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Giovanni Brandoli detto/a Zanin dagl’Istori

notizie 1804 - 1823?

Scheda

Nel risveglio della popolarissima e tradizionale canzonetta bolognese, non è Fuor di luogo rievocare in queste pagine di vita cittadina, la tipica figura di un Antico Cantastorie bolognese che il popolo lo aveva battezzato par “Zanin dagl’Istori”. Era la mattina del 12 aprile 1812. A’ piedi della fontana di Piazza del Nettuno due individui, frammisti a un grosso pubblico, piuttosto vivacemente s’intrattenevano a colloquio. L’uno dal volto bonario, sulla settantina, di statura alta e ben complessa, dal naso grosso, dalla grande bocca, avvolto in un ampio mantello color d’esca, con giustacuore e “panzino berettino”, calzoni bleu, camicia di tela bianca con fazzoletto di mussola fiorato di rosso, cappello a punte, con una grande cesta a tracolla, ripiena di foglietti a stampa e libercoli: l’altro, basso tarchiato, dall’aspetto burbero e accigliato, indossava una lunga zimarra, che un tempo doveva esser stata di color nero, con un alto cappello a cilindro portato all’indietro, con una grossa mazza con pomolo d’avorio alla mano e un bel paio di occhiali inforcati sul rispettabile naso. L’uomo, dirò così dalla cesta, era Giovanni Brandoli, il celebre cantastorie bolognese, cui il popolino aveva per vezzo, e anche giustamente, affibbiato il sopra nome di Zanin dagl’Istori; era quello stesso Zanin che fu fondatore del vecchio calendario bolognese che da lui stesso trasse il titolo di “Zanin degl’Istori”. Nei due sonetti che qui sotto riproduco nella lor forma originale, è delineato a meraviglia la tipica figura del nostro uomo:


A son un’om tra qui d’bona statura,
E s’ho un mustaz cl’è ross c’m’un tai d’navon,
un buchinein cl’è grand c’m’una spartura,
che per magnar n’s’è mai tol sudizion.

I mi ucc’in fan miga gran largura,
ajò un nas ch’prev dar consulazion
a qualch stetica e povra cherìatura
ch’al vent l’aviss sgumbià al caldaron.

Al canta istori l’è semper sta al mi mstir,
del lasagn, di turti al più car amigh,
e i maccaron, an j’ho mai psu sufrir.

A son un om savi, ma a son tgnù per mat,
Zanin dal bubl’l’è al mi nom antigh,
tulj m’su, che quest l’è al mi ritrat.
(Dal Calendario di Zanin del 1804)


Per lo più a port intesta un gross capell,
tirà su ben pulid a bech frisòn,
ci’è dvinità dai gran ann’culor d’maron
con trei ali, ch’el paren d’palpistrel.

In mezz’al crani an moster che la pell,
pr’essri su tant cavj cm’ha un burdigòn,
grinzà ho la front, e i ucc’da anghiron,
con dou zei, ch’paren d’sedell’d’un purzell.

Adess po' am son scullà da tott i cu
In manira, ch’a par un stecch da dent,
regal ch’em je zà la sufferta bu.

An hò più vuja d’star alligrament,
e a zangatel, cm’a dscorr ch’a par un chiù,
perché in bocca an m’atrov quasi più un dent!

Quest l’è al ritratt present
Ch’ha tirà zo ala mei un ch’n’è pittor,
al qual dis: s’an ve pias, ch’a in fadi un mior.

(Dal Calendario di Zanin per l’anno 1813)


L’altro che interloquiva era il Commissario di polizia del Circondario di Ponente, incaricato del Ministero pubblico presso il primo giudice di pace. Il nostro Zanin dagl’Istori, mercè i suoi discorsi, pasquinate e canzoni, era riuscito quella mattina ad adunare un pubblico più affollato del solito a’ piedi della fontana del Nettuno. Questo bel tipo di cantastorie per dar maggior risalto alla sua Arte e suscitare maggior curiosità nel buon pubblico, oltre al contraffare in modo meraviglioso la voce di un pulcinella, era solito, mirabile visu, ad accompagnare con salti e capriole le sue storie e pasquinate: talvolta socchiudeva gli occhi “come a denotar di andare in estasi”; tal altra, metteva fuori dalla bocca la lingua, e, a seconda della natura delle sue zirudelle, dialoghi e strambotti, allargava anche le falde dell’abito e ricorreva, a seconda dei casi, a qualch’altro più o meno vivace mezzuccio allo scopo sempre di tener viva la ilarità nel pubblico che l’attorniava. Se ciò poteva essere pel nostro Zanin incentivo maggiore allo smercio delle sue robe, e buon argomento per tener allegro il pubblico grosso, al quale ben spesso non disdegnavano di frammischiarsi anche persone colte e di civile condizione, non eran però queste buone ragioni per non fare arricciare il naso al Commissario di polizia, che, attratto forse da codesto nuovo genere di rèclame, quella mattina erasi mescolato fra il pubblico attento ad ascoltare. E quei discorsi, pasquinate e canzoni, accompagnate dai gesti più sopra descritti non andavan troppo a genio all’austero funzionario, che forte della sua autorità riscontrando in essi elementi tali da indurre inquietudine e timore negli animi deboli, incitamento alla superstizione con oltraggio alla religione e offesa alla pubblica decenza e al costume, era venuto nella determinazione di chiamare al suo Ufficio il predetto Zanin dagl’Istori per assoggettarlo alle misure che fossero del caso. E fattolo perquisire lo trovò sprovvisto della prescritta licenza e detentore di stampe, che, a giudizio di tanto egregio uomo, diffuse specialmente fra il basso popolo, potevano essere allarmanti(?!) E perché ci si possa fare ben chiaro concetto della natura di codeste stampe e dello zelo di certi funzionari di polizia d’allora, piacemi qui testualmente riportare l’elenco di quelle, che, promiscuamente confuse tra i “Dialogh fra Zanin dagl’Istori, Stianca pulpett pastizzir, Zigalon sulfanar, la scurzouna, frizzouna e un Abbadin”, furono considerate dal predetto funzionario alcune offensive alla pubblica decenza e al costume “ed altre” di fomite alla superstizione e contrarie al decoro della religione, avvertito specialmente al modo indecente col quale si recitano”:

