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I duecento anni di un Lunario

1773

Schede

In questa nostra epoca così prodiga di feste, di cerimonie e di discorsi intesi a dare il dovuto risalto alle ricorrenze cinquantenarie o centenarie di uomini e di avvenimenti, anche i vecchi lunari, nella loro estrema umiltà, concorrono timidamente al premio della commemorazione. Tale è appunto il caso del Lunario del Duttòur Truvlein, che, secondo una ingegnosa ipotesi, avrebbe compiuto nella sua Bologna, alla fine dell'anno 1936, il secondo secolo di vita. L'ipotesi è basata sopra una particolarità che si riscontra nell'Imprimatur del più antico esemplare di detto lunario, giunto fino a noi, e conservato nella Biblioteca Ambrosini; quello per l'anno 1737. Da tale Imprimatur infatti, si apprende che prima di permettere la stampa della piccola effemeride, si chiese, su di essa, il parere di un Consultore del Sant'Uffizio. Ma poichè una simile richiesta non fu più ripetuta negli anni successivi, è logico che l'Ambrosini abbia, in via d'ipotesi, accolto il 1737 come data d'origine dell'effemeride stessa. A questo proposito però, è da tener presente che nell'esemplare sopra citato, non si trova alcuna di quelle avvertenze o prefazioni che, in ogni tempo, editori, autori o compilatori hanno ritenuto necessario di premettere al primo numero delle loro importanti o modeste pubblicazioni periodiche, per farne conoscere gli intendimenti e le finalità. Ed è inoltre da considerare che nel testo del medesimo esemplare, il Duttòur Truvlein, rispondendo a chi gli chiede se fa il lunario per l'anno nuovo, cioè per il 1737, racconta d'essere stato costretto, dalla rogna che gli tormentava le gambe, a rimanere tappato in casa e di avere, in quel tempo, lavorato al suo lunario ultimandolo più prèst dal solit.

Ora la mancanza dell'avvertenza preliminare, già di per sè sintomatica, e l'esplicita risposta del Dottore, inducono facilmente a credere che, anche prima del 1737, il libriccino abbia visto la luce. In ogni modo, il superstite lunario di tale anno è garanzia dei due secoli trascorsi, e la più antica origine della pubblicazione giustifica maggiormente il cenno commemorativo. Certo è che, anche nel mondo degli almanacchi, un doppio centenario non è cosa comune e conviene pensare che il modesto fascicoletto sia stato, fino dal principio, provvisto di validi coefficienti per aver potuto raggiungere così eccezionale longevità. E infatti, Giulio Tommaso Colli che fu prima commesso e poi comproprietario della Tipografia bolognese di San Tommaso d'Aquino e che diede vita al nuovo lunario, non si contentò di comporlo nelle forme consuete, non si limitò a dar con esso le attese notizie e i desiderati pronostici, ma scrivendolo tutto nel patrio dialetto, vi aggiunse un breve dialogo morale e fatto che apparve subito come una piacevole novità, e fu inizio di lunga ed insperata fortuna. Oltre a ciò, il Colli diede al lunario il titolo di Usservazion celest fatt' int' la Muntagnola dal Marcà dal Duttòur Truvlein, e poscia, nel 1741, lo modificò sopprimendo l'indicazione di luogo. Ma originariamente egli volle creare, con lo scherzoso nome dell'astronomo, l'immutabile protagonista dei suoi dialoghi annuali. Nacque così il personaggio del Dottor Trivellino o Succhiello che dir si voglia, il quale non fu mai una maschera, come si è voluto affermare, ma semplicemente un tipo di onesto uomo, laudator temporis acti, immaginato e disegnato con chiari intendimenti di propaganda moralizzatrice.

