Scheda
Scultore pratese a cavallo fra Settecento e Ottocento, allievo di Canova e rappresentante di assoluto rilievo del Neoclassicismo, periodo che esprime gli ideali patriottici ed eroici della Rivoluzione Francese e arte ufficiale dell’Impero Napoleonico. Le sue opere scultoree sono considerate l’esempio più alto compiuto di un’armonica fusione di naturalezza, perfezione formale ed espressione di valori culturali e morali integrati. Con il suo lavoro lo scultore documenta da una parte una certa morbidezza delle linee, dall’altra un grande verismo. La sua formazione lo vede dapprima a Parigi, in età napoleonica, dove si recò nel 1799 e studiò insieme ad Ingres nell’atelier di David, caposcuola del Neoclassicismo europeo. Fu direttore del Banco Elisiano per la scultura e professore nell’Accademia di Belle Arti di Carrara. Nel 1807 fu proposto come direttore della Scuola di Scultura dell’Accademia di Belle Arti a Carrara, che Elisa Bonaparte, allora Granduchessa di Toscana e moglie di Felice Baciocchi, riorganizzava come una manifattura di Stato, destinandola soprattutto a riprodurre, su larga scala, i ritratti dell’imperatore e dei suoi familiari. Nel 1812 venne nominato socio onorario dell’Accademia di belle arti di Firenze e in tale veste tenne lezioni agli allievi dell’istituzione.
Nel 1820 ottenne la commissione di un monumento in memoria di Elisa Baciocchi, morta in quell’anno, per il quale immaginò un gruppo allegorico di Elisa come “ La Magnanimità che abbraccia il suo destino”. Durante la lavorazione nel marmo destinato alla statua di Elisa apparvero alcune venature nere che ne deturpavano il volto, ma il principe Felice, suo marito, non volle ripagare la spesa di un nuovo blocco di marmo, sostenendo anzi che questo sarebbe stato un obbligo dell’artista quale segno di riconoscenza verso la sua antica benefattrice. Ancora nel 1833 Felice attendeva l’arrivo dell’opera. Da questo nacque una disputa che impedì la realizzazione del monumento quale era stato concepito in origine e pregiudicò anche una successiva commissione per il monumento funebre dei principi Baciocchi, per il quale Bartolini eseguiva, negli anni ’20, un basamento a forma di duplice sarcofago ed un coronamento con lo stemma tra ghirlande di fiori sorrette da fanciulli. Queste parti furono infatti utilizzate per comporre il monumento della cappella Baciocchi in San Petronio a Bologna, eseguito da Cincinnato Baruzzi nel 1845, e la statua di Elisa fu venduta al marchese Massimiliano Malvezzi Angelelli, che la pose sulla tomba della sua famiglia, all’interno della Sala del Colombario presso la Certosa di Bologna. Nella città felsinea sono presenti altri due suoi busti in marmo presso il Collegio di Spagna, ritraenti Francesca Caillard ed il marito Diego Peñalver y Cárdenas.
Il Bartolini, negli stessi anni scolpì un monumento per Maria Luisa di Borbone, divenuta con la Restaurazione duchessa di Lucca, che fu collocato nella piazza principale di quella città solamente nel 1843, nonostante la commissione risalisse a vent’anni prima. Nel 1824 era terminato il modello in gesso per il gruppo rappresentante la “ Carità Educatrice” destinato alla villa di Poggio Imperiale, la cui traduzione in marmo venne collocata a Palazzo Pitti nel 1836. Maestro indiscusso del naturalismo e ormai celebre, viene chiamato alla cattedra di scultura dell’Accademia Fiorentina, nel 1839. Il maestro dimostrò subito di voler rinnovare molti aspetti della precedente prassi didattica con un continuo uso di modelli nudi e nel proporre agli allievi un modello non perfetto e bello, ma deforme. Bartolini visse gli eventi di rinnovamento impetuoso nella politica e nelle arti che caratterizzarono il suo periodo storico.
