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Anselmo Marabini

16 ottobre 1865 - 9 Ottobre 1948

Scheda

Anselmo Marabini, da Giuseppe e Rosa Loreti; nato il 16 ottobre 1865 a Imola. Perito agrario. 

Figlio di un fattore di campagna, a vent'anni conseguì il diploma di agronomo presso la Scuola agraria di Macerata. Venuto a contatto con i contadini dell'agro imolese, assistette alle prime lotte condotte dalle mondine contro le tremende condizioni di lavoro e l'inumano sfruttamento a cui erano sottoposte. Influenzato inoltre dall'ambiente sociale e politico locale, maturò via via la scelta di assecondare la causa dei lavoratori. 
Ancora non decisamente orientato in senso socialista, nel 1885-86, partecipò alle squadre illegali, composte prevalentemente da giovani repubblicani, che ebbero l'intento di sbarcare armate in Dalmazia, al comando di Matteo Renato Imbriani, per vendicare l'impiccagione dell'irredentista Guglielmo Oberdan. 
Nell'ottobre 1887, aderì al circolo imolese «I figli del lavoro», fondato da Andrea Costa, agli inizi degli anni Settanta come sezione italiana della Prima Internazionale. Dopo sei mesi ne divenne segretario. 
Diresse la sezione in varie battaglie politiche, specie nella lotta amministrativa dell'autunno 1889, nel corso della quale i socialisti, insieme con i repubblicani collettivisti e con i radicali, conquistarono per la prima volta il comune di Imola. 
Divenne il discepolo di Costa che lo tenne in grande considerazione. Nel corso di una dimostrazione, venne arrestato il 19 dicembre 1889, condannato dalla pretura di Imola per «oltraggio a una guardia di città» ma, poi, «assolto per non provata reità dell'imputazione suddetta» dal Tribunale di Bologna il 25 gennaio 1890. 
Partecipò all'organizzazione del III Congresso del partito socialista rivoluzionario italiano (Ravenna, 18 ottobre 1890) tentando di unificare vari raggruppamenti socialisti, tentativo che tuttavia, non riuscì, perché fondato sull'intento di conciliare i gruppi anarchici (prevalenti in Romagna) con quelli socialisti. 
Assieme ad Angelo Negri (entrambi rappresentanti dei circoli socialisti di Imola e Bubano (Mordano) e della Società di Mutuo Soccorso di Imola) e con Costa, partecipò al Congresso delle forze operaie e socialiste, indetto a Genova nei giorni 14-15 agosto 1892. 
Il Congresso divisosi in due tronconi, uno di orientamento socialista (e che decise la fondazione del Partito dei Lavoratori italiani) e, l'altro, di orientamento anarchico, decise assieme a Negri e Costa, di partecipare ad alcune delle sedute (accettando appieno, le motivazioni critiche di Costa sul «modo com'era avvenuta la scissione»). Qualche mese dopo, interpretando le esigenze delle forze più giovani del circolo «I figli del lavoro», si fece sostenitore della necessità di aderire al partito socialista costituitosi a Genova. 
La sua azione valse a portare sulle medesime posizioni tutti gli «ecclettici» romagnoli. Nel luglio 1893, tornò per tre giorni sul banco degli accusati all'assise di Bologna, per essersi rifiutato di firmare (assieme ad altri), in segno di protesta contro le avvenute corruzioni elettorali, la proclamazione a deputato del conservatore, marchese Luigi Zappi, eletto (nelle politiche del 6 e 13 novembre 1892) nel seggio di cui era stato presidente. 
Il 27 agosto 1893, si riunì ad Imola un Congresso socialista romagnolo, nel quale gli «eclettici», deliberarono di aderire al Partito dei Lavoratori italiani e di dar vita alla Federazione regionale delle Romagne. La confluenza dei romagnoli venne sanzionata al Congresso di Reggio Emilia (8-10 settembre 1892), ove, su richiesta del delegato Gaetano Zirardini, il partito assunse la denominazione di Partito Socialista de' Lavoratori italiani. 
Già delegato al Congresso nazionale, divenne segretario della Federazione romagnola socialista, con sede in Imola. Con sentenza del Tribunale di Bologna, del 15 dicembre 1894, fu condannato per «eccitamento all'odio di classe» a 5 mesi di detenzione e a L. 85 di multa, che scontò interamente. Rimesso in libertà, ricostituì illegalmente la disciolta sezione imolese del PSI. Il 23 aprile 1897, con altri romagnoli partì volontariamente per la guerra di indipendenza della Grecia contro i turchi; fu (nella legione garibaldina) con la colonna Bertot e partecipò al fatto d'arme di Zavenda. 
Ritornò ad Imola il 28 maggio 1897. Lavorò come infermiere e capo sala all'ospedale civile di Imola. 
