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Renato Tartarotti

26 Gennaio 1916 - 2 Ottobre 1945

Scheda

Renato Tartarotti, da Stellino e Azzoni Argia, nato a Mantova il 26 gennaio 1916. 
Abbandonata presto la scuola, si dedicò al mestiere di venditore ambulante di frutta.
Nel 1934 si iscrisse al corso allievi sottufficiali di Bologna e venne promosso presto al grado di sergente, quindi l’anno successivo si arruolò come volontario nella divisione granatieri-mitraglieri “Savoia” inviata in A.O.I. dove partecipò a diverse azioni di guerra.
Tornato a Bologna, ottenne lavoro nell’azienda Petroncini come rappresentante fino al 1939.
Nel 1942 venne reclutato come sergente maggiore ed inviato in zona jugoslava (Croazia e Slovenia), ma dopo l’armistizio del settembre 1943, ritornò a Bologna per iscriversi al neonato Partito Fascista Repubblicano ed arruolarsi prima nella polizia federale e poi in quella ausilliaria.
Comandato dal capitano Cesare Simula, venne incaricato del servizio di vigilanza all’Hotel Baglioni.
Il questore di allora Tebaldi, rimasto impressionato dal temperamento di Tartarotti, lo nominò sua guardia del corpo e uomo di fiducia.
Dopo l’omicidio del Federale Eugenio Facchini, su input di Alessandro Pavolini, si decise di adottare il sistema nazista di vendetta e quindi di trucidare dieci prigionieri per ogni nazifascista ucciso.
Nove detenuti politici, vennero quindi prelevali dalle carceri di S. Giovanni in Monte per essere fucilati al Poligono di Tiro da un plotone comandato proprio da Renato Tartarotti. Durante la traduzione, il tentativo di fuga di alcuni prigionieri causò il ferimento di Tartarotti, il quale come reazione trucidò 3 detenuti immediatamente, mentre gli altri seguirono la stessa sorte pochi istanti dopo davanti al plotone di esecuzione.
A seguito di questo fatto, Tartarotti venne premiato dal questore Tebaldi con la promozione al grado di sottotenente e divenne incaricato per trovare nuove vittime da giustiziare a seguito della politica repressiva del “dieci per uno”.

Dopo essersi “distinto” per numerose azioni di tortura ed esecuzioni sommarie, Tartarotti viene promosso per «meriti eccezionali» dal questore Tebaldi, prima tenente, poi capitano e successivamente comandante con pieni poteri, di un reparto autonomo della polizia ausiliaria (C.A.S.).
In seguito alla nomina a sottotenente Tartarotti fu inviato, a fine marzo del 1944, a Sassuolo per prender parte a una scuola di addestramento, dove conobbe molti dei suoi militi più fidati. Nell’aprile 1944 ottenne da Tebaldi l’incarico di recarsi, con un reparto di circa 60 agenti tra ausiliari ed effettivi, nel territorio della Questura di Arezzo per fornire aiuto militare. In Toscana, la sua squadra presidiò il paese di Loro Ciuffenna e a San Giovanni Valdarno e comandò su ordine del questore di Arezzo, il plotone che fucilò tre partigiani.

