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Bruno Parolini

16 Settembre 1889 - 6 Febbraio 1982

Scheda

PAROLINI BRUNO
Nasce a Bologna il 16 settembre del 1889 e vi muore il 6 febbraio del 1982.
L'architetto Bruno Parolini, «Restauratore» (era questo il titolo di cui amava fregiarsi), rappresenta - nella Bologna della prima metà del Novecento - un magistrale esempio dell'impegno e di una qualificata professionalità spesi nel campo dell'architettura e dei restauri di numerosi complessi monumentali. Fu attivo per tutto il ventennio fascista e negli anni tragici della ricostruzione.
Versato negli studi dell'arte e dell'architettura, anche moderna e contemporanea, e non essendoci allora un corso ordinario di studi universitari per conseguire la laurea in Architettura, si diplomò brillantemente presso la locale Accademia di belle arti, conseguendo l'abilitazione di professore di Disegno e architettura. Iniziò, quindi, a esercitare, occupandosi non tanto della progettazione di nuovi edifici, bensì dello studio del costruito, quindi del restauro da apportare a monumenti bolognesi e a quelli di altre città e regioni.
Fuori Bologna, i suoi più significativi interventi sono quelli apportati alla basilica di Sant'Apollinare Nuova a Ravenna, al palazzo Farnese e alle chiese di San Francesco e di Sant'Agostino a Piacenza, alla chiesa di Pomposa, al Duomo di Fidenza e alla basilica di Monteveglio.
La sua accreditata cultura storico-artisticotecnica gli valse una serie di importanti incarichi, che seppe espletare con sagacia e capacità risolutive incredibili. Fu incaricato da numerose Amministrazioni municipali - tra cui quella della stessa Bologna, di Argenta (nel ferrarese) e di Alfonsine (nel ravennate) - di stendere i Piani di ricostruzione delle zone devastate dalla guerra, Piani che poi venivano inglobati nei nuovi Piani regolatori.
Sapeva mirabilmente coniugare la concretezza tecnica dell'intervento al rispetto e all'amore per il monumento, concepito come bene culturale, come testimonianza della voce dei secoli, come memoria storica di una comunità.
Ricercato e rispettato, si avvalse di una équipe di tecnici specializzati e di esperte maestranze locali, ma egli stesso conosceva tutte le tecniche realizzative ed era di casa presso tutte le botteghe artigianali della Bologna degli anni trenta-cinquanta; non di rado, infatti, lo si incontrava da un falegname-ebanista, nella fucina di un fabbro o nella bottega di un figulo, intento a realizzare un «pezzo» molto particolare quando né il disegno né la descrizione orale riuscivano chiari al maestro artigiano incaricato.
Stimato da quanti lo conoscevano, semplice e cordiale nei rapporti di lavoro, sui cantieri riusciva a ottenere sempre il massimo dal lavoro dei suoi operai. Veniva costantemente consultato o incaricato per eseguire perizie ovunque, mentre il suo parere veniva tenuto in grande considerazione, tanto che gli Uffici tecnici dei vari enti pubblici di Bologna, in particolare quelli del Genio e della Soprintendenza, sembravano avere una sorta di filo diretto con il suo Studio tecnico.
Nel corso della sua carriera ricoprì cariche prestigiose; fu membro, tra l'altro, dell'Istituto nazionale di urbanistica (sezione Emilia-Romagna e Marche), del Consiglio nazionale degli architetti; fu socio del Comitato per Bologna storica e artistica, dell'Associazione architetti dell'Emilia, del Collegio costruttori edili e imprenditori della provincia di Bologna.
[FRANCESCA TALÒ]

