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La massoneria ufficiale sotto il regno italico

1796 | 1815

Schede

Dopo Marengo Bonaparte si mostrava poco favorevole a quella massoneria giacobina, che aveva fatta la rivoluzione, e si sarebbe volentieri appoggiato a quell'elemento che, sorto dalla rivoluzione stessa e arricchitosi colla compra e vendita de' beni demaniali, era per sua natura conservatore e quindi più aggiogato al carro della sua ambizione. Col pretesto delle divisioni e degli scismi che l'agitavano avrebbe voluto sopprimerla: ma temendo che da essa sorgesse un potere occulto, che riuscisse un giorno a dominarlo preferì disciplinarla. Perciò quando egli fu salito alla maggiore potenza, troviamo la massoneria infeudata all'Impero. Il Grande Oriente di Parigi divenne un ufficio di corte e la massoneria un esercito di dipendenti. Il sommo mostrato fu affidato a Giuseppe Bonaparte, che lo accettò col consenso del fratello. L'arciduca Combacérès divenne Gran Maestro aggiunto, ch'era quanto dire servitore di Napoleone. In Italia, in odio alle molteplici società che vi pullulavano, un decreto del Ministro dell'Interno in data 27 dicembre 1802 proibiva qualunque associazione ed adunanza senza il preventivo permesso del Governo, la qual cosa non impedì che nell'anno stesso Murat riorganizzasse a Milano la massoneria, fondando la loggia dei Fratelli Riuniti, che poi si disse Carolina. La riorganizzazione però non divenne quale il Governo l'avrebbe voluta se non dopo l'erezione del Regno d'Italia. Il primo regno d'Italia, splendido d'un lustro fugace, tutta pompa esterna nella quale il fasto patrizio un momento mortificato risorgeva imitatore delle cose di Francia, imitò questa nazione anche nella massoneria. Fu fondato il Grande Oriente anche in Italia, con sede a Milano. Ne fu Gran Maestro dapprima il gen. Teod. Lechi, eppoi lo stesso viceré. Al disopra di tutti era l'Imperatore.

E tutt'Italia fu sparsa di loggie, ch'erano l'anticamera delle prefetture e de comandi militari. I più alti dignitari della massoneria sono in questo periodo marescialli, generali, cavalieri della Legion d'onore, nobili d'antica e fresca data, tutta gente sicura e fidata, ciecamente obbediente ai voleri del Sovrano. Appartenevano altresì alla massoneria impiegati d'ogni sorta. La consuetudine di ammettere nelle loggie gratuitamente i così detti fratelli di talento procurava peraltro alla massoneria i migliori ingegni fra gli scienziati, letterati ed artisti d'ogni specie, i quali per questa loro qualità erano tenuti a prestarsi con manifestazioni diverse a quell'adulazione, ch'era divenuta un istituzione di Stato. Né mancavano a questa Società ecclesiastici, specialmente della classe più elevata. L'appartenere ad essa, dicono tutti processi posteriori, era una moda e un'ostentazione. E il rito scelto era lo Scozzese antico ed accettato (impostura forestiera qui trapiantata), il meglio acconcio alla cortigianeria ed agli incensamenti. Ma l'organizzazione della massoneria, in Italia come in Francia, era scrupolosamente combinata sul segreto e procedeva per simboli. Anzi tutto i framassoni di quel tempo, come gli odierni, si dicevano discesi gerarchicamente da Hizam, figlio di una vedova ebrea: epperò si chiamavano i figli della vedova. Distinguere: Hiram, re di Tiro contemporaneo di Davide e di Salomone; e Hiram, fonditore fenicio che si considera l'architetto del tempio di Salomone. La scrittura chiama questo artista arteficem aerarum (artefice in bronzo) perché nel palazzo di Salomone, poi nel tempio, avrebbe colato tutte le parti metalliche. La tradizione massonica lo dice assassinato da tre compagni gelosi del suo merito. Questo assassinio mistico è ancora simbolizzato oggi nelle loggie quando si dà luogo alla recezione al grado di maestro. Le loggie pertanto in questo secondo periodo napoleonico furono innumerevoli in tutt'Italia e Milano soltanto ne aveva cinque, edulatrici anche ne' nomi; la Reale Napoleone, la Reale Giuseppina, l'Eugenia, la Concordia e l'Heureuse Rencontre, della quale ultima non si sapeva o non si voleva spiegare il nome. A Bologna si era formato fino dal 1802 il così detto Casino degli Amici, una combriccola di massoni capeggiata dall'Aldini, che a suo piacimento la radunava ad intervalli per comunicazioni o feste. Probabilmente era la stessa alla quale appartenne il conte Astorre Ercolani e della quale era maestro il conte Borelli e segretario Pellegrino Rossi. Sui primi del 1806 fu pure aperta in Bologna un'altra loggia massonica nel locale posto nell'Orto de' Poeti a porta Galliera; e quivi era ammesso chiunque voleva associarsi. Entrarono a farne parte antichi giacobini e quella sorta di gente nuova, della quale Napoleone scriveva ad Eugenio: “Mon fils, traitez bien les patriotes de Bologne et ceux que vouz appelez les partisans de Somenzari... Le parti patriote est celui qui a toujours les plus d'energie pour la France e pour le trone”. Quando fu ufficialmente inaugurata il 5 giugno 1807, prese il nome di Amici dell'Onore e di essa disse un nostro cronista: Ergo Erebi proles exiit in lucem. Era il tempo in cui i partiti antinapoleonici e reazionari avevano messo salde radici nelle nostre provincie e che appunto di qui uscivano le più strane notizie contro l'associazione che loro era più contraria, cioè la massoneria. Fra le altre cose si era divulgato che i liberi muratori avevano destinato di ammazzare il Papa, i cardinali, vescovi e parroci del Regno d'Italia. Perciò quell'inaugurazione si volle dare colla maggiore solennità in odio ai nemici dello Stato. Fu anzitutto posta la bandiera tricolore alle finestre della Loggia. Poi, a porte aperte, fu recitata l'orazione di rito e dato luogo al principio dè travagli. Terminata la festa ufficiale, segui l'agape massonica con partecipazione delle principali autorità. Un’eguale manifestazione venne ripetuta il giorno 24 dello stesso mese, festa di S. Giovanni Battista o S. Giovanni d'estate, nella quale ricorrenza, oltre onorare il Santo protettore della massoneria, con banchetto di 100 coperti, si vollero celebrare le vittorie di Napoleone in Germania. Quella sera sulla piazza della Montagnola si fece una sparata di 500 mortaretti, seguita dall'innalzamento di fuochi artificiali.

