Terzi Vittorio

25 novembre 1888 - [?]

Note sintetiche

Occupazione: Sacerdote

Scheda

Vittorio Terzi, da Giovanni e Anna Riccardi; nato il 25 novembre 1888 a Bologna; ivi residente nel 1943. Gesuita.
Nel 1942 venne nominato cappellano delle aziende Pignone, Galileo, Manifattura tabacchi, ma operò in particolare per i dipendenti dell'Azienda nettezza urbana di Firenze. La sua naturale spontaneità, il suo immediato contatto con le persone gli facilitarono il compito con gli operai organizzando per loro attività ricreative e culturali. Per questa sua prodigalità verso le categorie più bisognose, divenne un «sorvegliato speciale del fascismo» tanto da costringerlo a limitare la sua attività.
Diresse contemporaneamente l'Opera per i ragazzi del popolo sino al 25 settembre 1943, quando un bombardamento danneggiò fortemente i locali del collegio.

Su proposta del cardinale Della Costa, il Collegio divenne rifugio di ebrei polacchi e cecoslovacchi che, con l'aiuto di militare italiani, attraverso la Francia erano riusciti a sfuggire alle persecuzioni. Su delazione, il rifugio venne scoperto e tutti gli ospiti furono catturati. Nonostante le proteste del Cardinale Della Costa, nessun ebreo potè essere liberato. Ricercato dalla polizia fascista, nella primavera 1944 venne a Bologna per una serie di conferenze al clero.
A seguito del bombardamento della Direttissima Bologna-Firenze, rimase ospite di villa San Giuseppe sino alla Liberazione della città. Incominciò ad avere contatti con Pier Raimondo Manzini e, tramite Manzini, conobbe Paolo Fortunati con il quale ebbe discussioni «sempre franche e serene sui grandi problemi del mondo moderno e sull'impegno dei cattolici nella lotta resistenziale e politica».
A San Luca incontrò Giuseppe Dozza, che gli fu presentato con lo pseudonimo di Ducati. Nel frattempo Villa San Giuseppe e il Santuario di San Luca divennero luogo per sfollati e ricercati, nonostante la presenza dei tedeschi. Si occupò in particolare dei rastrellati toscani e, in contatto con don Giulio Salmi, riuscì a far evadere dalle Caserme rosse un rastrellato fiorentino, padre di famiglia, poi ospite presso una famiglia bolognese sino alla liberazione.
Con Manzini insistette perché "L'Avvenire d'Italia" sospendesse le pubblicazioni e perché venisse smontata tutta l'attrezzatura del quotidiano per evitare che altri potessero impossessarsene. Nonostante il pericolo di essere accusati dai nazifascisti di sabotaggio, ritenne che fosse necessario correre il pericolo per «liberare la nostra responsabilità di fronte al pubblico cattolico soprattutto per non essere accusati di collaborazionismo». [AQ] Testimonianza in RB1.

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