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Bagni pubblici di Medicina - igiene e politica

1938 | 1969

Schede

Non dovette essere piccolo l’imbarazzo del Podestà di Medicina dott. Mario Modelli quando, nei primi mesi del 1938, si trovò sulla scrivania, da approvare o da respingere, la richiesta di apertura di una attività di bagni pubblici presentata dalla signorina Adriana Sarti con progetto dell’ing. Ruggero Mingarini, da realizzarsi al n. 10 di via Cuscini in un fabbricato di proprietà del sig. Primo Modelli. Non certo per l’attività in sé: il miglioramento delle condizioni dell’igiene urbana era da tempo una delle priorità dell’Amministrazione fascista, che aveva via via realizzato la rete fognaria del paese, l’acquedotto, alcuni servizi igienici pubblici (allora meglio noti come “vespasiani”). Era proprio ora che anche a Medicina, viste le ancora precarie condizioni delle abitazioni, in genere prive di bagno, qualcuno pensasse di aprire un servizio di bagni pubblici: a Bologna il primo, definito allora più decorosamente “Albergo Diurno”, aveva aperto nel 1910, molti altri poi negli anni successivi; i principali centri della provincia ne erano dotati e Medicina non poteva essere da meno. Il problema era il nome della bagnina: l’Adriana Sarti (per l’anagrafe Andreina) era conosciuta in paese per essere la donna di uno dei più noti e pericolosi sovversivi, il comunista Orlando Argentesi, detto Marèla, tornato a Medicina da poco più di un anno dopo aver scontato cinquanta mesi di carcere e confino a Bologna, Ponza e Napoli. In quel periodo lei l’aveva ostentatamente aiutato, aveva affiancato la famiglia di lui, aveva fatto persino opera di collegamento con ambienti ostili al fascismo, ignorando reiterati e minacciosi avvertimenti inoltrati alla famiglia dei ricchi signori bolognesi (i Gennari della Villa ModoniGennari di Medicina) presso i quali l’Adriana aveva prestato servizio per oltre quindici anni fin da bambina. Insomma, anche lei una testa calda, che si apprestava a convivere more uxorio con un antifascista castigato ma non domato, ancora ritenuto pericoloso al punto che, ad ogni passaggio di qualche gerarca fascista da Medicina e dintorni, bisognava spedirlo per qualche giorno al fresco nelle carceri di Budrio.

Eppure, sul fare del 1938, il fascismo si sentiva sicuro. Conquistato il grande impero abissino con relativo “posto al sole”; divisi, repressi e cacciati i non molti oppositori; forte di un consenso di massa anche nelle zone di tradizione socialista: si poteva permettere di lasciare piccoli spazi, ben controllati, a qualche antifascista disposto ad impegnarsi nelle attività educatorie e fisico-sportive, che in quegli anni erano un fiore all’occhiello del regime. Così ad esempio all’anziano dottor Gino Zanardi, socialista della prima ora, fiero oppositore dello squadrismo, si concesse di occuparsi della prima scuola materna montessoriana (l’Asilo “Calza”) e successivamente si lasciò che fosse il promotore e l’instancabile animatore delle campagne contro i pidocchi nelle scuole, dei campi solari, delle prime esperienze di colonie estive. Persino ad Orlando Argentesi, che alla fine degli anni ‘20 era stato, da ferreo terzino, uno dei primi mitici protagonisti del “Medicina Football Club”, “lo squadrone che tremare il mondo fa”, si concesse per un po’ di allenare una squadra di giovanissimi, i “PULCINI”, dalle cui fila in verità, negli anni della guerra e del dopoguerra, uscirono, più che famosi calciatori, molti giovani uomini impegnati nella lotta di liberazione e nella ricostruzione. Ben presto tuttavia i successi e la notorietà dei “pulcini” insospettirono i gerarchi locali, che imposero ad Orlando di non occuparsi più della squadra. Oltre a ciò, va tenuto presente che il podestà Mario Modelli era stato insediato a Medicina il 23 ottobre 1936, dopo che lo scontro fra le fazioni contrapposte dei fascisti locali (quelli di Cacciari contro quelli di Viaggi) aveva raggiunto il culmine e superato ogni limite con le bastonate in piazza fra fascisti in una domenica del 1936, di cui le cronache locali hanno poi più volte riferito: Modelli rappresentava in quel momento un punto di moderazione e, forse, anche un tentativo di conciliazione con la parte della popolazione medicinese più esposta alle sopraffazioni dell’ala più dura del fascismo locale. Comunque sia, alla fine le preoccupazioni furono superate, la richiesta di Adriana Sarti fu accolta e il podestà Modelli appose, in data 13 Aprile 1938 (Anno XVI), timbro e firma sul progetto dell’ing. Mingarini; subito dopo Orlando, artigiano idraulico per necessità, dato che al ritorno dal confino di Ponza il precedente lavoro di operaio scelto nell’officina di manutenzione della “Lenzi e Poli” gli era stato negato, potè iniziare i lavori nei due cameroni di via Cuscini, per rendere pronti, sul fare dell’autunno del 1938, i nuovi fiammanti Bagni Pubblici.