Durante i tumulti popolari contro la fame, il 14 maggio 1898, venne arrestato e denunciato per i «reati di cui agli art. 120, 247 e 148 del codice penale», accuse dalle quali venne prosciolto (dopo aver scontato tre mesi di carcere) dal Tribunale di Bologna il 17 agosto 1898; ma rinviato dalla Pretura di Imola subì la condanna ad una ammenda perché ritenuto responsabile di un reato diverso. Nello stesso anno fu schedato. Assieme ad altri compagni fondò la Camera del Lavoro di Imola (che si inaugurò il 19 marzo 1900) e di questa fu, per oltre quindici anni, componente della commissione esecutiva. Fu denunciato l’11 aprile 1900 «per aver distribuito uno stampato riportante la mozione dell'estrema sinistra alla Camera per la Costituente» e venne assolto dalla pretura di Bologna (il 5 maggio successivo) per «non provata reità». 
Promosse la lega degli impiegati delle Opere Pie di cui fu il segretario. Fu presidente della commissione amministrativa del Ricovero di mendicità di Imola (dal 1903); componente del consiglio direttivo della sezione socialista imolese e della federazione socialista collegiale. Fu pure componente del Comitato nazionale della Federazione dei lavoratori ceramisti e direttore del periodico "II Ceramista" dall'ottobre 1905 al 1913. Attivo propagandista, tenne frequenti conferenze e comizi in svariate località del Paese. 
Al IX Congresso nazionale del PSI (Roma, 7-10 ottobre 1906) ove prevalsero gli integralisti (corrente alla quale apparteneva), venne eletto nella direzione. Dedicatosi alla organizzazione dei braccianti e dei mezzadri dell'Imolese, fu animatore delle loro lotte, che, sul finire del decennio, conseguirono importanti successi. Nel 1910, aderì alla frazione rivoluzionaria del PSI e, l'anno seguente, venne nominato segretario dell'organizzazione socialista della propria città (la polizia lo considerò pericoloso «per l'influenza di cui gode presso le masse, per il suo carattere e per i suoi precedenti»). 
Nel dicembre 1912, fu nominato nel Comitato esecutivo della federazione provinciale socialista di Bologna. Al XVI Congresso nazionale del PSI (Ancona, 26-29 aprile 14), venne nuovamente eletto nella direzione. Capeggiò ad Imola la protesta per l'eccidio compiuto dalla polizia ad Ancona (il 7 giugno), che andò sotto il nome di «settimana rossa». Nei mesi successivi partecipò a convegni (Forlì, 2 agosto; Ancona 28 agosto 14) ed iniziative diverse, per arrestare la repressione governativa scatenatasi dopo il moto e in solidarietà con i colpiti. 
Nell'agosto 1914, venne nominato segretario della federazione provinciale dei birocciai e sindaco revisore di numerose cooperative. 
Quando Benito Mussolini, nell'ottobre 1914, passò all'interventismo ed iniziò (nel novembre) a pubblicare "II Popolo d'Italia", in seno alla direzione del PSI, volle decisamente le sue dimissioni da direttore dell'"Avanti" e l'espulsione dal partito. 
Fervente internazionalista, firmò il manifesto socialista contro la guerra del 1914 e si battè con continuità contro l'intervento dell'Italia nel conflitto. 
Nel luglio 1915 venne eletto consigliere comunale di Castel S. Pietro Terme in occasione della conquista, per la prima volta, di quel comune da parte dei socialisti. 
Partecipò al XV Congresso nazionale del PSI (Roma, 1-5 settembre 18), approvandone la mozione massimalista; fu confermato nella direzione. 
Nelle elezioni politiche generali del 16 novembre 1919, fu eletto deputato nella provincia di Bologna. Nel 1920, venne arrestato per avere concorso, con un gruppo di manifestanti, ad ostacolare la partenza da Imola di alcuni vagoni di munizioni diretti alle forze dell'Intesa contro il potere sovietico. Nell'autunno dello stesso anno fu eletto consigliere provinciale di Bologna ma, a causa dello scatenarsi dello squadrismo, non rivestì mai la carica; il consiglio, infatti, venne sciolto il 21 aprile 1921. Approssimandosi la convocazione di un nuovo congresso nazionale del PSI, il 14 novembre 1920, promosse, assieme all'on. Antonio Graziadei, la cosiddetta «Circolare Marabini-Graziadei», con l'intento di assicurare la maggioranza dei socialisti alla tesi comunista (uniformantosi alle 21 condizioni stabilite dalla Internazionale comunista per l'ammissione dei partiti nazionali), nella convinzione «che fra il modo nel quale la frazione comunista (specialmente i seguaci di Amedeo Bordiga) presentava i motivi della scissione e il modo gesuitico, demagogico ed insinuante con cui i comunisti unitari (capeggiati da Giacinto Menotti Serrati) tentavano di mascherare il salvataggio dei riformisti, esisteva un largo margine di lavoro, utilizzando il quale si poteva impedire che molti compagni cadessero, per ragioni sentimentali e tradizionali, nella rete degli unitari». 
