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Giannina Milli a Bologna

1858 | 1859

Schede

O non domata mai dalle rubelle
Sorti onde geme Italia...
Tu se' pur quella che cedesti, è vero,
al comun fato, ma più tardi; e tanto
In te rimase del valor primiero
Che l'offensor non mai rise al tuo pianto.

Così con elogio meritato, l'improvvisatrice della redazione italiana, come Raffaello Barbiera chiama la Milli, salutava la città dell'Otto Agosto. Era ancora Bologna soggetta al dominio straniero, allorché la poetessa venne a portarvi il fascino del suo estro meraviglioso. E come dovunque, così anche a Bologna, e più forse a Bologna che altrove, i suoi fervidi canti improvvisi raccolsero larga messe di entusiastiche acclamazioni. Il momento politico che la città attraversava conferiva a quei canti, per l'alta nota patriottica che entr'essi vibrava, una potenza come di suggestione. E pareva ch'essi fossero promessa ed arra dei fausti eventi prossimi a maturare, ignoti ancora perché ancora nascosti in grembo al futuro, ma auspicati ed attesi. L'ambiente era propizio all'ospitalità della fervida musa patriottica, e l'ospite era degna dell'ambiente. Quale omaggio riverente alla memoria dell'inclita poetessa, per l'alte benemerenze che la raccomandano a perenne gratitudine dei cuori italiani, daremo qui, in succinta, a fedele narrazione, le principali notizie che la riguardano. I pubblici trattenimenti (accademie, com'erano chiamati) ch'ella diede in Bologna, e le onoranze che premiarono il miracolo della travolgente vena poetica di cui era dotato, e gli entusiasmi che suscitò nella dotta città non meno che altrove, sono i motivi che ci inducono a parlarne. Fra le donne benemerite del riscatto nazionale ella ha ben diritto di essere annoverata. Italia intera fu il campo ove assolse il compito, certo commessole dal Cielo, di diffondere la fiamma di purissima italianità ond'era accesa. E però in ogni parte della penisola, ovunque risuonò la sua voce ispirata, ell'ha diritto di cittadinanza. Era nata a Teramo, di povera gente, nel 1825. Era nata poetessa. Nella sua concezione aveva germogliato il seme della poesia. La madre nel 1824 udita l'improvvisatrice Rosa Taddei, tanto n'era rimasta impressionata, che sempre poi l'aveva avuta presente al pensiero. Pronuba della Giannina quella viva memoria.

Il genio poetico, fiore che nasce spontaneo insieme ai primi palpiti della vita, ben presto in lei si annunziò. Il pentametro ovidiano “Et quod tentabam dicere versus erat” le si attaglia mirabilmente, perché bambina, di non più che sei o sette anni, faceva dei versi. Nel 1832, in occasione d'una visita del re borbonico a Teramo, la piccina gli fu presentata e declamò avanti a lui varie poesie. Egli la premiò chiamandola a Napoli e accogliendola nel convitto delle figlie dei militari. Ivi stette alcuni anni; ma poi a causa della comparsa del colera in quella capitale, la madre la tolse di là e la ricondusse a casa. Avida e insaziabile di letture, da uno zio materno che aveva bottega di libri n'era fornita a piacere. Ma poi la madre, costante nell'intento di crescere in quella sua promettente creatura un'emula di colei la cui esibizione poetica l'aveva durevolmente commossa, l'affidò alle cure d'un precettore. Questi, un loro esimio concittadino, Stefano Demartinis, durante il decennio 1840-50 fu alla fanciulla guida amorevole e giudiziosa negli studi letterari. Ventenne ell'era allorché udì in Teramo il Regaldi. Gli fu presentata e gli esibì alcuni saggi di poesia estemporanea. Egli ne rimase ammirato e le vaticinò la fama che l'aspettava.

“Sarai una stella dell'Italia nostra” esclamò, aggiungendo a voce sommessa: “Ch'oggi avvilita allo stranier si prostra”. Ricordò ella poi nel 1860 al poeta novarese il loro incontro di Teramo e la fede che da quello aveva attinta di poter non indegna entrare nell'arringo poetico. 

Un dì romita giovinetta oscura
Te nel fervor dei sacri estri ammirai;
e dai conforti tuoi fatta sicura
al vol dei carmi anch'io m'abbandonai.,

E già prima, fin dal 1848, attribuiva al Regaldi il merito d'averla coll'esempio incamminata sulla via del poetare improvviso.

