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Giovanna Bertolini Cataldi a Vienna all'epoca del Congresso

1811

Schede

Nell'anno 1811 si verificò in Austria una grave crisi finanziaria provocata dai sacrifici che il tesoro dello Stato aveva dovuto sostenere nel corso della lotta che impegnava l'Impero asburgico contro l'invadente tirannide napoleonica. Si ebbe perciò una vera e propria inflazione che colpì in modo particolare, come sempre avviene in casi analoghi, i possessori di titoli di stato. Fra i danneggiati vi fu Giovanna Contessa Bentivoglio nata Contessa Bertolini Cataldi, gran parte del cui patrimonio, pervenutole per eredità paterna, era appunto investito a Vienna. Era costei moglie del Conte Filippo Bentivoglio, XIII senatore di Bologna di sua famiglia, che aveva perduto la carica in seguito all'invasione francese del 1796. Il loro matrimonio aveva avuto luogo il 21 aprile 1793 e da allora essi avevano risieduto a Bologna nell'imponente palazzo di Borgo della Paglia (oggi Via Belle Arti) di cui, in quegli anni, veniva in gran parte rinnovato l'interno dal conte Filippo con non poco dispendio.

Giunto dunque l'infausto anno 1811, la contessa si trovò con le proprie sostanze considerevolmente diminuite, ma, a parer suo, il disastro avrebbe potuto essere evitato se il suo rappresentante a Vienna, il conte G. di Modena, avesse seguito appieno le sue istruzioni e non avesse invece agito di propria iniziativa. Molto probabilmente ella aveva ragione, perchè ci appare donna di pronta intuizione e dotata di facoltà di giudizio marcatamente positive. A noi poco interessano gli sviluppi della controversia. Basterà sapere che, dopo lungo scambio di vedute, a volte non disgiunto da vivacità ed anche da asprezza, la contessa troncò ogni rapporto diretto con il G., pretendendo da lui la restituzione, nel valore originario, di quanto eragli stato affidato. Ansiosa di seguire gli sviluppi della situazione, ella decise di recarsi in loco ed affrontò i disagi e i pericoli di un viaggio a Vienna, e giunse nella capitale austriaca verso la metà dell'autunno 1814. Di là intraprese un regolare e frequente carteggio con il marito rimasto a Bologna, carteggio che si interrompe per il periodo in cui lo stesso Filippo la raggiunse a Vienna. Non appena arrivata e stabilitasi in Salvatorgasse, la Contessa riannodò rapporti di amicizia con alcuni italiani colà residenti. Una delle sue prime visite fu dedicata alle Monache Salesiane presso le quali era stata in convitto e così al Nunzio che, per quanto la situazione fosse incerta, ella reputava il rappresentante del proprio Paese. Visto poi che i passi di comuni conoscenti presso il conte G. non portavano ad alcun risultato, la contessa Giovanna, (o Jeannette, come firmavasi nelle prime lettere al marito) si recò in udienza dall'Imperatore; e nel corso di questa, con la più bella disinvoltura, lo pregò di restituirle il suo, accettando in cambio i suoi diritti di credito verso il G. Come rimanesse l'Imperatore a questa proposta è facile immaginarlo e la stessa Bentivoglio ci informa che egli gentilmente le disse di non potere accondiscendere, ma promise il massimo interessamento. Le udienze si ripeterono assai numerose e dovremmo seguire le fasi delle cause che ebbero luogo fra la Bentivoglio e il G. per darne un quadro adeguato. Ogni citazione, riquisitoria, ordinanza che ricevesse dai Tribunali era motivo perchè la Contessa si recasse dall'Imperatore. Va osservato che le udienze erano tenute giornalmente e accessibili a tutti "dal primo Signore all'ultimo miserabile dell'Impero", come è rimarcato in una lettera in cui si deridono alcuni signori bolognesi che, "esssendosi recati all'udienza andavano pavoneggiandosi come se fossero stati presentati a Corte". Il carattere vivace della Contessa appare da ogni riga delle sue lettere che raggiungono la cifra di varie centinaia, sia che tratti argomenti familiari o di economia domestica, sia che si arrischi a proferire giudizi sulla situazione politica e sui personaggi più alti. Non è quindi da meravigliarsi se la sua corrispondenza fosse spesso aperta dalla censura e letta nei cosidetti "gabinetti neri" della polizia di Metternich. Ed è per ovviare a questo inconveniente che ella escogitò di scrivere, di quando in quando, un poscritto con succo di limone, essendosi accordata col marito che questi dovesse riscaldare il foglio, affinchè lo scritto apparisse, ogni volta che alla sottoscrizione fosse accompagnato il disegno di un cuore.