L’IGIENE A MEDICINA IN QUEL PERIODO | Che in quegli anni nel nostro paese quel nuovo servizio fosse utile è facile da immaginare; più che tentare di raccontarlo, mi sembra efficace riportare qui un brano colorito di Duilio Argentesi che in maniera molto realistica e precisa ricorda come erano “organizzati” i servizi igienici nella pressoché totalità delle case dei medicinesi. “…Non esisteva il bagno. C’era il mastello dove, non ogni settimana, mia madre nella stessa acqua calda lavava noi tre più piccoli tra pianti, sculacciate e strilli. Il mastello serviva anche per il bucato e, quando mio padre faceva una buona pescata od una scarsa vendita, per conservare vivo il pesce per il giorno dopo. Nemmeno la latrina era compresa nel nostro alloggio, ce n’era una in comunione. Per i bisogni notturni ed anche di giorno, quando il cesso era occupato e scappava a tal punto da farsela addosso, perché i bambini si riducono sempre all’ultimo minuto a dirlo, c’era il vaso da notte sotto il letto. Il gabinetto, posto sul pianerottolo della scala a metà strada tra noi e quelli del piano di sopra, era in comune tra le quattro o cinque famiglie ed i clienti del bar. Era di quelli che usavano allora: un muricciolo con un foro al centro ed un tappo di pietra con manico in ferro (che a volte, con buon rispetto parlando, era m… perché qualcuno dalla fretta dimenticava di togliere il coperchio), un finestrino grande come un quaderno, un uscio con un rampino all’interno, un gancio di grosso fil di ferro per infilarvi la carta. Un gran freddo, d’inverno, che veniva su e giù dai buchi; un gran puzzo, sempre, inversamente proporzionale alle dimensioni del cesso e della finestra. Nella parte interna dell’uscio con una grossa matita da falegname avevano fatto una scritta allora molto in voga: Non dico che del buco prender debba il centro, Ma pezzo di maiale almeno falla dentro!”.

