Schede
I contratti d'affitto a Bologna iniziavano l'8 maggio, nel giorno dedicato a San Michele. In questa data quindi non solo partivano le locazioni, ma terminavano anche. Per questo motivo ancora oggi c'è chi si ricorda il modo di dire "fare San Michele" per intendere la necessità di traslocare. In realtà in origine era la data in cui, prima della riforma dei patti agrari, scadevano i contratti di locazione per i coltivatori diretti in alcune regioni d'Italia. L'usanza fu poi successivamente applicata anche ai contratti d'affitto per le abitazioni. In altre località della pianura padana il giorno canonico era invece l'11 novembre, da cui prese il modo di dire "Fare San Martino". "Fare un san Michele" era divenuto un modo di dire molto usato tra i bolognesi, estendibile anche ad altri significati, tanto che per sintetizzare la fine del governo pontificio - avvenuto con la partenza del Cardinal Legato e degli austriaci - venne stampata una vignetta rappresentante un mulo caricato con una bandiera papalina rovinata e la scritta "Un S. Michele nel 1859".
Prendendo in esame dei contratti d'affitto bolognesi dell'ottocento si può notare come lungo tutto il secolo prevedano nella parte prestampata che sia l'inizio sia la fine della locazione avvenga l'8 maggio: nell'età napoleonica come nel periodo pontificio o nel regno d'Italia. Segno che questa consuetudine era divenuta così radicata da diventare 'legge'. Questi contratti di appartamento e di botteghe sono per lo stesso stabile collocato in Via Galliera 529/30, quindi in una zona tra le più distinte della città. Nei contratti è sempre previsto che il pagamento dell'affitto avvenga due volte l'anno, alla vigilia dell'Assunzione (ferragosto) ed alla vigilia di Natale e che in caso di mancata comunicazione la locazione sia estendibile di un ulteriore anno rispetto a quanto firmato. Pur se non prestampato, le varie proprietà degli immobili non mancavano di obbligare l'affittuario alla pulizia dei camini almeno due volte l'anno. A mano veniva poi sinteticamente descritto l'immobile e così viene riportato quello che nel 1863 viene affittato da Antonio Calegari, mandatario degli eredi di Carlo Fornasini a Pietro Gamberini: "Appartamento al piano di mezzo consistente in una Camera d'ingresso che mediante Uscio da una parte mette alla Cucina con Camino con Stuffa colla Cassetta di legno. Due Fornelli con Graticole di ferro, ed altro Sedile in disparte con Finestrini e Telari di vetri. Uno Sgombro con Sciaquattore con tre ferri murati pei Sacchi, e cose simil. Dall'altra parte mediante Uscio introducesi in una Camera da Pranzo con Camino e paracamino di tela con Assa di noce a lustro sovraposta, con Due ripostigli nelle Cantonate con Asse in dentro, con Serrature e Chiavi. Una Sala con Due Finestre, ed un'Anticamera con Camino, e paracamino di Tela colorata, che riceve lume da una Finestra che guarda nella pubblica Strada, nella qual Camera, vi sono due Bussole, che introducono in due Camere da letto l'una delle quali riceve lume mediante Finestra dlla pubb.ca Strada dopo la quale avvi altra Camera da letto annessa e poscia un Gabinetto con Finestra più piccola, con Tendina di tela colorata all'infuori, ed uno Stanzolino con suo Sciaquattore e finalmente una Camerina ad uso di Studio o (...) camera da letto. Il tutto munito di buone Finestre grandi con Telari, e (...) suoi, meno in Cucina che sono a vetri colle sue Sportelline in tutte. Persiane nelle Finestre davanti e Scuri in due parti in quelle che guardano dalla parte del pubblico Giardino, con tutti li suoi ferramenti necessari, ed opportuni, Piccola Cantina colle sue (...), e Granaro grande con altro piccolo superiormente munito pure di buone Serrature, e Chiavi. In dette Finestre dell'Appartamento vi sono li suoi ferri murati per collocarvi li Ferri a traverso per le Portiere. Oltre la cantina sudd.a vi si aggiunge altra piccola cantina dirimpetto all'altra descritta. Di più avvi una Camera nello stesso piano del Granaro, oltre il Camerino pei Polli. Dovrà il Sig.r Conduttore ogni Anno far pulire i Camini in detto Appartamento dalla Fuligine, almeno Due volte l'anno; come pure dovrà conservare detto appartamento nello stato consegnatogli, ed in caso contrario dovrà rifondere al Sig.r Locatore i danni cagionati, che si verificheranno, sperando, che non vi sarà questo bisogno, alla fine della presente locazione". Per questo immobile l'affitto concordato era di 100 scudi, equivalenti a 532 lire.
