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Roberto Vighi

7 maggio 1891 - 9 Settembre 1974

Scheda

Roberto Vighi, da Alberto e Rosa Linda Denicotti; nato il 7 maggio 1891 a Monaco di Baviera (Germania). Nel 1943 residente a Bologna. Laureato in giurisprudenza. Avvocato.
Iscritto al PSI dal 1911. Prima della guerra mondiale, quando frequentava l'università di Bologna, fu dirigente della FGSI e collaboratore de "La Squilla". Nel 1917 fu richiamato alle armi e prese parte al conflitto con il grado di tenente, anche se era escluso dal quadro di avanzamento perché socialista e neutralista.
Nel 1919 fece parte della Missione militare italiana a Vienna. Congedato nel 1919, con tre decorazioni, riprese l'attività politica e forense. Nel 1921, dopo la scissione comunista, assunse cariche direttive nel PSI. Nel maggio, in occasione delle elezioni politiche, pubblicò il saggio “In tema di elezioni”, nel quale individuò e analizzò la vera natura del fascismo quale reazione antiproletaria della borghesia e fenomeno non solo italiano, ma internazionale. In quegli anni, e sino alla metà degli anni Trenta, difese centinaia di coloni costretti a fare ricorso al tribunale per ottenere l'applicazione dei patti conquistati nel 1920, dopo la lunga agitazione agraria conclusasi con il Concordato Paglia-Calda. Per questa sua attività politica e legale a un tempo, subì numerose aggressioni fasciste a Bologna, oltre che a Imola, Vergato e Porretta Terme dove si recava per le cause agrarie che si tenevano in quelle località. Il suo studio fu più volte perquisito e messo a soqquadro dalla polizia, con gravi conseguenze sul piano professionale.
L'ultima bastonatura la subì il 30 agosto 1925, mentre si recava alla stazione ferroviaria, perché si era rifiutato di acquistare il settimanale fascista "L'Assalto". Davanti ai tribunali difese numerosi antifascisti, tra i quali il dirigente comunista Celso Ghini. Dopo l'avvento della dittatura fu sottoposto a continua sorveglianza. Il 29 settembre 1927 venne fermato e diffidato perché in corrispondenza con Giulio Miceti, allora confinato a Ustica (PA) e al quale aveva espresso «sentimenti di solidarietà».
Nel 1930 la prefettura di Bologna lo incluse nell'elenco degli Oppositori della provincia, con questa descrizione: «E’ socialista e gode di un certo prestigio personale per la sua cultura e capacità. E di sentimenti ostili al Governo Nazionale e si mantiene in corrispondenza epistolare con altri sovversivi colpiti da provvedimenti di polizia». Il 10 maggio 1931 fu schedato e classificato di «3ª categoria», quella delle persone considerate politicamente più pericolose. Nella stessa occasione il prefetto informò il governo che i socialisti bolognesi svolgevano una notevole «attività organizzativa a carattere clandestino» e che «Questa organizzazione farebbe capo a Bologna all'avv. Roberto Vighi, il quale, essendo poco noto come uomo politico, avrebbe la possibilità di muoversi molto come avvocato». Concludeva il rapporto: «Trattasi di elemento intellettuale di convinta fede socialista ed irriducibilmente avversario al Regime». Nel 1932 - dopo la condanna a 30 anni di reclusione di Mammolo Zamboni e Virginia Tabaroni, padre e zia del martire antifascista Anteo Zamboni - redasse un circostanziato memoriale nel quale demolì il processo. Lo consegnò a Leandro Arpinati - massimo esponente del fascismo bolognese - invitandolo a farlo avere a Mussolini. Arpinati lo portò a Roma e, al termine di un tempestoso colloquio con il dittatore - che segnò l'inizio della sua disgrazia politica - ottenne la grazia per i due condannati.
Nel 1934 inviò 500 lire a Giuseppe Massarenti - frutto di una sottoscrizione tra compagni - e subito fu fermato e diffidato dalla polizia. Lo stesso anno il prefetto informò il governo che era in contatto «con elementi politicamente sospetti» all'interno dell'azienda municipalizzata del gas e nel 1936 che era solito parlare apertamente delle forze antifranchiste in Spagna. Sempre nel 1936 il prefetto segnalò che «non si è finora iscritto nemmeno al sindacato di categoria» degli avvocati, oltre che al PNF, e che aveva «partecipato ai funerali della nota comunista Giaccaglia Lea», moglie di «Betti Paolo noto comunista».
Il 31 marzo 1939, quando morì l'avv. Eugenio Jacchia con altri 72 avvocati firmò il necrologio apparso l’1 aprile su "il Resto del Carlino". Il 3 aprile, su invito degli avvocati Sergio Neppi e Ugo Lenz, chiese la parola e commemorò Jacchia durante un'udienza della prima sezione della corte d'appello. Dopo avere ricordato i suoi meriti di irredentista e di avvocato, aggiunse che era stato un «assertore e propugnatore di sentimenti di libertà e giustizia nazionale e sociale». Il 10 aprile Mussolini ordinò di arrestarlo, come risulta dalla documentazione conservata nella sua scheda presso il Casellario politico centrale. La carcerazione durò dal 13 aprile alla fine del mese, quando gli fu comunicato che il 22 aprile la Commissione provinciale di polizia lo aveva assegnato al confino per un anno. Avrebbe dovuto andare ad Agropoli (SA). Sia l'abitazione sia lo studio erano stati nel frattempo perquisiti da cima a fondo. Il 30 aprile, alla vigilia della partenza, Mussolini revocò l'assegnazione al confino e lo fece rimettere in libertà. Il Sindacato fascista avvocati e procuratori, dopo avere ordinato di ritirare la tessera del PNF a 24 avvocati firmatari del necrologio, iniziò un procedimento disciplinare nei suoi confronti. Dopo un giudizio sommario, nel corso del quale non fu convocato per cui non potè discolparsi, il Sindacato - al quale non era iscritto - gli comminò la censura. Ricorse alla Commissione nazionale degli avvocati e la censura fu trasformata in avvertimento. Nel settembre 1942, nello studio di Carmine Mancinelli, partecipò alla riunione dei dirigenti socialisti bolognesi per riorganizzare la federazione del PSI.
Ai primi di agosto del 1943, nel suo studio in via Santo Stefano 18, si tenne la riunione che, presente Pietro Nenni, decise la riunificazione tra PSI e MUP, dalla quale nacque il PSUP.