L’ALBERGO DIURNO DI CITTA’ | Certo a Bologna, in città, i bagni pubblici o “Diurni”funzionanti in quegli anni offrivano ambienti e servizi di qualità (e costo) non paragonabili a quanto poteva essere proposto alla clientela “rurale” di Medicina in via Cuscini n. 10. Lo ha ricordato un articolo de “La Repubblica” di Bologna di cui riportiamo alcuni brani relativi ai due “diurni” più noti e centrali: quello di via Pietrafitta (oggi Montegrappa) e quello di via Cobianchi (sotto il Voltone del Podestà). “…Aperti nel 1925 sul retro dell’ottocentesco Palazzo Vignoli, quello all’angolo tra via Indipendenza e via Ugo Bassi, sono stati fino alla metà degli anni ’70 la sala da bagno dei signori di Bologna, in uno degli angoli più chic della città, dove nei giorni di festa si andava per la toilette, per una ripassata dal barbiere e, perché no?, una cioccolata al vicino caffè Majani, nell’omonima palazzina, raro esempio di architettura floreale in città, sede di una banca fino a poco tempo fa. …Questi “lieu d’aisance” sorsero in tempi, sul principio del XX secolo, in cui non c’era il bagno nelle abitazioni, né per i poveri né per i ricchi. Erano i bolognesi benestanti i più assidui frequentatori, soprattutto in questo di via Montegrappa. C’erano circa venticinque postazioni, tra docce e vasche da bagno. Ai tempi d’oro ci lavoravano più di dieci persone, quattro delle quali si occupavano solo di fare barba e capelli. Non c’è bisogno di avere chissà quanti anni sulle spalle per ricordarne l’entrata. Le mattonelle di Richard Ginori a motivi floreali, bellissime ancora oggi, alla parete un enorme specchio con la pubblicità del sapone al latte Rumianca,…e poi la scala in ghisa che portava nel seminterrato avvolto di fumi e profumi… …All’albergo diurno Cobianchi l’insegna del primo bagno pubblico aperto a Bologna (era il 1910) è ancora lì, davanti alla gelateria Torinese. Verde, liberty, con il listino prezzi scritto in grande. Mezza lira per il bagno o per la doccia, con acqua calda e fredda, una lira se si preferiva il tino, antenato della vasca. Ma c’era anche il servizio di lucidatura delle scarpe (0,20 lire) o la possibilità di usufruire di uno scrittoio con carta e penna (0,10 lire). Fino alla fine degli anni ’50 in Piazza Maggiore tutti i venerdì c’era il mercato, per cui arrivavano mediatori di bestiame ed agricoltori. Qualcuno, vestito con la caparella, si affacciava poi spariva, intimorito da un luogo che appariva troppo lussuoso. I frequentatori erano gente in, anche famosa. In via Montegrappa si fermavano tutti gli attori che la sera cenavano al vicino ristorante Nello. Tra i più affezionati c’era Macario, poi Gino Bramieri e Gigi Proietti...”.

