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Armando Cocchi

25 maggio 1890 - 1946

Scheda

Armando Cocchi, da Benvenuto e Angiolina Sartori; nato il 25 maggio 1890 a Budrio. Licenza elementare. Impiegato privato.Iscritto al PSI e poi al PCI.
Prese parte alla prima guerra mondiale e restò ferito.
Nel dopoguerra fu segretario della Lega proletaria fra mutilati ed invalidi di guerra, oltre che uno dei principali esponenti dell'ala massimalista all'interno della Federazione del PSI di Bologna.
Nelle amministrative dell'ottobre-novembre 1919 fu eletto sia al consiglio comunale di Bologna sia al consiglio provinciale, per il collegio di San Giovanni in Persiceto. Nello stesso periodo fu anche segretario dell'USB.
Quando i fascisti annunciarono che il 4 novembre 1920 avrebbero solennizzato il secondo anniversario della vittoria assalendo la sede della CCdL, in via d'Azeglio 41, ebbe l'incarico di organizzare un servizio armato di difesa.
Si recò a Imola e arruolò, tra gli aderenti alla frazione comunista, - alla quale aderiva - 96 «guardie rosse». I fascisti attaccarono puntualmente la sede sindacale, ma Ercole Bucco, segretario della CCdL, anziché ordinare alla «guardie rosse» di rispondere al fuoco degli assalitori, le disarmò e telefonò al questore invocando la difesa della polizia.
Gli agenti intervennero, ma anziché arrestare i fascisti, penetrarono nella sede sindacale e arrestarono tutti i presenti compreso Bucco e Cocchi. Rimesso in libertà pochi giorni dopo, ebbe l'incarico di organizzare - assieme a Vittorio Martelli e Corrado Pini - il servizio armato di «guardie rosse» che avrebbe dovuto proteggere l'insediamento, il 21 novembre 1920, della seconda amministrazione comunale socialista.
I fascisti, com'è noto, avevano annunciato pubblicamente che lo avrebbero impedito. Le «guardie rosse» non solo non furono in grado di respingere l'assalto fascista, ma gettarono per errore delle bombe a mano tra la folla, provocando la morte di alcuni cittadini, oltre a quelli caduti sotto il piombo fascista.
Ricercato dalla polizia subito dopo la strage di Palazzo d'Accursio, si rifugiò nella repubblica di San Marino. Durante la latitanza fu licenziato dal Monte di Pietà dove era impiegato. Dopo la scissione di Livorno aderì al PCI e dal partito fu fatto espatriare. Processato in contumacia dalla corte d'assise di Milano, il 3 aprile 1923 fu condannato all'ergastolo per la morte del consigliere di minoranza Giulio Giordani, avvenuta durante la strage, e il ferimento di due consiglieri di minoranza.
Non rientrò più in Italia. Si recò in Russia dove fu raggiunto dalla famiglia. Fu schedato nel 1928. Si arruolò nell'Armata rossa e, dopo un lungo soggiorno in Estremo Oriente, nel 1943 divenne istruttore politico nei campi di prigionia dei militari italiani dell'ARMIR e dello CSIR. Nell'inverno 1946, quando stava per rientrare in Italia, fu stroncato da un improvviso malore. [O]