Alcune composizioni bartoliniane, proprio per la loro complessa organicità espressiva, sembrano esulare dalla suddivisione convenzionale delle arti di memoria rinascimentale, come il monumento per Maria Luisa di Borbone nella piazza di Lucca o il gruppo per il principe Demidoff per San Donato e, per questo, vengono considerate molto più che “opere scultoree” perché sembrano essere episodi legati al contesto architettonico e urbanistico. Nella mente di Bartolini, che non a caso di professione si definiva “ statuario”, le idee figurative non nascevano in termini di linee e di contorni, bensì di forme concretamente tridimensionali. Si può dire che non utilizzò il tradizionale metodo per arrivare a quegli equilibri, preferiva invece lunghe meditazioni e pazienti ricerche formali, le quali caratterizzano i suoi lavori scultorei migliori. I disegni lasciati dall’artista non hanno mai costituito oggetto di indagine scientifica ad eccezione di qualche foglio pubblicato in articoli di argomento non specifico o comparso in mostre antologiche dell’800, come quella curata da Carlo del Bravo per il Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi. Il nucleo più importante di molti lavori studiati è senza dubbio quello composto da un centinaio di fogli e da nove taccuini, ma non è possibile definire un profilo abbastanza coerente e articolato di Bartolini disegnatore. Un ulteriore contributo alla documentazione dell’attività grafica di Bartolini è stata data da vari collezionisti privati italiani e stranieri.
Per concludere questo sunto sull’attività dello scultore pratese è necessario puntare l’attenzione sulle vicende che ebbero come protagonisti gli allievi dello scultore, i quali per diversi anni incentrarono il loro lavoro sulla sistemazione dell’operato del proprio maestro. Da un articolo di Guglielmo Enrico Saltini su ‹‹La Nazione››, del Dicembre 1881, si evince che gli eredi dell’insegnamento di Bartolini entrarono presto in trattative con Napoleone III per la vendita a lui dell’intera gipsoteca, trattative interrotte per la morte dell’ex Imperatore, scomparso nel 1873. In questo scritto Saltini lamentava lo stato d’abbandono in cui si trovavano i modelli in gesso. L’articolo favorì i contatti fra la Direzione delle gallerie fiorentine e gli eredi dello scultore; tali contatti furono alimentati da un altro avvenimento: l’intenzione di istituire il Museo dei Gessi nell’ex Museo Egizio Etrusco, unendo così i modelli di Bartolini con quelli di Duprè, morto nel 1882. In vista di questo progetto fu stipulata una convenzione nel 1883 in base alla quale venivano consegnate alle Gallerie di Firenze ‹‹a titolo di semplice deposito […] la intiera raccolta de’ Gessi originali dello scultore Lorenzo Bartolini esistenti nell’antico studio di lui in Borgo San Frediano››. Ben presto si definirono i dettagli e si giunse alla compilazione di due elenchi distinti per gessi depositati nei locali San Salvi e per quelli sistemati nel Cenacolo di Fuligno, pezzi giudicati più importanti. Per migliorare la presentazione al pubblico si pensò di trasferire i pezzi più rilevanti all’Arancera nel giardino del Palazzo della Crocetta in Via della Colonna. Nel 1887 furono avviate le trattative per il definitivo acquisto da parte dello Stato di tutti i gessi bartoliniani, sempre allo scopo di formare il nucleo principale del Museo dei Gessi. Tali trattative si conclusero con il Decreto Ministeriale del 17 Settembre 1889 con il quale veniva decisa la compera dell’intera gipsoteca di Lorenzo Bartolini per la somma di Lire 12.000, a cui dovevano contribuire lo Stato all’ammontare di Lire 10.000 e la Provincia e il Comune di Firenze per la somma restante3. Nel 1966 un’alluvione colpisce la Gipsoteca San Salvi e dagli anni ’70 iniziò un intenso periodo di restauri.
Elena Spirandelli
Estratto da: Elena Spirandelli, Problematiche di conservazione del monumento funebre di Elisa Bonaparte “Pallade e il Genio della Gloria” (opera di L.Bartolini). Tesi di laurea in Diagnostica e conservazione di opere d’arte moderna e contemporanea, Anno Accademico 2009/2010.