Nelle duecento apparizioni sul suo minuscolo palcoscenico di carta, il nostro Dottore è sempre un legale (avvocato o notaio), che, nonostante qualche esclamazione caratteristica e frequenti citazioni latine, si differenzia notevolmente dal Dottor Balanzone. Egli non affligge il prossimo con interminabili e sconclusionate filastrocche, ma parla da persona equilibrata e sapiente, alla quale potrebbero solo rimproverarsi le continue prediche morali, se non si sapesse che sono la conseguenza della missione che gli è stata imposta. Quando è seduto al tavolo, nel suo studio, si trova a suo agio e sbriga gli affari e le cause con evidente competenza; attende, con grande impegno, alla compilazione del suo Lunario, ma perde la maggior parte del tempo ad ascoltare diatribe e querimonie di poco conto. Ha l'animo disposto al bene e senso di giustizia. Si sforza di pacificare i contrastanti, d'indirizzare sulla buona via i traviati e di far cessare, quando è possibile, i litigi sorti fra persone di sesso diverso, con un buon matrimonio. È generoso d'aiuti anche pecuniari, ma a volte resta vittima della sua bontà. Non s'impiccia di politica, rimpiange spesso il passato, e professa saldi principi di vita sobria e intemerata, sostenendoli e propagandoli in ogni occasione. La sua esistenza tranquilla ha tuttavia qualche spina, rappresentata, usualmente, dalla balordaggine dei suoi giovani di studio, dalle chiacchiere invadenti delle sue domestiche e dalle stravaganze dei suoi clienti; personaggi che portano sempre una gradevole nota comica nei dialoghi, i quali appaiono, specie durante il primo secolo, vivificati ed illuminati dalle grazie gioconde e pittoresche di un linguaggio paesano ancora immune da sensibili alterazioni. Gli argomenti poi che a tali dialoghi danno pretesto, sono di solito tratti dalle vicende della vita quotidiana. Piccoli fatti, piccoli contrasti, vani pettegolezzi che talvolta però rivelano tendenze ed aspetti interessanti del costume dei tempi. Nessun riflesso vi si scorge, invece, dei grandi rivolgimenti politici che, magari con intenti di opposizione, avrebbero offerto materia a discussioni, critiche, satire e canzonature. Ma si vede che il Duttòur Truvlein, oltre a vivere quasi segregato nel suo studio, teneva sempre chiuse le finestre per attutire i rumori esterni, e si vede altresì che i molteplici scrittori delle piccole scene vernacole, quasi sempre persone di una certa cultura, seguirono, salvo poche eccezioni, una stessa linea di condotta, e furono, forse anche intimamente, nemici delle novità; tanto è vero che uno di essi, a tale proposito, faceva parlare il Dottore in questo modo:

Truvlein: Avennia gneint ed nov?
Faltinanz: Oh an i tegn drì.
Truvlein: L'ha ben po rasòn. Za nov particular adèss
an i n'è, e anch ch'a in fùss, l'è mei badar ai su interess,
chè el chiaccher j ein fatti pr'i uzius.

Quanto al Lunario vero e proprio, esso, fin dall'origine, ricalcò in parte forme già consacrate dall'uso. Diede brevi ragguagli delle stagioni, e ad ogni quarto di luna, seguendo le regole astrologiche, segnalò l'influsso benefico o nefasto dei pianeti dominatori. Inoltre azzardò pronostici su fatti diversi di carattere pubblico o privato, fissò i giorni per i salassi, aggiunse avvertimenti, consigli, massime e in seguito i numeri da giocare al lotto. Vediamo qualche esempio. Nel 1742 s'informano, con tutta serietà, i lettori del come venga suddivisa la dominazione dei segni dello Zodiaco sulle diverse parti del corpo umano e la notizia, nella sua allegra assurdità, merita davvero d'essere tolta dall'oblio. L'Acquario dunque, domina gli stinchi, i Pesci dominano i piedi, l'Ariete: la testa, il Toro: il collo, i Gemelli: le braccia, il Cancro: il petto, il Leone: il cuore, la Vergine: gli intestini, la Libra: le parti virili, lo Scorpione: le parti della cintura, il Sagittario: le coscie e il Capricorno: i ginocchi. Alla data del 4 febbraio 1759 invece, cadendo il primo quarto della luna, si legge: «Oh se che stavolta i omen aran rason s'is tenen ingamuffà al nas con al frajol, perché al fredd s'farà sintir. Giov che ai 8 s'uppon alla Luna, rindulcirà qualch poch l'aria. Lo istess tol a prutezer i ammalà, e si farà dal benefizi - Per cavar sangy e esibir purgant av servirì di di 6,7 e 10. El speranz d' cert minister svaniran pr'esser trop avid. La gelosi s'cazzarà in testa a una femna,ch'srà l'arveina d'so marè».