Gli aderenti alla «circolare», si riunirono in Imola il 28 e 29 novembre 1920 (nei giorni stessi nei quali si riunì, nella medesima città, la frazione comunista) e deliberarono «che è interesse della Internazionale comunista e dei comunisti italiani che la maggioranza al Congresso nazionale sia assicurata alla concentrazione comunista; che la necessaria separazione dalla concezione e dall'azione socialdemocratica debba avvenire come conseguenza naturale della vittoria al Congresso dell'unità comunista e del programma comunista». 
Al XVII Congresso del PSI, riunito a Livorno dal 15 gennaio 1921, dopo aver tentato, con scarso successo, assieme a Graziadei, di far convergere forze sinceramente rivoluzionarie su posizioni comuniste, abbandonò la presidenza del Congresso per seguire i comunisti che diedero vita (il 21 gennaio 1921) al PCdI. 
Presiedette il Congresso di fondazione del nuovo partito e fu eletto nel comitato centrale. Alla Camera costituì (con altri 9 deputati) il gruppo parlamentare comunista, da lui presieduto. Nelle elezioni politiche (maggio 1921) venne eletto deputato per il PCI, nel collegio dell'Emilia. 
Al II Congresso del PCdI (Roma, 18-20 marzo 1922) venne riconfermato nel Comitato centrale. Partecipò al IV Congresso dell'Internazionale comunista, dove ebbe la funzione di presidente. Il 2 giugno 1922, in Imola, i fascisti tentarono di assassinarlo pugnalandolo, ma il compagno di partito Andrea Mancini, gli salvò la vita deviando tempestivamente il colpo. Poco tempo dopo si trasferì a Trieste, dove assunse la responsabilità del quotidiano comunista "II Lavoratore". 
Nel 1923, partecipò alla costituzione della sezione italiana del Soccorso Rosso Internazionale, divenendone segretario. Nello stesso anno compì un viaggio in Unione Sovietica per incarico di alcune cooperative agricole. Successivamente si stabilì in Austria (dove svolse attività per conto del Comitato internazionale d'azione e, con Egidio Gennari, pubblicò una edizione del "Vespro"), finché non venne espulso. 
Rientrò in Italia e da qui, nel gennaio 1924, espatriò clandestinamente in Francia ove raggiunse il figlio Andrea colà emigrato per ragioni politiche. 
Per le elezioni politiche italiane dell'aprile 1924, fu ripresentato nelle liste del PCI, ma non risultò eletto. Dalla Francia si trasferì a Mosca. Dapprima responsabile dell'emigrazione italiana in Russia, fu poi chiamato a far parte del Presidium del Soccorso Rosso Internazionale (MOPR). Il 7 marzo 1927, a Mosca, presenziò ad una riunione internazionale di avvocati dediti alla difesa del proletariato, durante la quale - stigmatizzando la condizione imposta dal fascismo in Italia - disse che «il suo paese di fiori e di poesia si è trasformato in un paese di morte di arbitrio e di violenza [...] Le organizzazioni sociali sono completamente distrutte e che tutti gli avvocati antifascisti sono stati espulsi dal foro e hanno dovuto emigrare». L'ambasciata italiana a Mosca, segnalò, il 27 maggio dello stesso anno, che, oltre a dirigere una cooperativa agricola, aveva assunto «importanti funzioni in molti organi del partito e di rappresentare in ogni occasione i comunisti italiani in quasi tutte le manifestazioni». 
Sempre in quell'anno compì un lungo giro di propaganda contro il fascismo nei paesi scandinavi e in Francia, da dove venne espulso, per la costituzione dei Patronati italiani per la difesa delle vittime del fascismo. Riparò in Belgio. 
Altri viaggi per missioni politiche connesse al suo alto incarico di segretario generale del Soccorso Rosso Italiano, li compì nel 1928 (in Belgio dove, a Bruxelles, fu tra i componenti del gruppo «Le Poing», e in Svizzera), nel 1929 (ancora in Belgio) e nel 1931 (in Francia, in Inghilterra ed in Olanda). Nel 1935, fu riconfermato nella Commissione del MOPR. 
A Mosca, fu eletto deputato del Soviet cittadino. Nel 1936, divenne uno dei 12 soci che costituirono, nella capitale sovietica la sezione della «Fratellanza Romagnola». Il 22 febbraio 1937, in una lettera inviata al garibaldino «Bottiglia» (pseudonimo di Andrea Tosi), ma rivolta anche agli altri imolesi accorsi fra gli antifascisti volontari in Spagna, scrisse: «Oh! Se avessi vent'anni di meno!». Amareggiato di non poter essere al loro fianco nella battaglia «sul fronte della libertà», gli raccomandò: «Devi dire ai compagni imolesi [...] che il vostro vecchio è fiero di voi, che vi ammira, che vive col pensiero con voi giorno per giorno con grande passione». 

