si posero al loro servizio - i fascisti. Le esplosioni popolari, seguite al 25 luglio 1943 e alla proclamazione dell'armistizio dell'8 settembre successivo, e le immediate numerose scelte partigiane e forti mobilitazioni di massa contro le autorità fasciste e tedesche, ne sono la prova concreta. Da qui iniziò la guerra di Liberazione. Nel bolognese, nei comuni d'antica tradizione socialista e popolare, operai, contadini, artigiani, donne, studenti e professionisti svolsero un ruolo di grande importanza: in città, sui monti e perfino in pianura (su un terreno ritenuto impraticabile per la guerriglia), ovunque fondendo nell'azione contro i nazifascisti, il braccio armato dei GAP e dei SAP, le rivendicazioni sociali ed economiche e le esigenze delle popolazioni in generale.