Salta al contenuto principale Skip to footer content

Comitato centrale di liberazione nazionale, (CCLN)

1942 - 1944

Schede

Tra la fine del 1942 e l’inizio del 1943 in numerose città i partiti antifascisti diedero vita a comitati unitari - che avevano i nomi più diversi - per dare un unico indirizzo alla lotta politica contro la dittatura.

A Roma si chiamò Comitato delle opposizioni antifasciste e sin dall’inizio assunse il compito di orientare e dirigere gli altri comitati.
L’autorevolezza gli derivava dalla statura politica dei suoi membri, più che dal fatto che avesse sede a Roma.
Il 9 settembre 1943, il giorno dopo l’inizio dell’invasione tedesca, il Comitato assunse il nome di Comitato di liberazione nazionale e solo in seguito aggiunse la parola “centrale”. Era composto da Alcide De Gasperi (DC), Alessandro Casati (PLI), Ugo La Malfa e Sergio Fenoaltea (PdA), Pietro Nenni e Giuseppe Romita (PSIUP), Mauro Scoccimarro e Giorgio Amendola (PCI).
All’unanimità fu approvato questo documento che, di fatto, era una dichiarazione di guerra alla Germania: «Nel momento in cui il nazismo tenta di restaurare in Roma ed in Italia il suo alleato fascista, i partiti antifascisti si costituiscono in Comitato di liberazione nazionale, per chiamare gli italiani alla lotta ed alla resistenza, e per riconquistare all’Italia il posto che le compete nel consesso delle libere nazioni».
Sia pure a costo di faticosi compromessi politici - perché i contrasti tra i partiti erano numerosi sia per la conduzione della guerra sia per le soluzioni politiche del dopoguerra - il CLN riuscì a rappresentare la volontà del popolo italiano, deciso a riconquistare l’indipendenza nazionale e le libertà politiche.
Il CCLN concluse la sua attività il 6 giugno 1944, con la liberazione di Roma. L’8 giugno  una delegazione composta dal presidente Ivanoe Bonomi, De Gasperi, Casati, Nenni, La Malfa, Scoccimarro, Fenoaltea e Meuccio Ruini del Partito democratico del lavoro s’incontrò con una rappresentanza del governo e chiese «un governo del tutto nuovo». Il primo ministro Pietro Badoglio rassegnò le dimissioni e Bonomi lo sostituì. [O]