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Germano Pondrelli

18 luglio 1865 - 24 novembre 1932

Scheda

Germano Pondrelli, da Modesto e Geltrude Pondrelli; nato il 18 luglio 1865 a S. Lazzaro di Savena. Licenza elementare. Mezzadro. Iscritto al PSI.
Nel 1892 la sua famiglia si trasferì da S. Lazzaro di Savena a S. Pietro Capofiume (Molinella), dove prese a mezzadria il fondo Cà Nova dell'azienda di Giacomo Zerbini, un grosso proprietario terriero. Alla morte del padre divenne il «reggitore» o «arzdóur», cioè il capo della famiglia della quale, oltre alla moglie e al figlio, facevano parte i fratelli Antonio e Carlo, con relative mogli e figli.
Era un ottimo lavoratore dotato di spirito imprenditoriale e aveva una buona cultura agronomica. Ma agli occhi di Zerbini aveva il torto di essere un seguace di Giuseppe Massarenti e un promotore delle leghe mezzadrili.   
Nel 1905 divenne capolega dei mezzadri di S. Pietro Capofiume e, in seguito, fu uno dei dirigenti della lotta agraria che, nel 1908, portò alla firma del primo «Capitolato generale per la conduzione a mezzadria dei fondi rustici della provincia».
Nel 1909 si presentò a Zerbini e gli disse che gli altri nove coloni dell'azienda lo avevano incaricato di rinnovare, a loro nome, il capitolato. Quando l'agrario rifiutò la trattativa collettiva, per non riconoscere la lega, nell'azienda iniziò una dura vertenza. Nel 1910 si accordò con tre mezzadri, proseguì la trattativa con gli altri sei e diede l'escomio a Pondrelli. L'Associazione agraria approvò quel provvedimento perché Pondrelli «quantunque buon lavoratore, era stato uno dei più attivi organizzatori» della vertenza, per cui il licenziamento come «atto liberatorio ed epuratorio era più che umanamente giustificabile».
In un rapporto della polizia, del 1921, si legge che «l'Associazione agraria mal tollerando la costituzione delle leghe mezzadrili, indusse il sig. Giacomo Zerbini a licenziare il colono Pondrelli». I mezzadri di Molinella - compresi i tre che si erano accordati - e i braccianti si schierarono dalla parte del capolega e sostennero il suo diritto a chiedere sia la trattativa collettiva sia la «giusta causa». Il sindaco Massarenti chiese a Zerbini di concedere un anno di proroga a Pondrelli, dopo di che se ne sarebbe andato di sua iniziativa.
All'Associazione agraria chiese la garanzia che «nessuna molestia da parte di chicchessia potrà essergli arrecata». Essendo state respinte entrambe le proposte, la vertenza proseguì sino all'11 novembre 11, il giorno in cui le famiglie coloniche avrebbero dovuto lasciare il fondo per fine contratto. Il 16.11 a Molinella arrivarono 800 soldati di fanteria e 200 cavalleggeri incaricati di eseguire lo sfratto.
Attorno alla casa colonica si radunarono anche migliaia di lavoratori. Quando il segretario provinciale dell'Associazione agraria lo invitò a sgomberare - in nome dei 17 membri della famiglia, «le innocenti vittime del suo puntiglio paterno» - Pondrelli riaffermò il suo diritto a chiedere il rinnovo del contratto colonico, sia a titolo personale che degli altri coloni.
Mentre i militari tentavano di disperdere i lavoratori, alcuni facchini fatti venire da Bologna - perché quelli di Molinella si erano rifiutati - sgomberarono le masserizie e la famiglia fu issata a forza su un carro. I mobili vennero sistemati nella scuola e le 18 persone ospitate da amici. "il Resto del Carlino" scrisse che la lotta era finita perché, sfrattato Pondrelli, i mezzadri «si rassegneranno di fronte al fatto compiuto». Il quotidiano cattolico "L'Avvenire d'Italia" scrisse che i coloni, dopo lo sfratto di Pondrelli, erano andati «ad affogare all'osteria la disillusione provata». Le cose andarono diversamente.
