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Casalfiumanese, (BO)

1919 | 1943

Insediamento

Schede

Nelle elezioni politiche del novembre 1919, l'esito della votazione su scala comunale diede la maggioranza assoluta ai socialisti. Con molta certezza essi andarono alle elezioni del Consiglio comunale indette per il 24 ottobre 1920: due liste socialiste conquistarono, col voto del 60% degli iscritti, sia la maggioranza sia la minoranza, rappresentate da 17 e 3 consiglieri. Conseguentemente, a sindaco venne eletto Raffaele Serrantoni, vecchio organizzatore del movimento dei lavoratori della terra ed ex segretario della Camera del Lavoro d'Imola. Il Serrantoni, nella stessa tornata amministrativa dell'autunno 1920, fu pure eletto al Consiglio Provinciale di Bologna, ma non poté esercitare mai il mandato poiché il Consiglio, prima ancora di riunirsi, venne sciolto con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri Giovanni Giolitti del 21 aprile 1921, a causa della violenza fascista che aveva portato allo scioglimento anche del Consiglio comunale di Bologna per l'"eccidio di palazzo d'Accursio" (v. Bologna). Lo squadrismo fascista portò alla cosiddetta "marcia su Roma" e all'avvento di Benito Mussolini al governo del Paese. Le leggi eccezionali cementarono l'instaurazione del regime fascista. Il casalfiumanese Vincenzo Bianconcini, muratore, che, presa residenza ad Imola, aveva partecipato a conflitti contro i fascisti fra il 1923 e il 1925, nel 1930 fu arrestato per attività clandestina comunista, processato e condannato dal Tribunale Speciale (Aula IV e Dizionario). Diventò poi partigiano nella Brigata SAP di Imola col nome di battaglia "Leo" per onorare la memoria del fratello Leo, colpito a morte dai carabinieri il 1° maggio 1920 a Bagnata di Romagna. Due altri paesani subirono condanne al confino di polizia per atti d'opposizione (Confinati).
Il 28 ottobre 1932 venne inaugurata la Casa del fascio, la cui costruzione era iniziata poco tempo prima. Le somme necessarie per l'acquisto del terreno e per l'edificazione furono ricavate da uno stanziamento del comune gestito da un Podestà fascista e attraverso una sottoscrizione da parte di tutte le categorie produttrici, in un primo tempo lasciata alla volontarietà e poi, vista la scarsa adesione, resa obbligatoria. Dal farmacista, che era anche dirigente del fascio, fu proposto a tutti i braccianti di versare 15-20 lire a fondo perduto, senza cartella azionaria, ma, visto l'insuccesso quasi totale dell'idea, fu fatto obbligo di effettuare un versamento di lire 50 ognuno da pagarsi in due rate annue di lire 25 dietro rilascio di azioni o, in alternativa, di prestare un'intera giornata di lavoro. A tutti quei braccianti che non provvidero spontaneamente al versamento, sia per condizioni di miseria, sia per ostilità al regime, l'importo venne trattenuto dal salario giornaliero durante i lavori di trebbiatura, quando più alta era la remunerazione oraria. A coloro che maggiormente protestarono si negò il turno di lavoro. I coloni furono obbligati a versare mezzo chilo di grano per ogni quintale di prodotto raccolto nel podere per quattro anni consecutivi. I birocciai trasportarono tutto il materiale occorrente senza alcun compenso. Ai muratori furono trattenute 100 lire dal salario. Agli esercenti e artigiani venne imposta una quota fissata in lire 100. Al venditore ambulante di terraglie Giovanni Visani fu imposto di dare all'Opera Nazionale Dopolavoro piatti e bicchieri per l'importo corrispondente.
Quando in Spagna scoppiò la rivolta capeggiata dal generale Francisco Franco, Pietro Vicchi (classe 1896), macellaio, emigrato in Belgio nell'ottobre del 1936, passò in terra iberica e si arruolò nella Brigata Garibaldi in difesa di quella repubblica (Spagna).

Fonte: L. Arbizzani, Antifascismo e lotta di Liberazione nel Bolognese, Comune per Comune, Bologna, ANPI, 1998