Una nota rinvenuta dal Soriga nell'Archivio di Stato di Milano dà un elenco abbastanza esteso de' massoni bolognesi nel periodo dal 1807 al 1810, quando la massoneria era ancora legata alla Francia. Gli stessi nomi ed altri si trovano indicati, con note caratteristiche per ciascuno, nel famoso libro della Polizia austriaca del 1833, che trovasi nella Biblioteca Comunale in due copie, una originale e un'altra trascritta. In questi documenti appariscono, oltreché i nomi de' personaggi che prima avevano partecipato per la rivoluzione e per la repubblica, quelli de' funzionari che per ragione de' loro uffici erano obbligati ad essere massoni: dal prefetto a venir giù fino al suo cuoco e dal direttore delle poste fino all'ultimo suo inserviente. E del resto Napoleone, scrivendo al vice-re, aveva detto più volte di abbisognare in Italia di funzionari che sapessero fronteggiare i suoi nemici. Vi si trovavano però indicati anche nomi che nel periodo immediatamente successivo andarono ad ingrossare i partiti avversi a Napoleone ed altri che passarono addirittura ne' partiti reazionari, come quel Carlo Savini, che nel 1814 accettava di far parte della Reggenza austriaca. Tuttavia la loggia degli Amici dell'Onore continuò ancora a funzionare nel 1811 e fors'anche più avanti, occupata sempre a celebrare i Sovrani ne' loro onomastici e nelle loro vicende politiche. Ne' processi della restaurazione si nominano presso di noi massoni anche del 1812, fra cui quel Cadolini Giuseppe, nato a Cremona e domiciliato a Bologna dall'anno 1811 e che si aggregava alla loggia di Bologna dal 1811 al 1812, come apprendista. Venerabile della stessa loggia sarebbe stato allora l'avv. Pilla. Ma ciò non vuol dire che anche qui come in altre provincie italiane la massoneria non fosse in quel tempo in disgregazione e che la sovrabbondanza di francesi fatti allora entrare nelle nostre loggie non avesse appunto lo scopo di bilanciare il partito italiano che in seno alla massoneria stessa si andava formando. Una cosa caratteristica, in questo periodo ingombro di ambizioni e tuttavia fecondo di bellissime iniziative, erano le loggie di adozione. Loggie d'adozione si dissero quelle che ammettevano le donne. Ne' primi tempi le donne non furono ammesse ai misteri delle loggie, perché troppo facili a palesare il segreto. Vi furono però al tempo dell'impero donne che si vantarono e furono anche amiche di massoni: e queste furono principalmente la Benzon di Venezia lodata quale la più amabile e più spiritosa donna del tempo (amica prima, poi moglie di Giuseppe Rangoni); la Rossi Scutellari Marietta di Ferrara, che nel 1814 accoglieva in casa sua combriccole di massoni tramutate in carbonari per concertarsi circa gli avvenimenti; l'Hercolani di Bologna, ch'ebbeparte nel movimento muratiano. Anche la Martinetti era amica di massoni e intima della Scutellari, presso la quale passava delle stagioni intere a Ferrara, non senza far parlare nel medesimo tempo la cronaca maliziosa. A Roma la Martinetti era chiamata la cattiva compagnia, perché si sapeva in relazione con persone sospette. Federico Confalonieri tutte le volte che passava per Bologna era accolto da lei. Vi si fermò anche quand'era diretto, nel maggio del 1816, a Napoli e al Pizzo. Fu certo per questa provata capacità del sesso debole che si pensò di creare addirittura una massoneria di convenzione dedicata alle donne, le quali dovevano esercitare tutte le funzioni della massoneria, ammettendo, quando occorresse, gli uomini nelle loro assemblee. Ciò avvenne non prima del 1808, perché in una lettera di Sebastiano Gnoato di tale anno si scrive: “Sento parlare della fondazione di una loggia d'adozione. Quanto volentieri impiegherei i miei lumi!”.