I BAGNI PUBBLICI DI MEDICINA | Ovviamente i servizi e le finiture dei bagni pubblici di Medicina erano più semplici e spartani: constavano di tre locali bagno (le tine) e di tre docce, di un gabinetto alla turca con lavandino e di uno con water e lavandino (il bidet, credo, o non era ancora stato inventato o non era di uso corrente); rivestimenti in normali piastrelle bianche e pavimenti in marmette di graniglia. I risparmi di Adriana di circa diciassette anni di donna di servizio (14.000 lire compresi i risparmi della di lei madre Adele) non consentirono frivolezze, nonostante il lavoro ovviamente gratuito dell’idraulico Orlando. Al numero 10 di via Cuscini una palla schiacciata di vetro spesso, sospesa, color latte, illuminata di sera, con scritto in nero “BAGNI” segnalava la presenza del servizio. Due le entrate: la principale dava in un atrio e di lì a un corridoio stretto su cui affacciavano un locale vasca, uno doccia e quello del water; dal corridoio si usciva in un cortile interno con accesso all’appartamento. Per l’altra entrata si era nella saletta d’attesa, dotata di una “ottomana”, divanetto in legno con imbottitura di stoffa damascata, e di alcune sedie. A destra un largo corridoio con altre sedie consentiva l’accesso a due bagni, a due docce ed alla turca; in fondo un armadietto custodiva gli asciugamani ed i saponi che venivano forniti a richiesta dei clienti. Oltre l’attesa, un uscio separava da un locale scuro, polveroso, afoso che conteneva la caldaia, del carbone, la pala per infornarlo; di lì si accedeva ancora al cortile, occupato in parte, in un angolo, dal cumulo del carbone. Nel dopoguerra i bagni erano aperti il sabato, dalla mattina presto alla sera tardi, dopo cena, allo scomparire dell’ultimo cliente, la domenica ed i giorni festivi fino all’ora di pranzo, cui seguiva la pulitura generale dei locali; fino al 1944 l’apertura comprendeva anche il giovedì pomeriggio. Il lunedì era il giorno del bucato, tutto a mano, della biancheria noleggiata, nel cortile, stesa poi ad asciugare nella sovrastante terrazza. Nel resto della settimana, attività saltuarie di approvvigionamento carbone (in genere di tipo coke), di manutenzione della caldaia (negli ultimi anni arrivò con grande sollievo di minor fatica e maggior pulizia, quella a metano), di preparazione dei locali per il successivo sabato. Specie d’inverno, quando le finestre dovevano restare chiuse e i clienti facevano grande uso di acqua calda bollente, saletta d’attesa e corridoio erano letteralmente invasi da un denso vapore acqueo: già l’attesa, che nel momento di massimo afflusso, in genere il sabato pomeriggio, poteva anche non essere breve, costituiva una specie di gratuita anticipazione del lavacro successivo, dato che, ancora vestiti, si era costretti a qualcosa di molto simile ad un bagno turco o ad una sauna. In quei momenti l’impazienza di chi aspettava, specie a fronte di ingiustificate prolungate permanenze nei bagni e nelle docce, scatenava brontolamenti, solleciti rumorosi, qualche volta lazzi e battute anche grevi se il ritardatario (al tintinbriga) era persona conosciuta. L’aria, oltre che di vapore, era pregna di odori caratteristici: sapone, borotalco, soda (usata in abbondanza per pulire vasche e docce dopo ogni utilizzo), sudore di corpo umano prima del lavaggio; più precisi e meno nobili gli odori (diciamo pure le puzze) che promanavano dalla turca e dal water, usati ovviamente nelle attese senza risparmio e precauzioni. Quel che ancora si poteva ottenere gratuitamente venendo ai bagni erano le canzoni: e non perché l’impianto fosse dotato di radiodiffusione, ma perché molti dei bagnanti, come succede anche in casa propria, sotto lo scroscio della doccia o nell’abbandonarsi alla molle piacevolezza della vasca, facevano ampio sfoggio di doti canore, cantando, spesso a squarciagola, in competizione o in concerto, i motivi del momento. Visto che non tutti erano dei professionisti e che anche gli stonati e le “campane” non si tiravano indietro, i commenti di chi ascoltava, espressi con altrettanta sonorità, contribuivano a fare dei locali in quelle ore una fonte di rumorosità per lo più allegra e partecipata. Rabagliati, la Pizzi, Taioli, la Boni, Latilla, Claudio Villa erano i cantanti più imitati, le canzoni di San Remo le più ricorrenti. Ai bagni si veniva normalmente vestiti in abiti da lavoro (in quegli anni, molto più di oggi, l’abbigliamento festivo differiva rigorosamente in meglio da quello feriale); i più portavano sottobraccio un fagottino con asciugamano, biancheria pulita, saponetta che fungeva spesso anche da shampoo. Chi ne fosse stato sprovvisto, poteva richiedere alla bagnina, dietro modico compenso, l’asciugamano e/o la saponetta.

NON SOLO IGIENE | Torniamo per un momento alla testimonianza di Duilio Argentesi. “L’occasione propizia per Dino (è più giusto dire: “da lui propiziata”) onde continuare proficuamente, con un po’ di copertura, la sua attività clandestina di rivoluzionario ed organizzatore del partito fu la costruzione dei bagni pubblici a Medicina… Con l’intento di far rientrare da Bologna la futura moglie, di procurare a lei un lavoro che le avesse consentito di sbarcare il lunario anche nell’evenienza, del tutto probabile, che a lui fosse toccato ritornare in carcere o darsi alla latitanza, risolveva anche il problema, data la natura dell’ambiente che aveva creato, di incontrarsi con i compagni di partito, nella cucina dell’alloggio nel retro dei bagni, fin dall’agosto del 1938. Appoggiata la bicicletta al muro esterno, si presentavano i clandestini alla porta di destra col loro fagottino dov’era ben in mostra la frangia dell’asciugamano. All’interno arrotolati avrebbero dovuto essere la biancheria pulita ed il sapone. Se qualcuno li avesse perquisiti all’entrata tra quella salvietta non sempre avrebbe trovato maglia e mutande, o soltanto quelle, ma gli sarebbe capitato tra le mani qualche numero della minuscola “L’Unità”, dattiloscritti di direttive, documenti di studio ed altre pubblicazioni non in vendita nelle edicole e nelle librerie. Un tale ritrovamento li avrebbe portati di filato a San Giovanni in Monte. Anche ad un mediocre segugio non sarebbe sfuggito il via vai di sette-otto persone, quasi tutte forestiere, che settimanalmente nello stesso giorno, alla medesima ora venivano a fare il bagno. Un poliziotto avrebbe notato che quei signori, anziché accomodarsi sul divanetto nell’ingresso in attesa del loro turno, proseguivano, anche se tutti i servizi erano occupati, oltre l’usciolo che immetteva nel cortiletto interno, in cui non c’erano vasche e docce, di dove si entrava in casa. E se avesse pazientato per attenderli all’uscita avrebbe quasi sempre constatato che l’asciugamano ed il sapone erano asciutti e la biancheria pulita. Un segnale collocato nell’ingressino di destra messo nella tale o nella tal’altra maniera significava via libera o pericolo. Non è mai successo niente anche se alcune volte per errore, dimenticanza o involontaria manomissione il segno convenuto aveva indotto in equivoco creando un po’ di scompiglio. Quel recapito, nel vecchio cuore dell’antica Medicina, assolse alla sua pericolosa funzione per più di cinque anni.”...