La Compagnia autonoma speciale (C.A.S.) fu una delle otto principali squadre “autonome” attive durante il periodo della Rsi e fu l’unica a operare a Bologna. Creata nel giugno 1944, si acquartierò nella residenza del questore, Villa Camponati in via Siepelunga. Qui si istituì una sorta di «seconda questura che si occupava di fatti politici» e che, «se anche amministrativamente era autonoma, funzionalmente dipendeva dal Questore e ne costituiva il corpo di guardia». La compagnia infatti era comandata da Tartarotti, ma riceveva ordini anche da Tebaldi che «aveva sul Tartarotti piena autorità sia di diritto che di fatto». in pochi mesi seminò il terrore tra la popolazione combattendo atrocemente la Resistenza con catture, rastrellamenti, fucilazioni sommarie e arresti a cui seguivano torture di ogni tipo.
Fu lui a denominare la piazza Nettuno “luogo di ristoro” per le frequenti fucilazioni avvenute.
Gli arrestati dalla C.A.S. venivano sottoposti a duri interrogatori in cui Tartarotti e i suoi agenti infliggevano loro terribili torture: i detenuti erano percossi con guantoni da boxe, cinghie di cuoio, bastoni e spranghe di ferro in tutto il corpo, ma specialmente ai piedi e al volto (in particolare gli occhi venivano punzecchiati con spilli fino a far perdere la vista ai malcapitati). Tali torture ordinate da Tartarotti e da Tebaldi spesso portavano alla morte degli arrestati.
Il capitano era inoltre solito infliggere dure punizioni anche ai suoi agenti che quando si rifiutavano di obbedire ai suoi ordini venivano puniti con la tortura del palo. Tale pratica consisteva nel legare il ribelle a un palo posto all’esterno della villa sotto il sole senza cibo né acqua.
Il reparto però non si occupava solo di reprimere la lotta partigiana (arrestando, maltrattando, torturando, eseguendo rastrellamenti e fucilazioni) ma realizzò anche, come emerge per esempio dai numerosi capi di imputazione di Tartarotti, molte rapine aggravate, requisizioni ed estorsioni.
Un caso esemplare riguardante le modalità di operare del reparto, le torture praticate agli arrestati e l’attività di requisizione di beni è quello di Remo Ruggi, accusato di trafficare in oro.
Il 30 luglio 1944, con lo scopo di smascherare l’attività illecita, alcuni agenti finsero di essere interessati al commercio di oro e contattarono la vittima. Con tale pretesto Tartarotti e i suoi uomini perquisirono il suo esercizio commerciale e la sua abitazione e, pur non avendo trovato prove sufficienti, arrestarono i titolari della tabaccheria: Ruggi e suo cognato. Li portarono nella sede del reparto ove alcuni agenti comandanti da Tartarotti e Tebaldi li interrogarono e li percossero con guantoni da boxe e leve di ferro. Si accanirono su Ruggi con una tale ferocia che furono costretti a portarlo all’ospedale dove, poco dopo il suo arrivo, nella mattina del 31 luglio 1944 morì per le gravi lesioni riportate.
In seguito a tale episodio Tebaldi, per occultare la vicenda, fece redigere un falso rapporto in data 2 agosto 1944 in cui si riferiva che alcuni agenti avevano rinvenuto Ruggi gravemente ferito in un fosso. Ma il figlio del defunto tabaccaio, anche in qualità del suo ruolo di sottotenente della Decima Mas, chiese spiegazioni al questore, che, messo di fronte al misfatto, fu costretto a comprare il silenzio del giovane dopo alcune trattative.
Le torture inflitte al tabaccaio in soli due interrogatori furono così bestiali da ridurlo in poche ore (dalla mattina alla sera) in uno stato che agli agenti apparve come comatoso. Va precisato che questo arresto, seguito da barbari interrogatori, venne effettuato per verificare una semplice, seppur grave, accusa di contrabbando e non per una collaborazione politica o militare con i partigiani.

Nel settembre 1944 il questore Tebaldi venne trasferito a Trieste e il suo posto fu ricoperto dal questore Fabiani, che non aveva buoni rapporti con Tartarotti: A seguito di questo cambio di dirigenza, Tartarotti ed i suoi uominisi trasferirono sul lago di Garda. 
Nel 1945, a seguito di una denuncia per la gestione finanziaria della C.A.S. (estorsioni, soprusi e rapine) dello stesso Tebaldi, Tartarotti fu arrestato con i suoi uomini e condotto nel carcere di Brescia, dove però evase.
Catturato di nuovo dalle formazioni GAP in Val Trompia, venne ricondotto nel carcere dell’Arsenale sempre a Brescia.
Il vice commissario Osvaldo Pinivenuto a conoscenza del luogo di detenzione, ricondusse Tartarotti a Bologna ed essere giudicato dalla Corte d’Assiste Straordinaria di Bologna.
Il giorno 3 luglio 1945 venne celebrato il processo a carico di Renato Tartarotti e di tre suoi complici. 

La sentenza di condanna vide:

TARTAROTTI RENATO condannato alla pena di morte mediante fucilazione alla schiena;

MOLMENTI ALESSANDRO, condannato alla pena di morte mediante fucilazione alla schiena:

GAMBERINI ALBERTO, condannato a 30 anni di reclusione;

GAMBERINI PAOLO, condannato a 8 anni e 4 mesi di reclusione.

L'unica esecuzione fu però quella di Tartarotti che si consumò il 2 ottobre 1945 al poligono di tiro di Bologna.

10 giugno 2022