Nel corso della guerra di liberazione in Italia, da Radio Mosca, rivolse diversi appelli ai romagnoli, incitandoli con motivazioni politiche e patriottiche, alla lotta partigiana contro i nazifascisti. Nel primo messaggio (30 novembre 1943), tra l'altro disse: «II 25 luglio il nostro popolo ha spezzato le catene del fascismo, ha aiutato a cacciare dal potere l'avventuriero Benito Mussolini, l'uomo di tutti i tradimenti. Nelle settimane successive il nostro popolo ha iniziato la lotta contro i tedeschi e i fascisti ed ha costretto il governo d'Italia a dichiarare guerra alla Germania. Oggi il nostro popolo combatte la sua guerra sacrosanta contro i tedeschi, guerra che sarà con la massima certezza coronata colla conquista della libertà e dell'indipendenza nazionale [...]. Il popolo italiano non può, non deve, attendere che la sua liberazione sia il risultato della lotta e dei sacrifici degli altri popoli. Per otto anni il fascismo ha fatto combattere l'Italia contro l'indipendenza di vari Stati. Ora il popolo italiano deve dimostrare che esso è capace di riscattare il suo onore e quello della nazione, contaminato dalla banda di Mussolini, combattendo compatto e deciso contro i tedeschi e i loro sgherri fascisti, per sradicare completamente il fascismo in Italia [...]. L'opera di liberazione del Paese impone la ferrea unità e la lotta decisa di tutti i cittadini italiani a qualunque categoria sociale appartengano, di qualsiasi corrente politica e fede religiosa. Che ognuno deponga sull'altare della libertà tutto ciò che in questo momento può tenere diviso il popolo. In questa unità granitica, in questa indissolubile comunione d'intenti, l'Italia troverà la forza per cacciare il tedesco e i traditori fascisti, risollevarsi dalla terribile catastrofe in cui è stata gettata dal regime fascista e seguire con passo accelerato la via della propria rinascita». 

Ottantenne, rientrò ad Imola, l’ 1 novembre 1945. Il suo nome è stato dato ad una strada di Bologna e ad una di Imola. [AR] 

Tutti i testi dei 7 appelli radiotrasmessi sono riprodotti in: L. Arbizzani, Appelli di Anselmo Marabini ai patrioti romagnoli durante la lotta di Liberazione (30 novembre 1943-16 aprile 1945}, Imola, Editrice Galeati, 1969.