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Giampietro Lippi

Schede

Giovanni (Giovanni Musolesi) partì dal molino della Valle la sera del 2 agosto e raggiunse rapidamente la sua casa, l’Acquafresca. Cleto, il padre, gli disse: “Sei di leva, i fascisti ti hanno visto, sei certo di essere sicuro a casa?”. Giovanni gli rispose di non preoccuparsi. L’Acquafresca era un fondo agricolo che, fertilizzato dal sudore, stava dando frutti economici più che buoni. I Musolesi erano mezzadri agiati: nella stalla il bestiame era abbondante, nel magazzino gli attrezzi moderni erano tenuti con cura. Il lavoro era tanto, ma la famiglia era numerosa e le soddisfazioni non mancavano. Diceva spesso dei partigiani ai familiari: “Ragazzi, noi non ci salviamo, perché arrivano, chiamano senza riguardi, ci facciamo scoprire”. Diceva ancora: “Ragazzi, è un gioco che ci rovina, abbiamo i tedeschi in casa; potrà andare avanti un po’ ma poi ci roviniamo”. Giovanni aveva scelto di andare nei partigiani e faceva vita di brigata, due altri suoi fratelli erano staffette partigiane. Dopo la liberazione dei cinque fascisti di Monzuno, Cleto temette più che mai; aveva ragione, perché presto uno dei cinque li avrebbe denunciati. Giovanni dormì cinque notti all’addiaccio, nei campi; anche durante il giorno si teneva nascosto ed i fratelli gli portavano da mangiare. La sera di martedì 8 agosto, decise che avrebbe potuto dormire in casa; nascose le armi nel pagliaio e raggiunse il proprio letto. Proprio quella notte la vendetta fascista calò sull’Acquafresca e sulla famiglia di Cleto Musolesi: giunsero i tedeschi al primo buio, su alcuni autocarri, sulla strada di Gabbiano/Monzuno/Pilastrino; bussarono con i calci dei mitra; Giovanni, che non dormiva bene, cercò di saltare dalla finestra ma venne catturato immediatamente. Quando i tedeschi ebbero rastrellato tutti gli abitanti, adulti, bambini, donne, incendiarono la casa assieme alla stalla e si misero a razziare quanti più animali fu loro possibile. L’Acquafresca si trasformò in una visione da incubo; nel bel mezzo dell’incubo, le munizioni di Giovanni, raggiunte dal fuoco, incominciarono a scoppiare. I Musolesi furono scaraventati su un autocarro come bestie in mezzo ad altre bestie, le galline e gli animali da cortile che i tedeschi erano riusciti a catturare o a uccidere. Furono condotti a Monzuno; sostarono per un’ora/un’ora e mezzo fra la scuola e l’osteria ALLA POSTA. Al gruppo vennero aggregati altri prigionieri: Alberto Teglia, Giuseppe Consolini, il giovanissimo Rino Benni. Alla fine tutti - meno Cleto Musolesi, la moglie, i figli più piccoli e la nuora - furono condotti a Monghidoro; appena fuori dal paese, poterono vedere che, assieme all’Acquafresca, bruciavano anche altre due case: Ca’ Rondelli e Ca’ di Monzuno. A Monghidoro, precisamente a Ca’ Giorgio, i Musolesi furono lasciati senza mangiare il 9, il 10 e buona parte dell’11 agosto. Subirono ogni vessazione. Giovanni fu bestialmente picchiato ed ogni sera veniva mostrato con la sua faccia gonfia e tumefatta alla popolazione: ecco il partigiano! Furono interrogati più volte; l’aguzzino più bestiale fu un italiano, il capitano Scarani delle SS italiane. L’aguzzino insisteva molto sul cognome Musolesi, voleva sapere se essi fossero parenti di Lupo; insisteva sulla Stella Rossa e sulla sua dislocazione; voleva conoscere i nomi dei partigiani. Che cosa potevano rispondere quelli dell’Acquafresca? Niente, e non risposero niente. Venerdì 11 agosto, a Monghidoro sette prigionieri vennero fucilati, fra essi tre erano Musolesi: Gino, 28 anni, Pietro, 23 anni, Giovanni, 20 anni. Il capitano Scarani ne aveva allineati otto per la fucilazione, ma l’ufficiale tedesco del comandato dell’esecuzione estrasse dalla fila il quindicenne Rino Benni, dichiarando che i tedeschi non uccidevano i fanciulli. Ancora una volta i pur truci nazisti si dimostravano meno sanguinari dei loro servi fascisti. Fernando Musolesi e le sorelle furono mandati, insieme ad altri, alle “caserme rosse” di Bologna, centro di smistamento nazista della carne italiana: le sorelle vennero poi inviate in Germania, Fernando fu trasferito a Rimini a costruire postazioni militari. Ubaldo Musolesi, il figlio primogenito di Cleto, già sergente presso il 3° artiglieria di Bologna, era al servizio dei tedeschi nella vigilanza della polveriera della funivia a Bologna. Quando conobbe la sorte dei fratelli, raggiunse i partigiani della 63° brigata Garibaldi. La sorte non gli fu benigna; dopo la battaglia di Rasiglio, venne catturato assieme ad altri undici compagni, quattro italiani, sei sovietici, un costaricense, ed impiccato a Casalecchio di Reno con il filo spinato il 10 ottobre 1944.

Giampietro Lippi, La Stella Rossa a Monte Sole. Uomini fatti cronache storie della Brigata partigiana “Stella Rossa Lupo Leone”, Ponte Nuovo editore, Bologna, 1989
[SR]
Note
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