Pei monti apruzii un italo cantore
Peregrinando, udir fe' l'armonia
Dei carmi suoi, che del disio d'onore
infiammar la commossa anima mia

È nel 1848 ch'ella raccoglie in un volume le sue prime poesie e le dà alla luce. In esso ella canta gli avvenimenti di quell'anno memorando e le fervide speranze che suscitò. Ma il volume divenne subito rarissimo, perché pericoloso a chi lo possedeva. La Milli fu accusata tenuta d'occhio dalla polizia, minacciata di carcere, perché sospetta repubblicana. Il padre temendo una perquisizione diede al fuoco di quella raccolta di versi incriminati di patriottismo tutte le copie ch'erano in casa. Alcuni anni dopo nel suo Addio a Napoli la poetessa con mesto accento ricorda i liberi carmi proscritti dalla reazione.

Qui fervidi voti al cielo alzai
Nel dì che parve d'altra età foriero!
Libero carme disnodar sognai Ad un risorto popolo guerriero,
E di Corinna assai più degna, alfine
Di cittadini allor cingermi il crine.

Ma la tristezza era per altro la nota predominante, abituale e continua, nella sua poesia. Tristezza ingenita forse, certo profondamente impressa nell'animo suo.

Dalla certa mia sfida compagna
Radio in traggo giocando armonia:
Mesta è sempre quest'anima mia,
Come il carme che parte da me.

Certo i luttuosi rovesci delle fortune italiane negli anni della sua prima giovinezza, allorquando più vivo e ardente è il sentire, dovettero agevolmente lasciar traccia di afflizione nel tenero cuore già amareggiato dallo spettacolo della povertà e privazione della famiglia, di cui ell'era a carico e ne accresceva il disagio. Eppoi anche la morte era venuta spesso a portavi il suo lutto. Sei fratelli e sorelle di Giannina aveva essa rapito. Così il pianto era ospite assiduo della povera casa e ne teneva chiusa la porta ad ogni raggio di giocondità. Un'aria di mestizia lungamente respirò la fanciulla, e d'essa poi sempre si risentì. La stessa predilezione materna non era interamente fatta per rallegrare. Il dubbio, che spesso l'assaliva, di non avere ala sufficiente a toccare la metà cui era indirizzata, e a cui pure tendevano ansiosamente le naturali potenze dell'animo suo, le dava pena. Avrebbe ella mai ripagato la madre delle cure amorose, perseveranti nel proposito di far di lei quella che poi divenne? Così fra sconforti e speranze, accompagnata da inseparabile malinconia percorreva la strada apertale dal genio, che doveva condurla alla celebrità. Preceduta dalla fama che già attorno suonava alto il suo nome, ella mosse i primi passi fuori della città natale nell'agosto 1850. Ad Aquila e Sulmona conquistò i primi allori. Indi si avventurò a Napoli, ove ancor viva l'eco armoniosa dei carmi di Giuseppina Guacci durava. Noncuranza e diffidenza si associarono a contrariala, ma ella presto le vinse. Sentiamo in proposito un suo biografo, Oreste Raggi. Poiché Napoli è il principal punto di partenza nel giro trionfale, più che trilustre, ch'ella fece attraverso l'Italia, non sarà inutile conoscere come vi fu accolta, e di quale tempra ella fosse, e di quanto plauso circondata.