Con l'inizio della lotta di liberazione si trasferì a Imola e fece parte del gruppo dirigente del partito, anche se fu costretto - avendo una conoscenza perfetta del tedesco - a fare da interprete presso alcuni comandi dell'esercito invasore. Quando riuscì a sottrarsi a questo sgradito compito, rientrò a Bologna e fu nominato rappresentante socialista nella commissione giuridica del CLN, il cui compito era quello di predisporre i provvedimenti di legge da applicare nel dopoguerra.
Tenne i rapporti con Ennio Tassinari che guidò a Bologna una missione dell'OSS. Curò inoltre - con la collaborazione di Giuseppe Bentivogli, già dirigente dei lavoratori della terra - il decreto legge che prevedeva la restituzione del «maltolto» alle cooperative.
Militò nella brg Matteotti Città e fu deciso fautore della lotta armata contro i nazifascisti, per cui si battè contro le posizioni attendiste, sia dentro che fuori del partito. Il giorno della Liberazione con Leonildo Tarozzi curò la pubblicazione del primo numero de "La Rinascita", il giornale del CLN regionale. Scrisse l'articolo di fondo, uscito anonimo, dal titolo "8 agosto 1948 - 21 aprile 1945". IL 14 giugno il CLN e l'AMG, su designazione del PSI, lo nominarono vice presidente della Deputazione provinciale, l'attuale Consiglio provinciale. Il CLN lo nominò membro del consiglio del rinato Ordine degli avvocati e consigliere della STEB, la cooperativa costituita tra i dipendenti de "il Resto del Carlino".
Riconosciuto partigiano. Il suo nome è stato dato a una strada di Bologna.
Ha pubblicato: In tema di elezioni, Bologna 1921; Anteo Zamboni nel ventennale del suo olocausto: 31 ottobre 1926-31 ottobre 1946, Bologna 1946; L’attentato a Mussolini del 1926 e il processo Zamboni in Storia dell’antifascismo italiano, a cura di L. Arbizzani, F. Bonazzi del Poggetto, N.S. Onofri, Bologna, 1984; Per il socialismo, l'antifascismo, le autonomie, a cura di L. Arbizzani, F. Bonazzi del Poggetto, N.S. Onofri, Bologna 1984, pp.485. (Ristampato nel 1997 con il titolo Il multiforome volto della patria. Scelta di scritti e discrosi dal 1914 al 1970).Testimonianza in RB1. [O]