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Storia di un pilastrino

1945

Schede

In via San Carlo° 1331, all’ingresso della stradina che porta al centro Ca’ Nova, c’è un pilastrino dedicato alla Madonna di San Luca, lì costruito dagli abitanti della zona subito dopo la Liberazione di Medicina, per ricordare e ringraziare la Madonna per lo scampato pericolo. La sua è una storia singolare, che vale la pena di ricordare anche perché mi sono reso conto di essere ormai uno dei pochi rimasti fra quelli che hanno partecipato a questo evento. Me ne sono reso conto in particolare quando – in occasione dell’anniversario della Liberazione – mio nipote (coinvolto a scuola in un progetto portato avanti dall’A.N.P.I.) ha letto in pubblico la mia testimonianza sulla liberazione di Medicina in cui appunto parlavo anche del pilastrino ed in tanti mi hanno poi fermato per chiedermi spiegazioni: quasi nessuno conosceva questa storia! Ecco perché ho pensato di scriverla per fissare nel tempo una testimonianza importante e significativa di quel periodo.

Nel 1945 io ero piccolo – avevo 4 anni – e vivevo nella stessa casa in cui sto adesso, in via San Carlo. La mia casa faceva parte del gruppo di case denominato “Roslè” (ecco perché nell’iscrizione del pilastrino c’è la dicitura “popolo di Roslè”). Delle famiglie che abitavano vicino a me ricordo la famiglia Olivieri (proprietari e costruttori del rifugio di cui parlerò), la famiglia Bassani (ricordo in particolare Antonio che raccontava sempre storielle divertenti) e la famiglia Cavazza (Dino abita ancora – come me – nella stessa casa di allora ed è stato l’autore della lapide tuttora inserita nel pilastrino). Al di là del nostro campo, nel cortile del nostro vicino Olivieri (padre della Benedetta) era stato costruito un rifugio antiaereo molto ben strutturato: profondo 3 o 4 metri, con le pareti di mattoni, il tetto ricoperto dalla terra che era stata estratta (per mimetizzarlo dall’alto) e una gradinata che portava alla porta d’ingresso. Lì correvamo a rifugiarci ogni volta che si sentiva l’allarme, cioè prima di ogni bombardamento. Eravamo sempre circa una decina di persone, fra cui alcuni bambini: la Benedetta, la Sara, la Vanna ed infine io che ero il più piccolo e, quindi, il più coccolato. Dentro al rifugio c’erano dei giacigli dove potevamo anche dormire, insomma c’era tutto il necessario e noi bambini potevamo anche giocare.

Di tanto in tanto – quando il pericolo sembrava essere passato – facevamo dei giretti fuori, anche per controllare un po’ la situazione. Un giorno io uscii, tenuto per mano dalla Benedetta che era più grande e doveva “badarmi” ed era molto preoccupata per la responsabilità. Aveva ragione perché ero molto irrequieto! Infatti ad un certo punto riuscii a sfuggirle, attirato da un luccichío fra l’erba. Con l’incoscienza tipica dei piccoli, corsi subito ad afferrare quell’oggetto misterioso, mentre, spaventatissima, Benedetta urlava (invano): “No, no, non toccare niente!”. Avrebbe potuto infatti essere qualcosa di pericoloso, ma fortunatamente si trattava solo di una specie di targhetta metallica su cui era raffigurata l’immagine della Madonna di San Luca. Fiero del mio “tesoro” tornai nel rifugio e la mostrai a mia madre ed agli altri, che interpretarono questo ritrovamento come un segno della protezione divina. Ed io mi sentii importantissimo! Subito l’immaginetta sacra fu messa su una specie di altarino e divenne la nostra “protettrice”. Davanti a lei tutti pregammo durante le ore di angoscia trascorse lì dentro sotto i bombardamenti. E venne il fatidico 16 aprile 1945, il giorno della battaglia per la liberazione di Medicina. Tutti noi eravamo chiusi nel rifugio, mentre sopra di noi si scatenava l’inferno. Pensavamo di essere al sicuro ma ben presto capimmo che invece eravamo finiti in una trappola e solo un miracolo avrebbe potuto salvarci… Era successo infatti che i tedeschi avevano posizionato la mitragliatrice antiaerea proprio sulla collinetta di terra che copriva il nostro rifugio. Così noi eravamo diventati un obiettivo militare ed una bomba avrebbe potuto colpirci da un momento all’altro.