Dice il biografo: «Andò nella vasta e popolosa Napoli, senza nome, senza raccomandazioni. Insieme alla buona madre, compagna carissima e indivisibile, si trovò come perduta in mezzo a quel vorticosa oceano di popolo e a quel frastuono universale». «... Pure conveniva avventurarsi. A Portici annunziò la sua prima accademia». «...All'ora stabilita si aprì la sala; ma le povere donne avevano un bell'aspettare il concorrere di molta gente!... La madre diede ordine a chi guardava la porta che facesse entrare gratuitamente chiunque avesse voluto entrare, purché si riempissero i seggi. Ma tutto indarno, ché comporre quell'uditorio. Erano poi queste persone, salvo pochi amici, così mal disposte e tiratevi come a forza, che a non altro si avvisavano esservi venute se non ad annoiarsi, e gli'impertinenti e poco umani lo vollero fare intendere alla poetessa medesima, cui fra le rime del primo sonetto diedero a scherno seccatura, iettatura, ed altre siffatte. Ma di nobile e virile animo, ella si fa in quel momento altera, disdegnosa, e canta che non potrà mai la iettatura su di lei, disprezzatrice delle volgari superstizioni e dei codardi insulti. Canta un secondo tema, il cattivo tempo; e in quel mentre pioveva difatti. Non appena aveva ella incominciato il suo metro, un raggio di sole squarcia le nuvole, penetra le finestre della sala e illumina, come fosse un'aureola, il capo dell'ispirata donzella... prende occasione da quella inaspettata luce a fare una descrizione sì viva del tempo che gli uditori son tratti fuori di loro... ». «In breve fu piena Napoli di tanta meraviglia, e quindici giorni dopo, annunciata la sua prima accademia in questa grande città nella sala di Monte Oliveto, bastò l'udirla perché tutti fossero rapiti al più vivo entusiasmo. Il dì appresso, dovunque ella passava, la sua vettura era ripiena di fiori: il suo nome ripetuto per ogni bocca: ella ricercata a gara, desiderata: potenti e letterati, gentili matrone, studiosi giovani, non vi era gente che non corresse ove fosse la Milli, non accademia che non la volesse sua. E tra le accademie ricorderò la Pontaniana che la elesse sua socia onoraria per acclamazione; fra i letterati Giulio Geonoino allora venerando ottuagenario che le divenne piuttosto padre affettuoso che amico...». Ormai sicura di sé fece il giro della Sicilia, accendendo gli animi ovunque col fuoco delle sue ispirazioni. E per vari anni le terre di qua e di là dal Faro l'udirono, finché ammonita spesso, benché paternamente, dal Governo a moderare gli accenti troppo libri, si decise con festa entrò in Roma, e subito vi conquistò le grazie non pure del popolo ma dell'aristocrazia, fino alla regina di Spagna Maria Cristina, fino a Pio IX. Fu insignita di medaglie d'argento, la prima delle molte che poi le furono conferite da varie città. Da Roma a Perugia e da Perugia in Toscana andò peregrinando durante quell'anno e il successivo 1858, ammirata, festeggiata, onorata ovunque. E fino all'epilogo della sua carriera poetica che fu nel 1867, ella passò di trionfo in trionfo. Non la seguiremo, ché sarebbe un continuo ripeterci. Ovunque si presentò, un coro di voci osannanti l'accolse, e l'entusiasmo seguì sempre i suoi passi. Milano, Torino, Genova, Firenze, Ancona, Venezia, Bologna, ed altre minori sorelle, gareggiarono nel renderle onore.

Lungo cammino sarebbe quello di tenerle dietro. Ci limiteremo ad accompagnarla e soffermarci con lei brevemente a Bologna. E breve fu pure la dimora ch'ella vi fece. Pervenutavi da Firenze nel dicembre 1858, la sera del 5 di quel mese tenne una prima accademia nel teatro del Corso. Il teatro era gremito di pubblico eletto. Il fiore della cittadinanza, la migliore società, quanti la nascita, l'intelligenza, la coltura, il patriottismo segnalava, v'erano convenuti. Sette furono i temi tratti a sorte tra i moltissimi presenti; ch'ella svolse. Il successo fu enorme. Dalle relazioni sincrone che ci rimangono di quell'audizione, riportiamo alcune frasi che non ne sintetizzano l'effetto. «Ognuno fu scosso come da elettrica scintilla». «Fervidissima è la sua mente, ordinata, piena di concetti alti e filosofici: il suo verseggiare facile e spontaneo». «Piena del sacro amore di Patria, dimenticò il Legato e gli austriaci voti per la futura felicità d'Italia». «Tale fu la potenza del suo improvvisare che a molti parve mandata fra noi dalla Provvidenza per suscitare nell'animo della gioventù generosi sensi di amor patrio». Quel primo esperimento lasciò ardente desiderio di riudirla. Ma il Governo preoccupato del favore che la pubblica opinione le dimostrava, oppose delle difficoltà. E quando ella poté ripresentarsi diciotto giorni dopo nello stesso teatro, affollatissimo, e fremente di applausi, la Censura all'ingresso aveva fatto un'accurata cernita dei temi, lasciandone nell'urna solo alcuni pochi che furono giudicati meno pericolosi. Ma nonostante tale cautela e nonostante che la Milli fosse alquanto indisposta, riuscì ella, non meno della prima volta, ad avvincere il pubblico e trascinarlo all'entusiasmo. Di molti applausi fu premiata, di molti doni. D'aurea medaglia andò insignita e d'altre due, d'argento e bronzo, portanti la scritta: «A Giovannina Milli – i Bolognesi - 1858 ». l'altra considerazione in cui fu tenuta le aprì molte case magnatizie. Fra le signore dell'aristocrazia strinse amicizie che durarono quanto la vita.