Non v'ha lettera che non contenga notizie della causa e questo è l'argomento in cui ella maggiormente si infiamma, come quando venne a scoprire che dietro alla supposta disonestà del G. si nascondevano i raggiri di un trafficante ebreo che ne aveva ricavato l'utile per poi fallire fraudolentemente. Ma non tralascia l'occasione di informare il marito di quanto possa interessarlo. Nonostante si rechi raramente in società è sempre al corrente di quello che viene trattato nelle riunioni del Congresso e si compiace di potere essere la prima a comunicare notizie importanti. Però una volta è presa da scrupoli e dopo aver annunciato la fuga di Napoleone dall'isola d'Elba osserva: "altre notizie non ho, non volendo essere incolpata di fare la gazzettiera". Così al 28 dicembre 1814 scrive: "Venghiamo alle nuove del Congresso che pare, al parere di tutti, che si sia al principio. Ieri però mi fu detto da persona stata dall'Imperatore che assolutamente il medesimo si era espresso che Bologna sarà del Papa, e presto, questo ti prego di non dirlo a chi non lo potesse gradire". Nelle lettere successive continua a tenere al corrente il marito delle trattative e probabilità relative a Bologna, finchè in data 12 giugno 1815 si affretta a comunicare: "ad un'ora dopo mezzogiorno finalmente è stato deciso che le legazioni siano rese al S. Padre, ed io ne sono stata subito informata dal Sig. Evangelisti, segretario della Cifra, e sul momento sono andata da Mons. Nunzio, per fargli le mie congratulazioni, con le lacrime agli occhi dalla contentezza. Dio sia laudato, finalmente la vigilia di St. Antonio sono terminate le nostre angustie, e speriamo che non saremo più tribolati per le orribili tasse che da 19 anni, meno sette giorni, abbiamo dovuto soffrire, non più leve forzate, alloggi che disturbavano e giorno, e notte, insomma lusinghiamoci di avere la nostra quiete per sempre, tutti i giorni non vedremo più editti angustiosi come è stato per il passato, e leggi contro Dio e gli uomini. Chi avrebbe mai detto che quello che io tre anni fa andavo a trovare in prigione, cioè Mons. Mazio, sarebbe quello che doveva passare per Bologna per portare la nuova al St. Padre della restituzione delle Legazioni".

Alcune notizie riguardanti aspetti politici della massima importanza vengono comunicati dalla Contessa al marito con un tono scherzoso, quasi di pettegolezzo, come quando il 14 febbraio 1815 gli scrive: "vi è da aggiungere che Parma si dice debba tornare alla Regina d'Etruria, e l'ottimo Re di Danimarca, tuo protetto, li è (sic!) toccato la Pomerania, la quale ha dovuto vendere al Re di Prussia per 6 milioni, ed avendone avuti due di debito, ne avrà quattro i quali gli saranno pagati dall'Inghilterra. Il Re di Sardegna vecchio si fa gesuita, quello di Napoli s'è fatto lo sposo, quel Re che aveva Carolina d'Austria, il Re di Svezia ha ripudiato la moglie e sposato una svizzera, l'ha bastonata e mandata a casa, e adesso poi vuole fare un picknik per Gerusalem; vuole dieci individui, che devono dargli tremila fiorini per uno, e lui farà l'economo ed il randevù (sic) è a Triest"; e aggiunge "nel salutare Broglio ditegli che si faccia innanzi per purgare i suoi peccati". Nella stessa lettera, al marito che le chiedeva la sua approvazione riguardo un acquisto immobiliare a Bologna, risponde: "quello che fa un marito deve piacere alla moglie, tranne dei corni"! Numerose sono le uscite del genere che affiorano nel corso della corrispondenza, a volte espresse con notevole libertà di linguaggio, non pertanto prive di un'arguzia tutta personale. Ad esempio quando si preoccupa delle occasioni di distrazioni extraconiugali che può procurare al marito la carica di Direttore dei Teatri e Spettacoli in Bologna. Al tempo stesso lo ragguaglia dei propri corteggiatori, uno dei quali, forse più assiduo, chiama scherzosamente "diavolo tentatore".