Il costo degli affitti erano un problema peristente per un'ampia fascia della popolazione. In tal senso Ercole Bottrigari ci offre una testimonianza nella sua "Cronaca di Bologna" per l'anno 1864: “Sono disponibili pel giorno 17 del prossimo Maggio 32 appartamenti di nuova costruzione, ad uso di piccole Famiglie di Operai, nel recinto presso le mura della città, fra le porte S. Isaja e Saragozza. Il prezzo delle pigioni è stabilito in L. 75 per ognuno degli appartamenti. Ciò devesi all'iniziativa della Società della Promotrice delle Case per i poveri. Quantunque il prezzo degli affitti sia meschino, in confronto di quelli che corrono, io temo che il beneficio che s'aspettavano le classi povere dalla benefica istituzione non corrisponda alle concepite speranze”.
Sono innumerevoli le cronache e i ricordi legati a queta giornata. Così viene descritta ne “Il Giornale del Mattino” del 9 maggio 1913: “Ai primi albori di ieri mattina la intera città risultava sottosopra. Le strade erano ingombre di veicoli di ogni specie e di ogni dimensione, sui quali gruppi di persone affannate ammucchiavano, cercando di assestarlo alla meglio, tutto ciò che trovavasi nelle case. Da queste uscivano facchini curvi sotto pesanti colli, domestiche spossate dalla fatica, inquilini esasperati per gli immancabili incidenti che si verificano sempre in quel trambusto. Il carattere più pacifico, nella giornata di S. Michele diventa irascibile: per un nonnulla l'inquilino che esce si accende come uno zolfanello, e le liti e lo scambio di ingiurie sono all'ordine del giorno. Queste conflagrazioni sono inevitabili quando il nuovo pignorante fa coincidere la sua entrata con l'uscita del vecchio. Per le scale avvengono urti di mobili, agglomeramenti caratteristici che fanno sudare sette camicie ai facchini, i quali si schierano dalla parte di chi li paga e colgono l'occasione per trovare nel vocabolario delle bestemmie quella che può fare migliore effetto. Assestato il carico, i veicoli cominciano a muoversi, traballando sull'ineguale selciato sospinti da ogni membro della famiglia. Ogni tanto le scosse fanno ruzzolare al suolo qualche oggetto che viene raccolto premurosamente e rimesso sulla biroccia. Se il tragitto è lungo, allora il carico non può conservare la sua incolumità e allora sono soste continue in mezzo alla via impedendo ai tram di circolare. Intanto le domestiche spazzano gli appartamenti e gettano i mucchi delle immondizie nella via come in una grande pattumiera. Bologna ha conservato nella giornata di S. Michele la caratteristica di cinquant'anni orsono. Il progresso non ha migliorato né trasformato le usanze perché la maggior parte dei cambiamenti di casa si fa a mezzo di preistorici biroccini dalle lunghe stanghe i quali non danno grande affidamento di stabilità. Qualche camion ha fatto la sua apparizione da pochi anni, ma di questo genere moderno di trasporto ben pochi possono approfittare perché non accessibile a tutte le tasche. Nella nostra città si può dire senza tema di errata che che la maggioranza degli inquilini è uccel di frasca: 1) perché i padroni di casa non vogliono più fare scritture; 2) perché gli inquilini stessi stanno sempre in vedetta in attesa di una discesa dei prezzi di affitto. Ciò che diciamo si verifica in tutti i rioni, dal povero al ricco. Nei quartieri popolari abbiamo assistito al solito spettacolo caratteristico e penoso. La miseria è scesa nella via in tutta la sua triste nudità e ci ha mostrato nelle suppellettili che si ammucchiano sui veicoli sgangherati, ciò che non si sa e non si conosce dei proprietari. Le condizioni