Ebbero queste loggie le loro grandi maestre e i loro bravi fratelli artisti. Anche le sorelle massoniche erano tenute al segreto; e avranno esse pure praticato l'attoccamento e seguito il precetto di coprire il tempio, cioè chiudere le porte, prima di dar principio ai loro travagli. I massoni, secondo i loro statuti, avevano l'obbligo di soccorrersi a vicenda: soccorrersi, s'intende, nel limite delle facoltà di ciascuno. Però la forma più comune assunta dalla mutualità massonica fu assai per tempo quella della ricerca e della distribuzione degli impieghi e degli onori. La ricerca degli impieghi, cominciata fino dalla prima venuta de’ francesi in Italia, era diventata addirittura una caccia sotto il regno italico. In questo tempo, senza dubbio, le cariche più importanti e più in vista erano riservate ai massoni. Non pochi entravano nella massoneria solo per procacciarsi un impiego e fare carriera; e lo dicevano apertamente. Rispetto a questo abuso, anzi, erano state mandate fuori satire, fra le quali notissima è quella dei tre M e dei tre A uscita nel 1805. Volevasi che i tre M si riferissero a Melzi, Marescalchi e Magnani e i tre A all'avvocato Antonio Aldini, i quali erano stati così bene provvisti nella distribuzione delle cariche. E le altre provincie guardavano con certa gelosia gli emiliani, parendo loro che troppa parte avessero avuto negli uffici dello Stato, perché solo di Bologna l'Aldini, il Marescalchi, il Caprara avevano ottenuto le più alte cariche. Attribuivano questo al carattere proprio de' bolognesi di sapere bene darla ad intendere: bolognà, dicevano i milanesi: a che gli emiliani rispondevano vituperando i milanesi col nome di olonisti (dal dip. di Olona) per dire pretenziosi. Certo è che i nostri Aldrovandi, Guastavillani, Agucchi di Cento, Rangoni di Modena ed altri non ebbero appena chiesto che furono accontentati.