La sera del 7 febbraio 1859, l'anno della prima guerra liberatrice, il massimo teatro l'accolse, il Teatro Comunale. Il Municipio e la cittadinanza le avevano preparato un vero trionfo. La sala sfarzosamente illuminata a cera: il palcoscenico scintillante di mille luci e adorno di fiori a profusione: la grande orchestra al completo e gratuita. Vivamente commossa dallo spettacolo di quell'apparato di eccezionale grandiosità, ella superò sé stessa. Una feconda vena d'ispirazione, accompagnata da nobiltà di concetti e da facilità di espressione elegante e forbita e, sopra tutto, una piena onda di sentimento fecero delle sue improvvisazioni un gioiello di squisita genialità. Il godimento che n'ebbero gli uditori durò lungamente nel loro ricordo. Un busto riproducente le sue sembianze, lavoro in plastica d'un giovane scultore bolognese, le fu solennemente inaugurato in teatro; busto conservato ora nella Biblioteca dell'Archiginnasio. Otto mesi dopo, nell'ottobre, ella fu di nuovo a Bologna, dove, in unione ad altri artisti tenne un'ultima accademia nel teatro del Corso la sera del 21 di quel mese. Tale trattenimento fu dato a totale beneficio dell'emigrazione veneta, delle Marche e dell'Umbria. Bologna allora già era libera dal duplice giogo teocratico e straniero, e però le voci che si levarono ad acclamare la poetessa della redenzione ebbero un festoso tono d'esuberanza, come versi di lei furono più apertamente riboccanti di passione patriottica e di liberi sensi. L'ultima volta fu quella che i bolognesi l'udirono. Ella più non rivide la città delle torri, ma mantenne poi sempre, finché le durò la vita, col carteggio epistolare le amichevoli relazioni che vi aveva contratte. Fra i molti ammiratori contò le più cospicue personalità, e lasciò di sé e del suo merito eccezionale, come per ogni dove passò, un indelebile ricordo.

Merito autentico e incontestato. Oltre il plauso della folla e le molteplici onoranze che riscosse, n'è testimonio la considerazione in cui fu tenuta dal ceto letterario contemporaneo. Uomini come il Manzoni, il Tommaseo, il Niccolini, per tacer dei minori, ebbero la Milli in grande estimazione. Nelle pleiade delle poetesse del secolo decimonono, talune veramente encomiabili, e fra le improvvisatrici in ispecie, colle quali più consentaneo è il paragone, la Milli infatti fulge d'uno splendore tutto suo, inconfondibile e intenso. Non è la dovizia dell'ispirazione, né la facile abbondanza della vena, né la forbita proprietà dell'espressione, che la mette al di sopra delle altre: cose che in varia misura sono a tutte l'altre comuni. E non è neppure la fervida onda di sentimento, ridondanza d'affetto che nei suoi versi predomina e conferisce loro una maggiore efficienza di commozione. È qualcosa di più. Giuseppe Rigutini nella sentita commemorazione da lui fatta della Milli al Circolo filologico di Firenze, coglie esattamente la ragione della sua eccellenza. «Nessuna poetessa improvvisatrice destò mai intorno a sé tanto plauso, perché nessuna operò i morali e civili effetti della Milli». «Ella non cantò... su futili o vaporosi argomenti, né recò all'ara delle muse le corone appassite d'una fiacca e inutile poesia: ma soggetti precipuo del suo canto furono Dio, la famiglia e la patria, le grandezze, i dolori, le speranze d'Italia».