Frequenti sono i dettagliati resoconti di avvenimenti cui in Vienna prende parte e così la descrizione dell'Ingresso ufficiale del Nunzio Apostolico celebrato con tutte le solennità del vecchio cerimoniale spagnolo vigente alla Corte absburgica. A questa festività prendono parte in qualità di Paggi Nobili del corteggio del Nunzio, i due figli Ludovico e Gerolamo che vivono con la madre a Vienna. Ne vengono descritti i ricchi costumi e dalla lettera trapela il compiacimento materno per l'onore ricevuto. Ma non sempre i due figli sono occasione di compiacimento, mentre spesso destano preoccupazioni nella madre, che, sola, si trova a dover fronteggiare i loro caratteri troppo indipendenti e insofferenti di ogni tutela. E così allorchè qualche mese dopo i due manifestano il desiderio di entrare nell'Imperial Regio Militar Servizio, è la madre stessa che consiglia il marito a dare il suo consenso, prevedendo che un periodo di vita militare avrebbe un po' domato i due ribelli. Da Bologna intanto amici e conoscenti pregano la Cont. Bentivoglio di favori e commissioni a Vienna, ed ella si dà premura di compiacere tutti, nei limiti del possibile. Così, nel 1815 trasmette per conto di certo Manfredini un memoriale all'Imperatore delle Russie e poco dopo informa soddisfatta che la grazia richiesta è stata ottenuta. Altre volte fa da Banchiere a bolognesi che si recano a Vienna e invia al marito i conteggi di quanto egli debba farsi rifondere, precisando i corsi alla giornata delle varie valute. Spesso tratta acquisti: da cembali, servizi di porcellana, cristalleria e argenteria ai fazzoletti per la Marchesa Boschi. Molto ospitale apre la sua casa ai bolognesi che si trovano a Vienna e li fa accompagnare dai figli nelle visite della Capitale e dei dintorni. Nel 1815 le viene raccomandato il giovane Marchese Camillo Marsigli cui, dai genitori, era stato fatto precludere il ritorno in patria per tenerlo lontano da una relazione amorosa che ad essi non garbava. Essendo coetaneo dei due figli Bentivoglio si accompagna spesso ad essi con non eccessivo piacere della loro madre che teme abbiano ad imparare l'insubordinazione ai voleri dei genitori.