L’ECONOMIA DEI BAGNI PUBBLICI | Ai pochi lettori che hanno resistito fin qui, che pensassero di saperne già abbastanza dei bagni pubblici di Medicina e che legittimamente ritenessero eccessivo perdere altro tempo sulla gestione economica degli stessi, consiglio di saltare per intero questo capitolo. Tuttavia mi sembra doveroso utilizzare un materiale molto singolare, forse unico, a mia disposizione: due bei vecchi quaderni ingialliti, uno a righe degli anni ’30 e uno a quadretti degli anni’50, in cui Adriana ha meticolosamente registrato, mese per mese, per tutti i trenta anni di attività, i risultati della gestione economica dei bagni. Evidentemente istruita da Orlando, il quale scrive di pugno le prime righe delle pagine del gennaio 1939 (al confino di Ponza gli antifascisti, come è noto, avevano organizzato una specie di università clandestina: fra i documenti del Fondo Orlando Argentesi all’Istituto Gramsci di Bologna ci sono alcuni quaderni con appuntate lezioni di elettrostatica, di economia e, appunto, di computisteria), Adriana trascrive ogni mese in due pagine, la prima per le spese e la seconda per gli incassi, il risultato del suo lavoro. Da una analisi e da una elaborazione dei dati si potrebbero ricavare molti spunti più o meno interessanti: mi limito a fornirne alcuni. Il primo anno di attività (il 1939) procurò un incasso di 9.878 lire con un totale di spese di 4.934 lire; il guadagno fu di 4.944 lire (circa 400 lire al mese) con cui compensare il lavoro di Adriana e l’ammortamento dei risparmi investiti. Tanto per avere un riferimento, si pensi che in quegli anni era in gran voga una canzone che faceva: “…se potessi avere mille lire al mese!…” Le spese maggiori erano per il carbone (2600 lire), l’affitto dei locali (800 lire, 1000 dal 1940), saponette Palmoil e detersivi (460 lire), l’acqua (362 lire), l’energia elettrica (248 lire). Inizialmente Adriana gestì i bagni con saltuari aiuti di famigliari (la sorella Nerina, la futura cognata Anna e altre); negli anni del dopoguerra venne affiancata sistematicamente, salvo che nei mesi estivi, da una aiutante, Iole Biancoli, che dal dicembre 1945 alla fine del 1959 diventò una presenza fissa, irrinunciabile, almeno fino a quando il calo di affluenza, dovuto sia al generalizzarsi della dotazione di bagni nelle case sia all’apertura di un esercizio di bagni pubblici concorrente nella vicina Via Pillio, impose all’Adriana di tornare a gestire da sola il servizio.

