Salta al contenuto principale Skip to footer content

Concordato Paglia-Calda

Sociale 25 Ottobre 1920

Schede

È comunemente chiamato Concordato Paglia-Calda il patto stipulato il 25.10.1920 tra la Federazione provinciale dei lavoratori della terra - la Federterra - e l’Associazione degli agricoltori bolognesi dopo un’agitazione durata 10 mesi.
Rispetto alle lotte contadine di quel periodo, fu insolita non solo per l’eccezionale durata, ma per l’impostazione di fondo. Nella storia delle campagne italiane non esiste una vertenza analoga.
La Federterra era partita dal presupposto che fosse giunto il momento di promuovere un’agitazione unitaria per braccianti e mezzadri, anche se erano profondamente diversi gli obiettivi cui miravano le due categorie. I coloni - mezzadri, affittuari ecc., che nel bolognese non superavano le 12 mila famiglie, ma la cifra esatta non è nota - erano da sempre interessati ad ottenere un diverso riparto della quota di prodotto da dividere con l’agrario mentre gli affittuari chiedevano di pagare un affitto più basso.
I braccianti - che nel bolognese erano tra i 60 e i 70 mila - miravano a un aumento della tariffa oraria e ad una riduzione dell’orario di lavoro, indipendentemente dal fatto che l’onere fosse addossato all’agrario o ai coloni. Essi lavoravano a giornata - ma non ne facevano mai più di 100-120 l’anno - sia nelle grandi aziende condotte in economia sia nelle piccole tenute mezzadrili. Per questo mezzadri e braccianti avevano sempre proceduto separatamente, quando non in contrasto tra loro, anche se - secondo la terminologia del tempo - l’avversario di classe era comune.
Gli agrari consideravano i mezzadri un ammortizzatore sociale sul quale scaricare le spinte rivendicative dei braccianti, la categoria più povera e numerosa. Da sempre riuscivano a giocare una categoria contro l’altra, per difendere il loro interesse. Nel corso della campagna agricola i mezzadri, se occorreva, potevano assumere manodopera bracciantile, ma la dovevano pagare di tasca propria.
Per evitare quest’onere, i coloni preferivano fare ricorso allo scambio d’opera con altri mezzadri - la zérla, come si dice in dialetto - anziché assumere braccianti. Invano chiedevano da tempo al padrone di poter dividere a metà queste spese che contribuivano ad aumentare la produzione. Inoltre, negli anni in cui i braccianti riuscivano a spuntare buoni aumenti salariali, gli agrari paventavano la minaccia di frazionare e appoderare le grandi aziende in economia.
Facevano la minaccia opposta quando i mezzadri ottenevano qualche conquista, come nel 1908 quando ebbero il primo patto provinciale scritto.
Nel 1920, quando impostò una vertenza agraria di tipo nuovo, per evitare i vecchi dissidi, la Federterra si preoccupò di due cose: 1) occorreva stabilire un’alleanza solida tra le due categorie; 2) occorreva studiare 4 contratti di lavoro (per mezzadri, affittuari, braccianti e boari) che fossero coordinati e non in contrasto tra loro.
La preparazione - che occupò buona parte del 1919 - non fu facile, anche se un’analoga agitazione era stata sperimentata nel 1914 su scala comunale a Molinella (cfr. Guarda, Eccidio di). Nel gennaio 1920 circa 9 mila coloni - la stragrande maggioranza di quelli bolognesi, meno quelli del comprensorio imolese, che avevano altri patti, e quelli aderenti alle Fratellanze coloniche di orientamento cattolico - inviarono una lettera ai rispettivi “padroni” per annunciare che il vecchio capitolato era scaduto e che delegavano la lega sindacale a contrattare il nuovo direttamente con il proprietario. I proprietari agricoli risposero che prendevano atto della comunicazione, considerandola come una lettera di escomio, cioè di dimissioni. Pertanto i coloni, come prevedeva il contratto, sarebbero dovuti uscire dai fondi il 31.10.1920. Inoltre, non accettarono l’inizio delle trattative con le leghe, fatto questo che avrebbe consentito di congelare la vertenza in attesa di un risultato: se fosse stato trovato un accordo i coloni sarebbero rimasti, in caso contrario sarebbero “usciti”a fine ottobre. In base al capitolato, da quel momento e sino a quando avrebbero lasciato il fondo, i coloni dovevano considerarsi “uscenti”. Pertanto avrebbero dovuto eseguire solo i lavori di loro spettanza. L’altra parte, quelli di spettanza dell’agrario, li doveva fare il colono “entrante” o l’agrario, sia pure con l’impiego di braccianti. Quando gli agrari cercarono nuovi mezzadri per sostituire quelli che se n’andavano, non ne trovarono uno solo disposto a essere assunto.