Altri bolognesi di passaggio a Vienna sono il Marchese e la Marchesa Sampieri accompagnati da cuoco e cameriera francesi, credenziere, cavalcante e cacciatore tedeschi e maggiordomo inglese. La Contessa Giovanna recatasi in visita commenta: "La sua casa ha da essere una vera Torre di Babel... ne viene di conseguenza che se non prende per Cappellano Mezzofanti non saprà comandare per niente alla metà della sua servitù. Essendo, dunque, anche personalmente in contatto con bolognesi, è tanto più al corrente degli avvenimenti di Bologna, e li osserva dal proprio punto di vista; per esempio, quando il 4 marzo 1815 scrive al marito: "Ho saputo che Ottavino Malvezzi ha fatto la bell'eredità dal Conte Prospero Ranuzzi, a questo, cioè a Malvezzi dategli il mi rallegro e ditegli che gli auguro che la goda per mill'anni ed in pace e salute, ma siccome un giorno o l'altro bisognerà che ancora lui vada al Creaore, se lui e il fratello non avranno figli, gli raccomando i miei che ne hanno proprio bisogno considerando come la roba mia è andata". Ma dobbiamo che questo accenno alle proprie sfortune finanziarie, non risponde del tutto alla verità. Infatti, pur lentamente, e a prezzo di un'attività oculata ed instancabile, quanto mai singolare in una donna a quell'epoca, la Contessa Bentivoglio riuscì a rientrare in possesso di gran parte, se non di tutto, il suo avere. Ma, per ottenere questo, il soggiorno a Vienna che, inizialmente, era previsto in alcuni mesi, si prolungò di anno in anno.

Un diversivo ebbe luogo nel settembre 1817 allorchè nell'intervallo fra l'istruzione di un appello, nella sua causa, e la relativa sentenza, la Contessa in compagnia dei due figli visitò Moravia, Polonia e Boemia, trattenendola il prematuro inverno russo dal proseguire fino a St. Pietroburgo e Mosca, come era sua iniziale intenzione. Le lettere scritte nel corso del viaggio presentano un notevole interesse per le osservazioni spontanee e personali sui paesi trascorsi e per i ragguagli sulle condizioni di viaggio e costi relativi. Le città sono descritte compendiosamente, spesso senza eccessivo entusiasmo, con accenni ai programmi dei teatri, alla frequenza ai luoghi di passeggio, al lusso osservatovi, ai negozi. Palazzi e Chiese sono osservati con l'occhio piuttosto severo di chi è sempre stato avvezzo al meglio. Non mancano osservazioni interessanti sulle persone conosciute, commenti molto favorevoli sulla grande ospitalità, in particolare dei signori polacchi. Di molti di questi valuta le altissime entrate e fa progetti di poter maritare nell'una o nell'altra di queste case, almeno una delle proprie figlie, e prega il marito di mandarle, allo scopo, i loro ritratti. A Varsavia, per appagare la curiosità dei bolognesi, chiede di Grabinsky e informa che ha saputo solamente che "è nato nobile ma povero". Curiose sono le notizie dei disagi avuti nelle tappe in piccoli villaggi di contadini polacchi. Non sembra tuttavia troppo afflitta di avere dovuto dormire più volte sulla paglia e di essere stata svegliata dal pollame razzolante su tale primitivo giaciglio. Pieni di arguzia poi i commenti sui sordidi villaggi di ebrei, sempre in Polonia; in uno di questi fu alloggiata con figli e servitù addirittura nella Sinagoga e, per avere un po' di libertà, dovette ritirarsi dietro la tenda del tabernacolo ove, invece delle tavole della legge, trovò tracce tali che la convinsero di non essere la prima ad usarlo a tale scopo!

È impressionante, se si pensa ai mezzi di allora, la descrizione della discesa nella miniera di sale di Vilisca, ove a 130 Klafter di profondità (circa 260 m.) trova una caverna che avrebbe agevolmente contenuto il Palazzo Bentivoglio di Bologna. Lo stesso viaggio, ed altri ancora più interessanti, la Contessa si augura di potere un giorno fare in compagnia del marito; la separazione da questi le è quanto mai dolorosa, ma ormai non sa più decidersi a lasciare Vienna ove trascorrerà i pochi anni che ancora le restano da vivere. Qui, ancora nel pieno della sua maturità, cessò di vivere il 26 febbraio 1827. Il suo cuore soltanto tornò a Bologna, sua città di adozione, di cui aveva detto che "ha tutti i difetti dei paesi grandi, ed il pettegolezzo dei paesi piccoli".

GIUSEPPE MONDANI

Testo tratto da "Una dama bolognese a Vienna all'epoca del Congresso", in "Strenna storica bolognese", anno 6, 1956.