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Francesco Quarantini

16 febbraio 1877 - 24 dicembre 1922

Scheda

Francesco Quarantini, da Giuseppe e Teresa Lazzaretti; nato il 16 febbraio 1877 a Castel Guelfo di Bologna. Licenza elementare. Mezzadro. Iscritto al PSI e poi al PCI.
Aderì al partito nel 1899 e divenne presto dirigente sindacale dei coloni prima a Castel Guelfo di Bologna e poi a Sesto Imolese dove si era trasferita la sua famiglia. Subì numerose denunce per l’attivita sindacale. Nel luglio 1914 fu eletto al consiglio provinciale di Bologna, per il collegio di Medicina, e vi restò sino al 1920. Nel 1919 venne eletto deputato nella circoscrizione di Macerata-Ascoli Piceno.
Il 17 gennaio 1920 fu denunciato a seguito degli incidenti tra lavoratori e polizia a Raiano (AQ) e l'1 luglio 1920 per quelli di Tolentino (MC). L'accusa era di incitamento alla rivolta. A seguito di una campagna di stampa contro di lui per «condotta ed atteggiamenti immorali» dovette lasciare Macerata nell'ottobre e tornare nel Bolognese. II 4 novembre 1920 capeggiò una colonna di 96 guardie rosse imolesi, tutte armate, chiamate a Bologna dal segretario della CCdL Ercole Bucco per difendere la sede sindacale dall'annunciato assalto fascista.
Nella notte tra il 4 e il 5 quando i fascisti - mentre la polizia si era ritirata - attaccarono con fucili e rivoltelle la sede sindacale, Bucco ordinò alla guardie rosse di deporre le armi. Telefonò al questore - pare con l’assenso di Quarantini - e chiese la protezione della polizia. Gli agenti intervennero, ma anzichè fermare i fascisti armati, penetrarono nella sede sindacale sequestrarono le armi, arrestarono le guardie rosse, Bucco e Quarantini, entrambi deputati. Dopo alcuni giorni di detenzione furono scarcerati e Bucco rilasciò una vergognosa dichiarazione. Quarantini preferì tacere. il 28 novembre 1920 fu tra gli organizzatori della riunione a Imola della frazione comunista della corrente massimalista del PSI per preparare la scissione. II mese successivo una commissione parlamentare d'inchiesta socialista dichiarò destituite di fondamento le accuse di immoralità. Ma su richiesta della federazione del PSI di Macerata fu nominata una seconda commissione d'inchiesta. Partecipò al XVII congresso nazionale del PSI a Livorno il 15 gennaio 1921 e fu tra i promotori della scissione e tra i fondatori del PCI. II 3 febbraio 1921 fu espulso dal gruppo parlamentare comunista, per ragioni che non furono rese note. II 9 febbraio 1921 la seconda commissione parlamentare d'inchiesta socialista emise il nuovo verdetto. Dichiarò «non provata» l’accusa di omosessualità, ma aggiunse che «sono risultati fatti licenziosi e tali da non ritenersi degni di persona seria, tanto più se deputato, tanto più se socialista». II 7 maggio 1921 il comitato esecutivo nazionale del PCI emise un comunicato per dire che era stata aperta una terza inchiesta «dietro nuova richiesta avanzata dal compagno Quarantini», ma che non era stato possibile vedere i documenti delle precedenti perchè andati smarriti. L'esecutivo comunista rilevo «non esistere alcun nuovo documento che possa modificare i lodi a suo tempo emessi», affermò che le accuse erano «assolutamente insussistenti e originate da moventi politici di avversari» e dichiarò «definitivamente chiusa la vertenza riaffermando al compagno Quarantini la sua fiducia e incitandolo a proseguire nell’opera di propaganda e di organizzazione rivoluzionaria tra le masse dei lavoratori». Non fu ripresentato candidato alle elezioni politiche del maggio 1921. Il 25 giugno 1921 mentre si trovava in via Irnerio a Bologna venne sequestrate dai fascisti e portato nella sede della casa del fascio in via Marsala 30. Qui fu costretto a sottoscrivere una dichiarazione in cui era detto che i dirigenti del PCI e del PSI «agiscono non in nome dell'ideale, ma per proprio interesse facendo solo delle speculazioni» e che «ad eccezione di pochi sono dei voltagabbana». Nella dichiarazione era anche detto che i fascisti «gentilmente lo hanno ascoltato e trattato». Quella dichiarazione segnò la sua fine politica.
Morì a Imola di malattia il 24 dicembre 1922. Nel febbraio successivo, quando al processo di Milano per la strage di Palazzo d'Accursio alcuni avvocati fascisti rievocarono le sue vicende personali, l’esecutivo nazionale del PCI emise un comunicato ufficiale nel quale si legge «che due severe e successive inchieste condotte dal Partito socialista e comunista hanno riconosciuta e pubblicamente dichiarata calunniosa e falsa l’accusa gravissima e infamante» e «riconsacra (l’esecutivo) la fede del nostro compagno esaltandone la purezza di vita chiusa in povertà fiera e sdegnosa». [O]