di alcune famiglie si desumono da ciò che si vede nel S. Michele: pagliericci striminziti, materassi sottili come le ostie, mobili tarlati e zoppicanti, seggiole senza piuoli, parlano di miseria, nient'altro che di miseria. L'unico lusso che si permette la povera gente è quello di cambiare le foglie di granturco dai pagliericci. Quelle vecchie, quasi polverizzate dall'uso, vengono poste in bei mucchi simmetrici sulla via, lasciando l'incarico agli spazzini di raccoglierli nella notte, ma tutti subiscono la stessa sorte, perché sono distrutti dalla fiamma purificatrice appiccata dai monelli. Se potessero avere eguale sorte tutte le immondizie che vengono gettate sulla via l'8 maggio, sarebbe tanto di guadagnato per la decenza e il buon nome di Bologna. Non vi era arteria ieri che non fosse deturpata da una esposizione rivoltante di rifiuti di ogni genere. La città pareva trasformata in un immenso immondezzaio, in cui mostre indecorose di oggetti intimi si fondevano con tutto ciò che si può immaginare di più ributtante. Non si concepisce come dalle case possa uscire, dopo un anno, tanta dovizia di pattume. E la colpa è tutta in un'altra usanza bolognese che è quella della mancanza assoluta nelle case dei depositi delle immondizie. L'igiene, quella povera triste igiene tanto raccomandata, ha una ben curiosa affermazione l'8 maggio”.
Ancora, nel maggio 1958: "L'8 di maggio è una data tradizionale nella nostra città, ancora triste o lieta nel ricordo di molti bolognesi, e ancora in molti casi presente come una scadenza da rispettare. L'8 maggio è sempre stato per Bologna il termine in cui scadevano i contratti d'affitto e molte famiglie facevano trasloco, cambiavano casa. In una parola, ormai diventata caratterictica si faceva "sanmichele". Forse non tutti i calendari recano tale giorno intitolato a San Michele, ma per tutti i bolognesi il nome del santo aveva cquistato un significato preciso, stando in luogo di un'operazione che aveva spesso un po' il carattere dell'avventura, con quell'aspeto tra pionieristico e zingaresco che assumeva. Infatti - e quanti bolognesi non se lo ricordano! - quando qualche lustro fa la motorizzazione era ancora lontana dallo sviluppo che in seguito avrebbe così velocemente preso, i traslochi, i "samicheli", venivano fatti coi vecchi carri agricoli della campagna. Chi doveva cambiare casa si serviva allora dei contadini che venivano coi loro carri in città e prestavano la loro opera - magari aiutati dai facchini che venivano assoldati per la bisogna - in alcuni viaggi successivi per trasportare il mobilio della casa che si lasciava a quella in cui si andava ad abitare. naturalmente, poichè il giorno fissato, cioè l'8 maggio, era valido per tutti, la città assumeva un aspetto davvero singolare e pittoresco. I carri dei contadini e quelli dei "brzài", i birocciai - i quali per l'occasione abbandonavano momentaneamente il loro compito usuale di trasportatori di carichi di ghiaia o di mattoni - cominciavano ad invadere la città dalla mattina presto per popolarla in tal modo a volte fino a sera in un andirivieni che dava alla giornata un carattere che non aveva uguali. Il traffico, de tutto tipico, aveva una sua complicazione quando l'8 maggio coincideva col giorno in cui la Madonna di San Luca dal colle della Guardia veniva trasportata in processione in città, secondo una cerimonia religiosa ancor oggi molto cara al cuore dei bolognesi. In tale frangente la confusione che si veniva a creare - ad ogni petroniano, anche se non ne ha diretta memoria, può facilmente immaginarsela - era tale che ben presto si venne