Gli otto mezzadri dell'azienda- mentre Cà Nova era rimasta vuota, perché nessuno mezzadro accettò di lavorarvi - ripresero l'agitazione e posero come condizione, per firmare l'eventuale accordo, la riassunzione di Pondrelli. Zerbini cercò di resistere, ma il 9 giugno 12 cedette su tutto. «Furono naturalmente accolte le sue dimissioni da socio dell'Agraria...», scrisse lo storico Franco Cavazza. La famiglia rientrò nel fondo accompagnata da un lungo corteo di lavoratori e dalla banda comunale.
Nel 1913, quando venne nuovamente a scadenza il capitolato, Pondrelli chiese il suo rinnovo a nome di tutti i mezzadri di Molinella. Per non riconoscere la lega, gli agrari respinsero la richiesta e iniziarono la procedura per lo sfratto di tutti i mezzadri. L'agitazione durò 10 mesi e si concluse con l'eccidio di Guarda (Molinella). La mattina del 5 ottobre 14 il segretario dell'Agraria, scortato da carabinieri, accompagnò a Molinella numerosi «liberi lavoratori» fatti arrivare da Padova. A Guarda le auto con le persone furono fermate da un centinaio di lavoratori. Da una parte si sparò e dall'altra vennero usati i pali tolti dalle vigne. Cinque «liberi lavoratori» restarono uccisi, mentre i molinellesi rimasti feriti non si fecero curare negli ospedali per non essere identificati. La sera, 3.000 militari occuparono Molinella e 121 persone, tra dirigenti e attivisti del PSI e della lega, vennero arrestati. Tra i primi a finire in carcere fu Pondrelli, con i fratelli Antonio e Carlo e i nipoti Aldo e Roberto, figli di Carlo. Mentre era in carcere, i mezzadri di Molinella dovettero sottoscrivere il vecchio capitolato colonico. Quattro famiglie, tra le quali quella di Pondrelli, ebbero l'escomio. Scrisse la rivista degli agrari bolognese: «Si tratta degli elementi peggiori che anche in passato erano stati causa di disordini e tra questi il colono Pondrelli che si rese tristemente celebre». Dopo essere stato prosciolto in istruttoria non fu liberato e con una cinquantina di lavoratori venne internato nell'isola di Capraia (LI).
Tornò in libertà il 21 febbraio 1919, ma potè rientrare nel fondo Cà Nova l'anno seguente, al termine di una lunga vertenza promossa per fare riassumere le quattro famiglie sfrattate. La vittoria sindacale fu funestata da una grave lutto: la morte in guerra dell'unico figlio. Da quel momento si estraniò da tutto, dopo avere lasciato al fratello Carlo l'incarico di «arzdóur» e quello di capolega. Per questo non prese parte, nel 1920, alla vertenza agraria provinciale ricalcata su quella di Molinella del 1914. Anche se estraneo alla vita politica e sindacale, nei primi giorni del 1921 fu bastonato dai fascisti e nuovamente aggredito il 13 ottobre 1922.
Nel 1923, quando i fascisti cacciarono da Molinella oltre duecento famiglie socialiste, il suo nome era in cima alla lista. Il 15 agosto 1923 fu arrestato ed espulso dal paese. I membri della sua famiglia patriarcale si dispersero in varie direzioni. Mentre i fratelli e i nipoti emigrarono in Francia, con la moglie e la nipote Novella Pondrelli andò a Tignale (BS) dove lavorò cinque anni come giardiniere.
All'inizio degli anni Trenta, sempre controllato dalla polizia, tornò a Molinella. Ospite di un amico, visse sepolto in casa per alcuni anni. Morì il 24 novembre 1932. [O]