Tutti quelli del Bolognese, infatti, si erano impegnati a non accettare la proposta degli agrari, se non attraverso la lega, la quale era il solo e unico organismo abilitato - perché da loro delegato, come prescrive la legge - a discutere e firmare il nuovo capitolato. Quel fronte così compatto nel rifiuto, fu una sgradevole sorpresa per gli agrari. Più ancora sorprendente per loro fu sentirsi opporre un nuovo rifiuto, quando chiesero ai braccianti di eseguire i lavori del colono “entrante”.
Era la prima volta, nella storia delle campagne bolognesi, che i braccianti rifiutavano una grossa e insperata occasione di lavoro, per sostenere la lotta dei mezzadri. Questo fatto da solo era un gran successo della Federterra. Poiché i lavori di spettanza dell’agrario o del colono “entrante” non furono eseguiti, parte del raccolto andò perduto. Anche perché il danno patito era loro rifuso dalla “mutua antisciopero”, gli agrari decisero di portare la vertenza alle estreme conseguenze e rifiutarono tutte le proposte conciliative avanzate dal governo per salvare il raccolto.
La situazione, già grave, precipitò quando scesero in sciopero i braccianti, per rivendicare il rinnovo del contratto di lavoro. Gli agrari decisero di abbandonare le grandi aziende in economia, dove i lavori primaverili non furono iniziati. Per evitare che la terra restasse incolta, le leghe bracciantili occuparono quasi tutte le aziende abbandonate e iniziarono i lavori di semina. La vertenza fu caratterizzata da gravi episodi di violenza, da ambo le parti.
Il 5.4.1920 a Decima (S. Giovanni in Persiceto) i carabinieri, durante un comizio, uccisero 7 lavoratori e ne ferirono 45.
A Portonovo (Medicina) il 4.8.1920, in uno scontro tra lavoratori e crumiri si ebbero 4 morti: 3 crumiri e un lavoratore. Parte del raccolto, sia delle aziende in economia sia di quelle coloniche, fu salvato grazie all’intervento del governo che inviò a Bologna un commissario straordinario con l’incarico di amministrare il prodotto di parte padronale abbandonato. Dopo decine di incontri, sia a Bologna sia Roma, il 25.10.1920 gli agrari decisero di accettare quasi tutte le richieste della Federterra.
Fu così stipulato quello che fu chiamato impropriamente il Concordato Paglia-Calda, comprensivo di quattro patti per mezzadri, affittuari, braccianti e boari. Oltre che dal prefetto, fu firmato da Calisto Paglia, presidente degli agricoltori, e da Alberto Calda il legale della Federterra. Di qui il nome Paglia-Calda. Era il patto più avanzato che i lavoratori della terra avessero mai conquistato. Tra l’altro, la Federterra aveva avuto dagli agricoltori un impegno scritto a intensificare al massimo la produzione e a non lasciare i poderi abbandonati o semilavorati. Il Concordato fu firmato la mattina del 25.10.1920.
Nel pomeriggio, squadre armate di fascisti si recarono nei comuni di S. Lazzaro di Savena e Ozzano Emilia e obbligarono i coloni a strapparlo. Era l’inizio della reazione fascista. Pochi giorni prima l’Associazione di difesa sociale - promossa da agricoltori, industriali e commercianti aveva finanziato il Fascio di combattimento perché arruolasse 300 armati da usare in funzione antisindacale, anche se ufficialmente avrebbero dovuto proteggere i candidati della lista di destra in occasione delle elezioni amministrative. Il Concordato nonostante l’opposizione degli agricoltori e del sindacato fascista - restò valido sino al 30.7.1923 quando il prefetto lo abrogò con un atto illegale e dichiarò valido solo quello firmato nel 1922 tra l’associazione agraria, i sindacati fascisti e le Fratellanze coloniche.
Nel 1931 - in pieno fascismo - il tribunale di Bologna riconobbe la validità del Concordato Paglia-Calda e condannò una azienda agricola a rispettarlo, sia pure limitatamente al biennio 1920-22. [O]