nella decisione di far effettuare i traslochi, in quella circostanza, soltanto al mattino. Comunque, il giorno del "Sanmichele" era piuttosto movimentato. Chi traslocava, oltre a dare una mano di persona, talora chiamava tutto il parentado, che veniva così mobilitato a sollevare vecchi mobili, arrotolare polverosi tappeti e fare un'estrema attenzione particolarmente gli specchi, che se si rompevano - ahinoi! - portava male. Il guaio cominciava quando nello stesso stabile cambiavano casa due o più famiglie. Allora gli ingorghi e l'atmosfera eccitata erano all'ordine del giorno. Peggio ancora se dalla casa in cui una famiglia andava ad abitare un'altra traslocava. Il tal caso il mobile che veniva fatto salire e quello che scendeva creavano nel bel mezzo delle scale un motivo di liti saporose per chi non ne era direttamente interessato. lo spettacolo forse più curioso, poi, lo si aveva all'aperto, con questi mobili appena assicurati al carro con funi o magari dalle spalle del facchino che vi si appoggiava contro per tutto il tragitto. sedie rovesciate l'una sull'altra, mobili stipati in un intrico tale che non li si sarebbe pià potuti riconoscere, suppellettili varie buttate alla rinfusa nell'unico angolo disponibile. Spesso non bastava un solo viaggio e in tali casi chi si divertiva veramente era il ragazzino di casa che, installato a bordo dello strano veicolo, fantasticava travolgenti cariche di pellirosse. Era un giorno, in fondo, in cui una sensazione di letizia pervadeva anche coloro cui più doleva di dover lasciare una casa abitata magari per tanti anni, con tanti ricordi che vi restavano legati. Ed era perchè nella nuova casa che li aspettava ognuno affidava nuove speranze, l'augurio di una vita migliore. I muri ancora odorosi di calcina della nuova abitazione accoglievano, così, i nuovi smarriti inquilini, che, una volta rimasti soli nella casa appena inaugurata, non potevano nascondere la loro commozione. Ma prima di questo momento raccolto, era stata una vera festa. Si usava, infatti, dopo aver sistemato l'ultimo mobile o l'ultima suppellettile, chiamare intorno al tavolo tutti quanti avevano collaborato all'operazione -trasferimento, contadini facchini o "bruzài", e mangiare e brindare allegramente insieme alle fortune della nuova casa. Poi, sempre più sostituiti i vecchi carri agricoli da camion e camionette, questo mondo somparve. E se è vero che tuttoggi la data dell'8 maggio resta una consuetudine ancora seguita, è non meno vero che molto spesso si cambia casa in qualsiasi momento dell'anno. Comunque, il trasloco avviene in modo che quasi più nessuno se ne accorge. Resta, abbastanza radicato, il vecchio modo di dire: fare sanmichele".
Nel 1939 Mario Sandri in "Soste sotto le torri" (Testa ed.) ricorda come a quell'epoca "il grosso furgone a imbottiture fermo dinanzi al portone di casa, il vagone merci issato sul carrello a ruote gommate non danno la vera idea del "Sanmichele" bolognese. Troppo festosi, troppo raffinati, questi veicoli del nuovo tempo e anche la mobilia che si accumula sotto il portico - specchiere, marmi, scaffali, antiche tele di famiglia, ampi divani dalle volute architettoniche - ha un tocco di prosopopea insolente, d'inverosimile vanagloria". Segno che il diffondersi di un maggiore benessere e quindi di chi poteva permettersi l'acquisto di un immobile, stava spegnendo la tradizione. D'altronde un caro amico di Sandri, Alessandro Cervellati, nel 1963 scriverà come nella pratica "oggi l'8 maggio è una data che non significa nulla", se non un ridordo delle persone più anziane o un modo di dire popolare.