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Giocare a calcio a Medicina

1945 | 1960

Schede

Dal dopoguerra fino agli anni ’60 si svolgeva a Medicina un torneo di calcio notturno tra paesani, molto sentito dai medicinesi, al quale tutti volevano partecipare: le “balle”, i bar, i circoli, le cooperative, le frazioni, i comuni vicini. Si formavano accese tifoserie e si giocarono partite di cui i medicinesi continuavano a parlare per settimane: eco particolare ebbe l’incontro tra il Ganzanigo e il Portonovo, in cui il primo battè il secondo nonostante che nelle file del Portonovo giocasse un certo Giacomo Bulgarelli, già dei ragazzi del Bologna F.C., che di lì a poco avrebbe militato in serie A col Bologna e nel 1962 avrebbe partecipato con la Nazionale Italiana ai mondiali in Cile segnando due reti alla Svizzera. Scaldò gli animi dei tifosi medicinesi anche la sonora e sorprendente sconfitta della squadra organizzata dal mitico Bar Gelateria Sport di Fredo e Lisetta, che pure aveva ingaggiato fior di giocatori, da parte della squadra dei Tre Scalini, sulla carta di ben più modesta caratura. Memorabile fu anche la partita fra i Montecchi e i Purz, in cui il portiere Galvani fece un errore pacchiano subendo un goal e un suo compagno di squadra, Nerino Luminasi, si mise ad inseguirlo per tutto il campo da gioco per menarlo.

I mezzi economici erano pochi e le difficoltà venivano superate grazie alla passione, alla volontà ed alla generosità soprattutto di Fedele Palmirani e di Adone Pasquali che organizzavano il torneo. Il pubblico partecipava numeroso e a tutte le partite riempiva la tribuna del campo sportivo di Via San Paolo. I giocatori del Medicina Calcio venivano divisi in parti uguali tra le squadre e tanti, giovani e non, avevano la possibilità di giocare e di mettersi in mostra. Sono passati così dal torneo tanti personaggi noti: fra essi il maestro Tristano Brini, i fratelli Silvano e Walter Galletti (commercianti), Tonino Turtura (grande juventino), Ilario Brini e altri. Capitava di vedere personaggi come Bruno Bertolini (detto Pullo), un ambulante che del giocatore non aveva niente, essendo grasso e tarchiato: sul campo però aveva uno scatto bruciante, era molto coordinato nei movimenti e saltava molto in alto per colpire di testa. Succedevano spesso inconvenienti dovuti alle precarie condizioni dell’impianto elettrico. Una sera Luigi Balduini (detto Gig), che giocava come portiere nella squadra dei Tre Scalini, nel rinviare il pallone lo mandò a colpire il cavo che reggeva la fila delle lampadine di metà campo facendo crollare tutto l’impianto. La partita venne rinviata. Nell’estate del 1958, mentre giocavamo al pallone di fianco alla stazione, cosa che facevamo tutti i giorni prima di rientrare al lavoro, Mario Zuppiroli (detto Minghèn), incaricato di formare la squadra della Cooperativa Falegnami, mi chiamò a sé e mi disse: “Quest’anno nel torneo giochi anche tu”. Avevo sedici anni e non avevo mai giocato in una vera partita con arbitro e pubblico; Fedele Palmirani mi aveva chiesto più volte di andare ad allenarmi con i ragazzi del Medicina Calcio, ma avevo sempre rifiutato perché ero miope, portavo gli occhiali con grosse lenti e avevo paura di farmi male. Quella volta invece, per fare qualche partita, a Zuppiroli dissi di sì. Venne il giorno della partita. Lasciando il lavoro passai dall’ufficio a prendere la busta in quanto era giorno di paga e andai a casa in bicicletta. Lungo le scale incontrai Mimmi (detto al piatlèr) alle prese con un grosso mazzo di giunchi; lo aiutai fino al suo pianerottolo dove, come tutte le sere dopo cena, con i giunchi avrebbe ricoperto fiaschi, bottiglioni e damigiane: Mimmi aveva sette figli da mantenere. Giunto in casa dissi a mia madre che avrei cenato prima del solito. Tornai giù, presi la bicicletta e andai fino al campo sportivo: ero teso e cercavo di sciogliermi. Tornato a casa mi cambiai, mangiai poco e stavo per uscire quando mia madre mi disse: “Pietro, oggi non era giornata di paga?” “Sì, è vero” ribattei io, poi andai alla sedia su cui avevo lasciato i calzoncini, misi le mani in tasca ma la busta non c’era più. Rimasi pietrificato: eppure l’avevo messa in tasca, ero sicuro! Mia madre non disse niente. Mi misi a correre su e giù per le scale, tornai a ritroso fino alla Cooperativa fermandomi a guardare tutti i pezzi di carta; andai fino al campo sportivo, ma della busta non c’era traccia. Ansante, sudato ed avvilito tornai a casa e dissi a mia madre che non l’avevo trovata. Avevo comunque dato la mia parola; presi la borsa e andai al campo, svuotato di ogni energia e con la testa altrove. Raccontai tutto a Zuppiroli, ma lui mi fece giocare ugualmente. La partita finì in pareggio e io giocai male: non riuscivo a concentrarmi, pensavo a mia madre; la busta era la paga di un mese e in casa mia la sua mancanza si sarebbe fatta sentire. Certo che il mio debutto in una partita ufficiale l’avevo sognato diversamente!

L’ultima domenica di agosto verso mezzogiorno ero appoggiato al banco del Bar Italia e stavo parlando con il barista Nanni quando un ragazzo circa della mia età, che conoscevo di vista, si appoggiò al banco anche lui, si girò verso di me e mi chiese: “Ti chiami Poppini?” Lo guardai e risposi: “Sì, perché cosa hai fatto?”. Lui tentennò un po’, poi mi spiegò che circa un mese prima aveva trovato una busta paga e, non conoscendo il nome, l’aveva portata a casa, poi era partito per le ferie. Nei suoi pensieri, mi confidò, c’era l’intento che se ne avesse avuto bisogno avrebbe adoperato il danaro contenutovi. Questo però non successe, e il buon senso e l’onestà presero il sopravvento, mise la mano in tasca e mi consegnò la busta. Rimasi allibito da un simile comportamento e lo ringraziai ugualmente della sua onestà, anche se tardiva. Il mio pensiero andò subito al viso di mia madre che si sarebbe illuminato quando di lì a poco le avrei riconsegnato la busta.

Pietro Poppini

Testo tratto da "IL DEBUTTO" in "Brodo di serpe - Miscellanea di cose medicinesi", Associazione Pro Loco Medicina, n. 6, dicembre 2008.