E nel 1821 è offerto a tutti questo saggio consiglio:

Pr'en scappuzzar, guardar dov s'mett i pi,
Non cm'a s'è scappuzzà vultars indri.

Verso il 1840, però, tutta questa materia ridotta e semplificata con l'andar degli anni, passò in dominio della poesia dialettale che cantò in vario metro le stagioni dell'anno e presentò, con agili terzine, i pronostici, gli avvertimenti, ecc., riallacciandoli così a precedenti, ma saltuarie innovazioni. Ecco un invito alla Primavera:

Oh bionda, oh bèlla
Mattazzulcina,
Delezia e spasom
D'l'umanità,
Vein vi, mett fora
Qula to fazzteina
Ch'sulliva l'anma,
Ch'rènd cunsulà.
Bell mustazzein rideint,
T'en vedd cm'at prega ed cor tutta la zèint?
ed ecco tre pronostici:
Anch st'ann Lettur, per quant ai ho savò
Dai calcol fatt, as vdrà, secònd al solit
Andar l'acqua a la bassa e 'l fùm in sù.
Se in sta quarta, lettur, an vlessi crèdder
Ch'ava da vgnir una timpèsta in mar,
An v'poss alter che dir ch'andadi a védder.
La mi gatteina salta cm'è una matta,
Quest em dis che al tèimp al vol far cvèl:
S'al mett al cul a moi l'è bèll e fatta.

Con simili versi, il lunario acquistò quindi un più deciso carattere letterario, e consolidò quella fortuna che, in ogni tempo, fu suscitatrice d'invidie e di concorrenze sleali. L'esistenza di una prima contraffazione del libercolino, viene infatti rivelata dai pochi esemplari che di esso ci rimangono fra il 1759 e il 1807, giacchè nel loro titolo figura l'aggettivo veir (vero) preposto al nome del Duttòur Truvlein, per affermare una indiscutibile priorità. E ciò si ripete più tardi, verso il 1827 e fino al 1859, ma in questo secondo periodo i due rivali si equivalgono, tanto dal lato formale quanto per la piacevolezza dei componimenti. Il contraffattore però, con una incomparabile faccia tosta, pubblica, nel lunario per il 1841, il ritratto del celebre astronomo accompagnato da questi versi:

Al babbi, o cheriatur, ch'a vdi què sù
L'è 'l ritratt d'quèll Duttòur ch' fa st' lunariètt,
Al qual vlånd ed persòuna èsser cgnussù
St'ann per la premma volta què al le mètt;
Se per furtouna sta fazzà n've dspias
A pssl liberameint ficcari un bas.

Ma di tanta improntitudine, il vero Duttòur Truvlein ebbe notizia in tempo e potè, nello stesso anno, rivendicare i proprii diritti di precedenza, mostrando tuttavia di credere che l'avversario fosse solo allora comparso, e dimenticando che i due libretti già da tempo uscivano ogni anno contemporaneamente. Diceva dunque il vero Dottore:

Dòp tant ann che Truvlin è rinumà
Pr'el sòu usservaziòn ch'sèimper s'truvonn
Dla mazòur esattezza e verità:
A s'trova st'ann chi vrev dari in tla vòus
(1) babbi, o meglio babi, equivale a muso..
Tulèndn' al nom e vstènd la so gabana...
Mo al n'ha psù avèir quèll canuccial glurious.
è dopo avere affermato che
Ognun che al mi Lunari porta sigh
Al prà verificar a dè per dè
Che d' qul' altr' el predizión en valn' un figh,

conchiudeva spavaldamente avvertendo che Un rival a Truvlin zert en fa pora!.

Ma l'altro continuò imperturbabilmente, negli anni successivi, a ornare le proprie pagine con l'accennato ritratto, il quale, a grande sorpresa dei compratori delle due pubblicazioni, apparve improvvisamente nel 1858 anche nel lunario primogenito, e così avvalorato:

Quest è al ritratt dèl vèir Duttòur Truvlein,
Ch'è in gran fazzènd per scrivr'al so Lunari;
Al stà inciudà degli òur al so tavlein,
E an batt nè pè nè pòns pr'en far di svari;
Comprà dònca st'Librèut ch'al còsta poch,
Vliv spender d'manch? Al còsta tri bajoch.