Il periodo più intenso e luminoso della sua professione lo si ebbe negli anni del secondo dopoguerra, durante la ricostruzione, quando Bruno Parolini impegnò ogni sua energia creativa per risanare il patrimonio artistico della sua Bologna, una città prostrata dai bombardamenti tedeschi e che aveva pagato un caro tributo alla guerra.
Certamente, alla fine del conflitto, molti furono gli architetti e gli ingegneri che si adoperarono per ricostruire e restaurare la città e le sue belle opere d'arte, e molte furono anche le tecniche allora innovative e gli ingegnosi stratagemmi da questi utilizzati per far rivivere Bologna e tutti i suoi monumenti. Insigne e insostituibile fu pure l'opera degli enti pubblici e di tanti tecnici, dal cui lavoro si evince la qualità professionale e l'impegno altamente civile, profusi in quello che da qualcuno è stato definito «un miracolo storico-culturale».
Ma fra questi professionisti - in cui prevalse soprattutto l'amore filiale per la propria città -si erge e si evidenzia l'opera preziosa dell'architetto- restauratore Bruno Parolini che, affiancando l'allora soprintendente Barbacci (quasi un binomio inscindibile, come evidenzia il fitto carteggio fra i due), lavorò per consolidare e restaurare alcuni tra i più prestigiosi monumenti storici e architettonici di Bologna, rovinati a causa dei reiterati bombardamenti tedeschi del 1943.
L'elenco si apre con l'ingegnoso intervento alla chiesa barocca del Corpus Domini, a seguito di quel che accadde il 5 ottobre 1943. Una bomba aveva perforato il tiburio e, scoppiando all'interno della chiesa, aveva sollevato l'artistica calotta in muratura, che ricadendo su stessa si era del tutto lesionata, pur restando miracolosamente in piedi. Per tale evento, l'edificio di culto aveva subito - anche per effetto degli spostamenti e delle spinte - una strana e pericolosa rotazione su se stesso, scardinandosi e distorcendosi, senza però crollare. Allora, con mezzi di fortuna, ma col fare dell'esperto, l'architetto Parolini riuscì a riassettare i vari elementi della cupola, che all'interno era tutta una teoria di pitture (il più artistico degli affreschi era quello di Franceschini, che mirabilmente effigiava la Gloria di Santa Caterina).
Tale tempestivo intervento impedì al fabbricato di diroccare e di perdere per sempre i preziosi affreschi. Il cumulo di macerie che si osservava tutto intorno, all'indomani di quel tragico 5 ottobre 1943, non lasciava sperare niente, ma un umile e caparbio lavoro di ricompattazione delle macerie consentì un primo e prezioso tamponamento del danno. Parolini riutilizzò lo stesso materiale franato e costruì, intanto, una robusta impalcatura, capace di sostenere la calotta. Ordinò di inserire martinetti idraulici lungo la sede, per sollevare temporaneamente la cupola, quindi riassestò la sede e ricollocò la cupola nella posizione originaria, cementando il tutto con iniezioni di betoncino. Furono usate colate di malta per le fessure e una cappa cementizia venne realizzata a regola d'arte sull'estradosso della cupola stessa. E così, questo pregevole esempio di arte barocca bolognese fu salvo.
L'opera di Parolini appare ancora più ingegnosa e imponente nella chiesa monastica di San Francesco, importante espressione dell'architettura gotica in Italia; venne bombardata per ben due volte, nel luglio e nel settembre del 1943.
Circa un terzo della chiesa era crollato e il danno sarebbe stato più pesante se prima della guerra non fossero stati eseguiti - sempre a cura dell'impresa Parolini - lavori di restauro al transetto. Riprese poi i lavori, subito dopo la guerra, per ripristinare questo imponente edificio religioso, ferito dai colpi della guerra. L'intervento potè essere immediato e risolutivo, anche perché egli riutilizzò rilievi e calcoli, eseguiti in collaborazione con l'ingegnere Ernesto Strassera, tra il 1938 e il 1942, al tempo in cui la Soprintendenza di Bologna lo aveva incaricato dei lavori di restauro alla basilica. Questi si erano resi urgenti per il vistoso deterioramento delle strutture del transetto, quando ancora il complesso monumentale era fortunatamente integro nella sua fisionomia architettonica.
Nell'intervento postbellico, oltre la perizia di Parolini, valse l'opera degli stessi mastri muratori, che fecero miracoli; fra questi, ricorrono costantemente i nomi di Amleto Betti e Amedeo e Mario Tagliavini, che si prodigarono per ripetere, con la massima perizia, il lavoro realizzativo dei mastri medioevali di sette secoli prima. Allora, furono messi in opera oltre 600 metri quadri di muro, 500 metri quadri di coperto con orditura in cemento armato, 600 metri quadri di volte e altri 500 di tetto comune, restituendo al tempio l'originale fisionomia strutturale e architettonica.
Ancora più doviziosa fu l'opera di ricostruzione del palazzo della Mercanzia, la più bella architettura in cotto che Bologna possa vantare. Quando incautamente fu fatta brillare la bomba inesplosa, caduta ai suoi piedi nel bombardamento del 27 settembre 1943, crollò paurosamente anche tutto l'angolo della Mercanzia, prospiciente la via Santo Stefano. Andarono in frantumi le belle decorazioni in terracotta che adornavano gli archi e si lesionarono le sculture policrome. Rovinò anche la celebre tribuna in marmo, per cui il restauro interessò ancora una volta l'instancabile architetto Parolini e la sua équipe di specialisti, tra cui lo scultore Romano Franchi, i mastri muratori Giovanni Zambelli e Mario Tagliavini, che - alla maniera antica, con le stesse tecniche - riuscirono a realizzare le decorazioni in cotto, che una volta si eseguivano con il «pollice e la sgorbia». La fornace dei figli Galloni di Bologna si preoccupava, invece, di modellare e cuocere gli speciali laterizi, sagomati e figurati come gli originali.
Dell'architetto Parolini bisogna ancora ricordare gli interventi a opere per così dire minori, oltre le qualificate collaborazioni di elevato livello che prestò sempre nel campo del restauro, come l'Archiginnasio, la tomba di Rolandino de' Passeggeri, la chiesa di San Giovanni in Monte, il cortile interno della sede dell'Università in via Zamboni, per citare alcuni esempio.
Concludendo, è d'obbligo ribadire che se Bruno Parolini fu un uomo di grande cultura e amore per l'arte, pur tuttavia la sua professionalità e il suo intelletto vennero stimolati e sollecitati dalle situazioni precarie e dalle difficoltà di quella tragica fascia epocale che fu il dopoguerra, non solo per Bologna ma per l'intera nazione. La sua intraprendenza nell'uso di tecniche innovative e la sua genialità furono però premiate; la conferma a tanto lavoro venne - a questo maestro del restauro - dal successo con cui portò a termine i difficili e a volte rischiosi e impossibili lavori di ricostruzione e risanamento. Ancora oggi, quei monumenti offesi dalla guerra, oltre che essere l'espressione dei concetti di arte e di bellezza dei tempi antichi, rappresentano una viva testimonianza storica degli eventi che li ferirono e deturparono, ma soprattutto testimoniano del genio e delle mani di chi seppe «miracolosamente » riportarli in vita. [FRANCESCA TALÒ]

Bibliografia: "Norma e arbitrio: architetti e ingegneri a Bologna 1850-1950" di G. Gresleri (a cura di), P. G. Massaretti (a cura di), Marsilio 2001