“Istoria bellissima della Samaritana. La sciagurata vita e vituperosa morte di Arrigo Gubertigo. Il vero e prezioso dono di santità. Istoria di Federico e Malgarita. Istoria di S. Teodora. La leggenda di S. Basilio abate. Caso compassionevole accorso sul Trentino. Utilissimo avviso dato al peccatore. Caso occorso d’un giovane che bastonò sua madre. Dialogo a due, cioè uno dice etc. Canzonetta: Avvertimento alle donne. Opera nuova spirituale. Racconto bellissimo che fa un corteggiatore senese. Operetta bellissima e curiosa. Disputa bellissima che fa un padre. Veridica relazione venuta da Roma che dichiara la nascita d’un Bambino”.

Né tampoco qui si fermò la perquisizione al povero Zanin. Si volle spinger l’esame perfino nel taccuino ove si rinvennero su un foglio stampato in Roma e in Lugo le “preghiere opportune per i presenti bisogni della Chiesa” poi un manoscritto che s’iniziava con le parole “O santo profeta vecchio Simeone” che Zanin subito fu sollecito a dischiarare essergli stato consegnato da una donna, quale talismano per la vincita al lotto; poi ancora un manoscritto in versi per la nascita del Re di Roma, ritenuta, sempre a giudizio del pedestre funzionario “indecente non solo al soggetto, ma anche imprudente ed impolitica”. E la canzone diceva così:


E’ nato il primogenito
Di Napoleon il Grande
Del Mondo in molte bande
Evviva si dirà.

La Gran Signora d’Austria
Di Francia imperatrice
Dell’Imeneo felice
Or più se ne godrà.

No che non era inabile
Il grande Napoleone,
per far generazion
formò l’Eredità.

Di un trono impareggiabile
Per Napoleon secondo
Padron di tutto il Mondo
Esser potria… ch’il sa.

L'età mia canutissima
Non me darà il piacere
Tal prole di vedere
Quando che regnerà.

Ma che! Potrei ben vivere
Venti e più anni ancora, e ritrovarmi allora
Che in Roma in Trono andrà.

Intanto pel suo nascere
Io mangio il pan più grosso
Onde sperar né passo
Vieppiù megliorità.

Com’anche di altri generi
Il prezzo a minorato
Io gli sarò obbligato
Se spesso così fa.

Che sia amoroso ai sudditi
Deh fate, o ciel pietoso,
e che ne sia glorioso
per grande umanità.

Educazioni celebri
Avrà dai Genitori
E gli dovuti allori
Da man celeste avrà.


Né valsero le dichiarazioni di quel povero diavolo esser egli di Bologna, di avere esercitato quel suo mestiere di cantastorie per un periodo ininterrotto di cinquantacinque e più anni, con cognizione di tutte le Autorità, confortando il suo asserto d’aver egli ottenuto il permesso nei passati tempi dal Prefetto Mosca, di poter cioè cantare “la Storia di Girolamo Lucchini, detto il ladro del Monte”; né aver egli giammai cercato coi suoi gesti di menomare il prestigio alla religione, né mancato di rispetto alla decenza e al buon costume. Niuna cosa smosse quel ferreo funzionario, che, testardo come un turco, trovò la necessità di trarlo in arresto e denunciarlo all’Autorità giudiziaria. Ma il Regio Procuratore generale, previe le pratiche relative, con più assennato consiglio, dopo tre giorni di detenzione(?!), dichiarava non farsi luogo a procedere contro Zanin dagl’Istori, escludendo in lui “il dolo e la colpa nell’azione” e ne ordinava senz’altro il rilascio dal carcere. Così il nostro popolo potè riavere il suo bizzarro poeta cantore, che, in una nuova zirudella tutta quanta da ridere, avrà certamente cantato: La curiosa avventura toccata a Zanin dagl’Istori.

NESTORE MORINI

Testo tratto da: UN CELEBRE CANTASTORIE BOLOGNESE, in BOLOGNA D’OGGI – Rassegna Bimestrale Illustrata. Anno II- N.2. Marzo-Maggio 1928. Trascrizione a cura di Lorena Barchetti.