La qualità di L... M. dava diritto a un emolumento o sussidio, a seconda del grado e dei bisogni. Nelle iniziazioni antiche si domandava all'iniziato quale fosse il salario del massone; e quegli rispondeva: il rispetto ai fratelli ecc. Ma nel tempo del quale parliamo alla qualità di massone era veramente annesso un salario, tanto per gli infimi come pè maggiori gradi. Un tale nel 1807 scriveva al Venerabile: «Alli 1° giugno dell'anno passato (1808) fui ricevuto in questa R.. in figura di F... S... (servente) e fui assicurato che mi sarebbe stato procurato un impiego, che mi avrebbe dato un salario almeno di lire 4 al giorno: e dimando di ottener tanto». Un altro, per aumentare il grado in massoneria e quindi il salario, formula con eguale franchezza questo ricorso: «Vedendo dal Libro statutario che uno de' motivi per aumentare paga prima del tempo è anche quello da prestarsi per il bene della L… espongo quanto operai per levare dalle mani d'un profano i libri e le altre cose attinenti al nostro ordine...». E fra coloro che contavano sulla provvidenza massonica troviamo anche il nostro Antolini, architetto, autore dell'Arco del Sempione a Milano, il quale scriveva da Bologna in data 14 maggio a Rangoni a Venezia circa il suo gradimento per ottenuto aumento di paga. In alcune loggie c'era l'uso che quando la moglie d'un massone partoriva, un fratello andava ad informarsi delle condizioni della puerpera, offrendo soccorsi anche pecuniari. Se la famiglia era bisognosa e il figlio maschio, la loggia si adunava per procedere all'adozione ufficiale: e l'adottato si diceva con parola inglese Luweton (figlio di massone). Vediamo però la stessa cerimonia praticata anche per la nascita del figlio del vice-re e per la nascita del re di Roma; ma allora si trattava esclusivamente d'una festa, nella quale rievocando l'antico rito dell'adozione, forse andato in disuso, si augurava all'infante che crescesse educato alla Scuola della verità e della giustizia e nello stesso tempo si adulava il Sovrano. I massoni erano quelli che potevano più facilmente aspirare agli onori che solevano impartirsi ai personaggi aventi cariche o una posizione più o meno in vista, o meriti speciali riconosciuti in quell'organismo che si chiamava regno italico.

L'Aldini fu uno de' primi ad essere insignito di titoli. Seguirono il Marescalchi ed il Caprara. De' nostri bolognesi vennero via via nominati Commendatori e Cavalieri della Corona di Ferro l'Aldrovandi, il conte Bianchetti, Sebastiano Bologna, Contri Paolo. Ercolani, Fava, l'avv. Gambari, l'ing. Gio. Batt. Giusti, il prof. Guglielmini, l'avv. Magnani, l'avv. Salina, Sampieri. Tattini, Vogli bibliotecario, ed altri. E di non bolognesi qui c'era una rappresentanza ufficiale di cavalieri della Corona di Ferro: Grabinski gen., De Lucca Pietro, Filippo Re professore, Moreschi professore, Martinetti il marito della Cornelia, bolognese d'adozione. Più vescovi sono nominati dignitari della Corona: l'arcivescovo di Milano, il Patriarca di Venezia, l'arcivescovo di Ravenna, l'arcivescovo di Bologna Card. Oppizzoni. A quest'ultimo la distinzione venne strappata quando cadde in disgrazia di Napoleone per non essere stato presente al suo matrimonio con Maria Luisa. Ottengono croci i poeti adulatori Monti e Cesarotti e il poeta repubblicano Pindemonti (Gio.), che la richiese. E come a queste decorazioni competeva un congruo trattamento, così vediamo registrate a favore del conte Marescalchi in una volta sola lire 16.000 e al gen. Pino, al Min. Prina, al Min. Veneri, al Min. Bovari, al prof. Cesarotti di Padova ed altri pensioni straordinarie fino a 10 e 12 mila lire. Era in quell'epoca che il romagnolo dott. Matteo Berardi mandava fuori il suo famoso sonetto contro Vincenzo Monti:

Dunque là dove son liberi tutti
Libertà vera esser ron puote? Indegno!
Ecco pane d'Augusto, ecco i bei frutti
Che l'oro trae dall' avvilito ingegno.

Fu pure allora che comparve in pubblico l'epigramma:

In tempi men leggiadri più feroci
i ladri si appiccavano alle croci;
in tempi men feroci e più leggiadri
si appiccano le croci in petto al ladri