Oh, dolce patria! Oh mio perenne amore
Sola e vera mia musa ispiratrice

Sono suoi versi. E potremo, se non vietasse l'angustia dei limiti impostici, citarne a iosa dei simiglianti. Questo per la patria: per la famiglia la sua musa non riposa un istante. E nel quadro della sua poesia la figura principale è la donna, il pernio della famiglia la prima educatrice della società. Sulla culla, invece di nenie e fole, dice la madre al suo pargolo:

Cresci, e nel culto dei tuoi pardi a Dio,
apprendi anche l'amor del suol natio.

Patria e religione: la chiave di volta dell'edificio sociale. Ed ella fu, non meno che amante della patria, religiosa e pia. Ma non miope.

E bella le apparì cinta di fede,
stretta alle scienza e alla ragion, la fede.

Ma troppo ci condurrebbe lontano l'addentrarci nell'esame del contenuto etico della sua poesia.

Il sacro
Foco dell'arte e il cittadino amore

si compenetrano nell'animo suo con tutto il tesoro dei sentimenti nobilissimi che vi albergarono e con la fondamentale bontà. «Con la bontà dei versi rifulge quella della vita e l'una compie l'altra» nota il teramano professor pannella, altro dei biografi suoi. Amantissima fu della famiglia, cui procurò l'agiatezza; ché oltre ai proventi delle accademie, doni preziosi da sovrani (il re Vittorio Emanuele, la regina di Spagna, l'imprenditrice russa l'imperatore del Brasile), e pensioni e dotazioni l'arricchirono. Una fraterna carità l'accendeva a sollievo dei bisognosi. La sua beneficenza era vigile e pronta. Fu sempre d'un'euguale semplicità in ogni suo atto. I trionfi non l'insuperbirono. L'ingenua modestia non si smentì un solo momento. E Giovanni Frassi, il primo, nel tempo, dei suoi biografi: «Fu Giannina Milli una di quelle creature privilegiate che i cieli talora concordono a beneficio dell'umanità» «Nel cuore acceso d'ogni più gentile e gagliardo affetto consistette gran parte dell'esser suo...».

E qui avremmo finito, se non ritenessimo conveniente spendere qualche parola a dar ragguaglio dell'ultima fase della sua vita. Nel 1867, a 42 anni, diè fine al peregrinare poetico, e prese stanza a Firenze, e ve la tenne fino al 1872. aveva già da alcuni anni l'incarico d'ispettrice di varie scuole nelle province dell'ex-regno di Napoli, quando nel 1872, apertasi in Roma la scuola normale, ella fu chiamata a dirigerla, e in pari tempo v'insegnò storia e letteratura. Ivi conobbe il professor Ferdinando Cassone. Una reciproca affezione li avvinse e nell'ottobre 1876 li unì in matrimonio. Per quasi dieci anni elle visse una tranquilla vita domestica al suo fianco, a Caserta, a Bari, ove nel 1884 perdé la madre, e ad Avellino; città tutte ov'egli successivamente tenne l'ufficio di provveditore agli studi. Ma in quest'ultima, la malattia mentale che doveva condurlo al sepolcro, cominciò a manifestarsi e lo costrinse a lasciar l'ufficio. In Firenze, ove si ridusse, progredì e si aggravò inesorabilmente e, dopo due anni, nel febbraio 1888, lo spense. Il cuore di lei non resse allo strazio della terribile prova, quel suo cuore tutto affetto e tenerezza, già tanto fervido d'ispirazione e ch'ella chiamò la sua musa.

il cor favella: la mia musa è questa.

L'otto ottobre di quell'anno istesso cessò di battere. E la pura anima armoniosa si sommerse beata

nell'eterna armonia dell'universo.

Il Municipio di Firenze rese con magnificenza gli estremi onori all'nclita italiana e il fiore della cittadinanza concorse in folla a darle l'ultimo addio. Per tutta Italia la sua perdita fu sentita con unanime cordoglio. Le commemorazioni si susseguirono ovunque e si ripeterono nell'annuale. Dall'ampio coro delle voci, commiste di compianto e d'elogio, che si levarono attorno alla sua sepoltura, togliamo e ripetiamo, degno saluto alla cara memoria, le parole di Paolo Boselli, in quell'anno ministro per l'istruzione: «La poesia dell'anima italiana brillava nell'estro di Giannina Milli pel trionfo degli ideali patriottici».

ALFREDO CAVARA

Testo tratto da 'Giovannina Milli a Bologna 1858-59, nella rivista 'Il Comune di Bologna', maggio 1934, trascrizione a cura di Zilo Brati.