QUATTRO PERIODI | I trenta anni di attività dei bagni di via Cuscini 10 possono essere distinti in quattro periodi.
a) Fine 1938-Agosto 1944 E’ la fase di avvio, gli anni anteguerra e poi bellici, di cui abbiamo parlato in precedenza. Aggiungo solo che a partire dal novembre 1940 una parte significativa degli incassi è data dalla voce “militari”: soldati di stanza o di passaggio a Medicina, fra i quali i quaderni non specificano se ci siano state anche le truppe tedesche. Nell’agosto 1944 l’attività si interrompe: dal settembre comincia la fase più aspra del conflitto e l’acuirsi della repressione nazifascista contro i partigiani ed i loro congiunti. Adriana con me bambino di quattro anni prima trova rifugio e nascondiglio in casa di compagni nella scuola del “Picchio”; poi, sul fare dell’inverno, ripara a Bologna dove resterà clandestina con false generalità fino alla liberazione.
b) Dicembre 1945-Settembre 1955 Rimessi in ordine i locali con spese importanti di falegnameria, imbiancatura, facchinaggio, l’attività riprende nel dicembre 1945: sono gli anni più significativi, anche economicamente, della gestione. Prendendo ad esempio come riferimento il 1950, vediamo che gli incassi ammontarono a 687.500 lire e le spese a 234.543 lire, con un guadagno di 452.957 (circa 37.700 lire al mese).
c) Ottobre 1955-Aprile 1957 Nel settembre 1955 Adriana raggiunge a Roma Orlando, che da circa due anni vi si era trasferito per lavorare presso la Direzione del P.C.I.; i bagni vengono affidati in affitto di gestione alla signora Anna Mazzetti in Baldi, che aveva sostituito per alcuni mesi Iole Biancoli nel corso del 1954. La relativa scrittura privata, conservata da Adriana, comprensiva delle clausole contrattuali, consente di rilevare un dato mai riscontrabile nei quaderni: nel 1955 la tariffa per il servizio di vasca era di 130 lire, per quello di doccia di 100 lire.
d) Maggio1957-Giugno 1969 Costretta a tornare a Medicina dall’improvvisa morte di Orlando nel gennaio 1957, Adriana riprende la gestione dei bagni dal maggio; nella primavera del 1959 l’installazione della caldaia a metano consente di alleggerire notevolmente il lavoro. Sono anni di progressiva contrazione dell’attività, anche se negli anni ’60 il servizio viene esteso alle attività sportive locali, con aperture specifiche per le squadre di calcio e ancora di più per quelle di pallacanestro: ormai, con il boom economico che avanza, sempre meno medicinesi hanno necessità di cercare fuori casa gli strumenti per l’igiene personale. Anche economicamente l’attività perde di convenienza: per un po’ di anni l’utile annuale staziona sulle 500.000 lire , ma l’inflazione ne riduce sempre più il valore; quando poi, a inizio 1967, colpita da infarto, Adriana ha di nuovo bisogno di ricorrere ad aiuti (ancora Iole Biancoli e infine la signora Gemma Zanarini) nel 1967 e nel 1968 spese e incassi si equivalgono. Nei primi sei mesi del 1969 l’attività è in rosso. E’ l’epilogo: con lettera al Questore di Bologna in data 2 luglio 1969, Andreina Sarti rinuncia alla licenza per l’esercizio di “albergo diurno” in via Cuscini n.10 e conclude mestamente la sua trentennale attività.

UNA CURIOSITÀ FINALE | Ma quanti medicinesi saranno passati dai bagni di via Cuscini nei trent’anni? Non siamo certo in grado di rispondere a questa domanda curiosa in modo esatto: però qualche estrapolazione statistica può essere tentata. Conoscendo gli incassi ed i prezzi praticati negli ultimi anni ’50, possiamo calcolare una media di clienti di circa 150 persone a settimana, con punte di 230 a Natale e nelle principali festività: appena, più o meno, l’1,5% della popolazione residente, ma circa 250.000 bagni e docce nei trenta anni! E chi erano questi medicinesi? Per lo più residenti nel centro storico, giovani e persone di media età, di professione operai, impiegati, artigiani, commercianti, studenti, in genere maschi: rari i provenienti dalle campagne, dove allora risiedeva ancora la maggior parte della popolazione e dove spendere soldi per lavarsi e per l’igiene personale doveva apparire, con quei chiari di luna, una incomprensibile fisima da pseudo-cittadini!

Giuseppe Argentesi

Testo tratto da "I BAGNI PUBBLICI DI VIA CUSCINI: TRA IGIENE E POLITICA", in "Brodo di serpe - Miscellanea di cose medicinesi", Associazione Pro Loco Medicina, dicembre 2007.