rievocato poi né tempi posteriori. E siccome Napoleone, per saziare molte brame, prima di lasciare Milano nel 1807 pubblicava parecchi decreti e fra gli altri uno che accresceva di 15 dignitari, 50 commendatori e 300 cavalieri l'ordine della Corona di Ferro. Con che si aprivano sempre più le speranze degli ambiziosi. Potevano, del resto, aspirare alle decorazioni anche gli evirati, poiché nell'aprile del 1809 Napoleone nominava cavaliere della Corona di Ferro il Crescentini, celebre cantore. Molte cose facevano dimenticare e molte altre assestarono le feste rituali e politiche in mezzo alle quali si trastullava la massoneria accademica della nascente borghesia italiana, che sotto Napoleone era stata elevata a classe di governo. Le feste rituali erano due per anno e si solevano celebrare l'una per S. Giovanni d'estate (24 giugno) e l'altra per S. Giovanni d'inverno (25 febbraio); ed erano obbligatorie per tutti i membri delle L... In quelle il banchetto era la cerimonia. Occorreva una cerimonia per concretare qualche cosa. Il banchetto si chiamava agape presso i massoni, come già presso i compagnoni. L'agape si faceva nella sala dei banchetti al coperto dagli occhi profani. Là dentro le cose avevano strani nomi e si chiamavano: la tavola officina, la tovaglia velo, il piatto tegola, il cucchiaio cazzuola, la forchetta zappa, il coltello spada, la bottiglia baule, il bicchiere cannone, il vino polvere forte, il liquore polvere fulminante. In questi banchetti, per quanto sappiamo, si recitavano allocuzioni, si leggevano poesie, si eseguivano cantate e fors'anche si pronunziavano brindisi obbligatori, che riscuotevano certo le batterie (gli applausi) dei presenti. Stando alla denominazione delle cose, non si direbbe però che la maggiore sobrietà presiedesse sempre a queste adunanze.

Ma non tardò molto a verificarsi in seno alla Società massonica un movimento di emancipazione dallo straniero e precisamente tendente a diminuire l'influenza francese e ad accrescere quella italiana nelle loggie. Il proselitismo imperiale aveva ridotto le loggie a scuole di napoleonismo. Perciò all'ombra delle loggie stesse una parte della massoneria aveva cominciato a lavorare in senso contrario; e s'era arrivato a tanto che non tutte le loggie chiudevano lavori col grido programmatico di viva Napoleone. Vere scissioni erano avvenute circa l'adozione del rito antico e del rito moderno; e queste avendo anche cagionato in alcuni luoghi contese sanguinose fra francesi e italiani, con decreto del G.. O.. vennero chiuse le loggie in cui tali contese eransi verificate. Sta di fatto che prima del 1810 il malcontento per la politica di Napoleone si era infiltrato anche nella massoneria e che in quell'epoca tale società sentì il bisogno di riordinare le sue fila per porre un argine ai partiti dissenzienti che si andavano formando dentro e fuori di essa. E’ allora che la Carboneria cominciava ad assoldare genti di tutte le condizioni e classi sociali, mirando a formare essa stessa un partito nazionale. Da quest'epoca la massoneria, che fino allora aveva accettato nel suo seno a preferenza personaggi illustri, non impedì e fors'anche incoraggiò le persone di classi meno elevate. Per parte sua, il Governo che aveva preso sotto la sua tutela le loggie col proposito di sorvegliarle, non lasciò sussistere quelle che gli avrebbero tolto la mano e le disciolse. Ma questi provvedimenti valsero più che altro ad offrire un maggior contingente alle sopravvenute società carboniche. Infatti, col declinare della fortuna di Napoleone, tutte quelle frazioni di partiti, che avevano osteggiato la prima Cisalpina, non più infrenate dal vincitore, avevano ricominciato ad armeggiare. Si erano così svegliate tutte le nostre passioni e speranze. Nel 1814 la trasformazione era completa. In quei giorni ebbero gli italiani una così perfetta visione dell'avvenire, che se fosse stata accompagnata da eguale avvedutezza e prudenza, forse avrebbero veduto fin d'allora l'Italia compiuta. Per quanto la dominazione napoleonica avesse cercato di approfittare della conquista d'Italia, tuttavia essa era stata feconda di beni più che di mali. Aveva educate le masse al sentimento della nazionalità, che da secoli era dimenticato, aveva fatto conoscere al popolo i vantaggi della libertà e l'aveva sopratutto animato alle cose grandi. Conobbe il popolo che i francesi si erano avvicinati a lui con parole mendaci e per sfruttarlo; ma dovette accorgersi altresì che essi gli avevano aperta la via a diventar padrone di se stesso, solo che avesse saputo liberarsi da' suoi protettori, fossero stati questi francesi, inglesi o tedeschi. Epperò quando Gioacchino Murat, delle imprese olla più degna accinte,inalberò il vessillo dell'indipendenza italiana, accorse il popolo con entusiasmo. Fallì il tentativo, cadde Murat e caddero le nostre provincie sotto l'impero della reazione, che inaugurò il suo governo con un editto che fulminava tutte le società. Ma il seme era gittato.

Bologna, 30 ottobre 1928, Gaspare Ungarelli

Testro tratto da: 'La massoneria ufficiale sotto il regno italico', in 'Strenna Storica bolognese', 1929. In collaborazione con il Comitato per Bologna Storico Artistica.