Furono ore di vero terrore. Noi bambini ci tappavamo le orecchie per non sentire quei terribili suoni: il crepitio della mitragliatrice, il rombo degli aerei, il sibilo delle bombe. C’era chi piangeva, chi si abbracciava, chi si lamentava e chi invece pregava senza sosta davanti all’immagine della Madonna messa sull’altarino. Ad un certo punto la mitragliatrice tacque ma continuò il rombo degli aerei. Poi più niente. Nel silenzio ci guardammo in faccia, incerti, non sapevamo che fare. Nessuno certo pensò di uscire. Restammo nel rifugio tutta la notte. Al mattino sentimmo bussare. Le mamme subito ordinarono a noi bambini di andarci a nascondere sotto i letti. Io feci finta di obbedire, ma subito strisciai fuori per guardare. Apparvero degli strani soldati, con la faccia nera e la scimitarra sguainata in mano. Un altro spavento! Ma erano soldati alleati che, visto che fra noi non c’erano soldati, subito rinfoderarono le armi e ci rassicurarono: “Tranquilli, tutto finito!”. Uno di loro sorrise guardandomi e mi offrì una cioccolata, dicendo: “Io bono!”. Allora le altre mamme chiamarono fuori le bambine. L’incubo era finito! Ci sentimmo miracolati, vista la situazione, ed il nostro primo pensiero, una volta tornati alle nostre case, fu di ringraziare la Madonna che ci aveva protetto. Per questo, qualche tempo dopo, è stato costruito il pilastrino in cui è stata messa un’immagine della Madonna di San Luca. Non è l’immaginetta che avevo trovato io, ma un’altra, più grande che siamo andati a prendere proprio a San Luca, tutti insieme, a piedi, con qualche bicicletta su cui trasportare i piccoli, come me! Ricordo ancora quello straordinario pellegrinaggio, un viaggio lungo e difficile fra le rovine dei paesi bombardati, una vera avventura! Ma sentivamo di doverlo fare. Nel pilastrino sotto l’immagine benedetta c’è una lapide su cui è scritta la dedica: Il popolo di Roslè riconoscente alla B.V. di S. Luca per la materna protezione nel furibondo passaggio di guerra. Per anni, davanti a questo pilastrino, nel mese di maggio è stato recitato ogni sera il Rosario. Ricordo che toccava a noi bambini andare di casa in casa con una campanella per chiamare le persone. Era una bella occasione anche per ritrovarci, soprattutto per noi bambini, poi, una volta cresciuti, sono nate lì, intorno a quel pilastrino, le prime simpatie e le prime “cotte” adolescenziali. Il pilastrino era sempre ben tenuto: c’era chi pensava a mettere fiori freschi davanti alla Madonna ed inoltre era stata piantato un roseto rampicante che, proprio in maggio, lo rendeva speciale con una stupenda fioritura di grandi rose bianche. Ricordi bellissimi per tutti noi del posto.

Poi, piano piano, le cose sono cambiate: noi siamo cresciuti, gli adulti sono invecchiati e alcuni morti, molti si sono trasferiti ed al loro posto sono venute nuove famiglie. Sono cambiati i rapporti e le abitudini di vita ed il pilastrino è stato abbandonato, quasi dimenticato. Addirittura, in tempi recenti, quando si sono fatti i lavori di asfaltatura dello stradellino, gli sono stati posizionati proprio davanti due pali: uno segnaletico e uno per l’illuminazione, e a questi pali sono stati affissi cartelli vari: divieto di caccia, pubblicità di feste ecc. Praticamente è difficile vederlo bene, ora! Fortunatamente però ancora non è stato dimenticato: c’è sempre qualcuno che lo cura, si preoccupa di risolvere i problemi di muratura (crepe, tetto pericolante) tiene in ordine lo spazio intorno, pulisce e mette fiori. Per noi resta sempre un punto fermo che ci riporta al passato e a molti viene spontaneo soffermarsi per un saluto ed una preghiera. Concludo con un augurio ed una speranza: che anche chi verrà dopo di noi continui ad aver cura di questo che – si può ben dire – è un “piccolo pilastro” della nostra storia! 

Arnaldo Grandi

Testo tratto da "Brodo di serpe - Miscellanea di cose medicinesi", Associazione Pro Loco Medicina, n. 15, dicembre 2017.