Che cosa era successo? Forse è impossibile saperlo, ma quel ritratto a doppio uso fa sorgere il dubbio che i due contendenti se l'intendessero fra loro come i ladri di Pisa. Fatto si è che per gli anni 1858 e 1859 i due lunari si fregiarono della stessa immagine dottorale, e che nel successivo 1860 la contesa ebbe termine in un modo veramente impensato. Scomparve infatti il vero Duttòur Truvlein edito dalla Stamperia Governativa della Volpe e del Sassi, lasciando libero il campo al rivale, che usciva dalla Stamperia dell'Ancora, e che, assunto così il peso della tradizione, potè continuare la sua via, modificando nel 1869 il proprio titolo, soverchiando facilmente, dal 1884 al 1889 un mediocre concorrente, e valendosi quasi sempre di ottimi collaboratori, per giungere, con le sole interruzioni del 1921 e 1923, fino ad oggi. E qui, fra i collaboratori, conviene ricordare Raffaele Bonzi, fecondo poeta ed eccellente prosatore petroniano, il quale, dopo avere avvivato l'almanacco con le sue spontanee e gustose scenette dialettali per circa un quarto di secolo, fino al 1914 e poscia dal 1934 al 1936, lo ha festevolmente assistito al compiersi del duecentesimo anno. Ma a questo eccezionale evento non era riserbata una lieta conclusione, giacchè in seguito ad alcune scherzose battute del dialogo, considerate, a quanto pare, di dubbia opportunità, il lunario per il 1936, dopo brevi giorni di vendita, è stato, in via amichevole, tolto dalla circolazione. Cosi, per un momento di distrazione, l'intemerato e circospetto Duttòur Truvlein, ha avuto anch'egli il suo bravo infortunio. Segni di decadenza sono inoltre da segnalare nell'annuale fascicoletto, durante l'ultimo ventennio, sia per le troppo frequenti ristampe di versi e prose già apparse negli anni precedenti, sia per l'abolizione delle previsioni meteorologiche, sia per la mediocrità di qualche improvvisato collaboratore; ma ciò non gli ha fatto perdere la benchè minima parte del suo pubblico fedele. La Tipografia editrice di Paolo Cuppini ne stampa ancora duemila copie ogni anno che si vendono in città e nei paesi della provincia bolognese, e molti parroci di campagna figurano fra i più affezionati acquirenti. È dunque in questo stato di cose che il nostro Lunario ha cominciato dal 1° gennaio 1937, il suo terzo secolo. Riuscirà a percorrerne tutte le tappe? E la sua piccola voce vernacola, nella quale è l'eco della tranquillità sonnolenta di tempi che sembrano più lontani del vero, potrà ancora farsi ascoltare fra l'assordante frastuono di una vita ultradinamica che corre verso il futuro con ritmo sempre più accelerato? Il pronostico non è facile, e tentarlo in senso favorevole, sarebbe forse eccessiva pretesa.

Quest'articolo, pubblicato nell'«Italia che scrive» dell'ottobre 1936, è qui ristampato con modificazioni ed aggiunte. RAIMONDO AMBROSINI: Al Duttòur Truvlein. Nella rivista «L'Archiginnasio» di Bologna,gennaio-aprile 1911. ALBANO SORBELLI: Storia della stampa in Bologna. Ivi, 1923.- Almanacchi bolognesi. Nell'Almanacco del «Resto del Carlino» per l'anno 1931. BIBLIOGRAFIA. Lunari del Duttòur Truvlein esistenti nella Biblioteca dell'Archiginnasio e nelle Collezioni Ambrosini e Trebbi. MELLONI GIAMBATTISTA: Alli o Memorie degli uomini illustri in santità, nati o morti in Bologna. Ivi, 1773-88, vol. 6 (Prefazione a volume primo). Oltre gli scritti, già citati, dell'Ambrosini e del Sorbelli. Testo tratto da: Oreste Trebbi, Cronache della vecchia Bologna, Compositori, 1938.